Come bisogna interpretare l’attivismo ambientale nei musei?

I disperati sforzi degli eco-attivisti nel sollecitare l’attenzione del pubblico somigliano a una forma di resistenza post-situazionista contro l’indifferenza collettiva di fronte alle catastrofi ambientali

Pomodoro sui Girasoli di Van Goghmani incollate su un dipinto di Picasso; le Campbell’s Soup Cans di Warhol imbrattate con pennarelli blu. I casi abbondano. Due giovani intervistati dal Guardian affermano: “cosa vale di più l’arte o la vita?”.  Di eventi “provocatori” ne abbiamo visti molti. Eppure questi episodi che mettono il valore della vita – la salvaguardia del pianeta – di fronte al valore di importanti opere d’arte, hanno qualcosa della performance. Ma, a differenza delle performance ormai ben integrate nel sistema dell’arte, queste si caratterizzano in quanto debordano ogni cornice estetica e museale. Potrebbero far parte – con le dovute differenze – di quegli “slittamenti della performance” di cui parla Teresa Macrì in un suo recente libro, poiché mettono la pratica della performance alla stregua di un’azione politica. Gesti di insubordinazione, che rievocano l’anti-arte dei dadaisti e delle seconde avanguardie degli Anni Sessanta del secolo scorso. Ieri l’artista come semplice cittadino poteva scegliere di ridefinire i limiti del proprio ruolo nella società. In queste azioni di insubordinazione, il valore attribuito alle opere è preso in ostaggio per segnalare la violenza fatta alla natura. 

“Al valore cultuale e feticistico dell’opera fa da contraltare il valore assoluto della sopravvivenza del pianeta”

Eco-attivismo e opere d’arte

Ora, nel caso del rapporto arte/vita posto da queste performance, si tratta certo di violenza, ma di una violenza simbolica, dovuta al fatto che tutte le opere “offese”, erano protette dal vetro. Questa strategia è elementare: ci dice che al valore cultuale e feticistico dell’opera fa da contraltare il valore assoluto della sopravvivenza del pianeta. In sostanza, gli eco-attivisti mettono le nostre responsabilità di fronte ai sogni che tradiamo, di cui la natura è lo scenario mitologico, paesaggistico e narrativo. Tutti elementi di cui l’arte si è sempre nutrita. Così, d’un colpo, il museo si trasforma in una brutta sorpresa. Cosa scegliere? La risposta emotivamente è semplice: punire gli artefici di questi gesti vandalici. Certo, uno choc, che investe la percezione dell’arte come oggetto di venerazione. Eppure queste azioni-performance non programmate, involontariamente rilanciano l’espressione di Adorno per il quale “l’arte oggi non è quasi più pensabile altrimenti che come la forma di reazione che anticipa l’apocalisse”.  Ma di choc l’arte moderna e contemporanea ne ha conosciuti molti. Nel Manifesto del futurismo si legge: “Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie, e combattere contro il moralismo”. Che dire di queste parole pubblicate nel 1909?  Istigazione a delinquere? Se dovessimo giudicare molti eventi della storia dell’arte, o a lato di essa, con le lenti del moralismo, non vi sarebbe più né arte né storia dell’arte, ma propaganda al servizio del potere di turno. I disperati sforzi di questi giovani nel sollecitare l’attenzione del pubblico, somigliano a una forma di resistenza post-situazionista contro l’indifferenza collettiva di fronte alle catastrofi ambientali. 

Gli attivisti di Just Stop Oil incollati al van Gogh a Londra, still da video
Gli attivisti di Just Stop Oil incollati al van Gogh a Londra, still da video

La dinamica tra arte e vita

Per ritornare alla questione di fondo posta da queste azioni, credo che la domanda “l’arte o la vita?”, sia posta male. E dal momento che l’arte non è necessariamente tutta quella che entra in un museo, vale la pena riportare alcune parole di Duchamp in merito, che in una intervista osservava: “Per quanto mi riguarda la storia dell’arte è ciò che rimane di un’epoca in un museo, ma non è necessariamente ciò che di meglio c’era in quest’epoca, e in fondo, è perfino, probabilmente, l’espressione della mediocrità dell’epoca perché le cose belle sono sparite”. Secondo la filosofa Judith Butler “chiedere se l’arte è più importante della vita significa dare per scontato che l’arte non sia la vita, o che comunque non si interroghi sulla relazione tra arte e vita”. E dal momento che “l’attacco” alle opere è stato limitato a quelle protette dal vetro, questo dettaglio dà la misura cautelare del gesto: si è trattato di simulazioni d’attacco. L’integrità delle opere in fondo non è stata compromessa. L’esibizione di un barattolo di conserva in uno spazio museale non ci dice nulla della vita dell’operaio che l’ha prodotto, né sul consumatore. Imbrattarlo, allora, non fa che aumentare il valore estetico che si attribuisce a questo oggetto banale elevato a icona di culto estetico. Perché si colpisce ciò che si ritiene simbolicamente pregnante, come è accaduto alle Torri Gemelle nel 2001, effige del sistema capitalistico. Solo che in quel caso l’attacco è stato reale, non simulato. Se questi artisti involontari fossero stati davvero dei veri vandali, avrebbero rotto i vetri di protezione e distrutto le opere. Ma il clamore che i loro gesti hanno suscitato non è nulla in confronto ai crimini ambientali provocati dalla sete di profitto perseguito da persone a capo di compagnie petrolifere, complessi industriali e multinazionali con i loro portavoce politici, i quali come osserva il subcomandante Marcos “vestono le firme più prestigiose, portano cravatta e lavorano in uffici arredati da illustri designer in palazzi firmati dai più grandi architetti”. 

Marcello Faletra

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Marcello Faletra

Marcello Faletra

Marcello Faletra è saggista, artista e autore di numerosi articoli e saggi prevalentemente incentrati sulla critica d’arte, l’estetica e la teoria critica dell’immagine. Tra le sue pubblicazioni: “Dissonanze del tempo. Elementi di archeologia dell’arte contemporanea” (Solfanelli, 2009); “Graffiti. Poetiche della…

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