Tragicomiche vicende e incontri funesti. Le storie dell’arte nel libro di Andrea Bellini
Il mondo dell’arte non esiste, esistono piuttosto tanti mondi dell’arte: ognuno sceglie il proprio. Parola del direttore del Centre d'Art Contemporain Genève e autore di un libro di autofiction con le illustrazioni di Roberto Cuoghi
Storie dell’arte contemporanea, edito da Timeo, è un libro unico, divertente, estremamente sconfortante e del tutto realistico, anche se l’autore, Andrea Bellini, nel disclaimer delle prime pagine ci suggerisce che tutto quanto sarebbe frutto della sua fantasia.
Quando e come è nata l’idea di questo volume?
A dire il vero non ho mai deciso di scrivere questo libro, diciamo che ad un certo punto ho sentito l’esigenza di raccontare alcune storie. Inizialmente non pensavo nemmeno che le avrei pubblicate. La prima l’ho scritta nel mese di febbraio 2020. Ho pranzato con una collezionista in un ristorante di Ginevra, un appuntamento impegnativo e curioso; quindi, sono tornato nel mio ufficio e ho scritto di quell’incontro. Poi non ho più smesso. Credo di aver cominciato a scrivere perché avevo voglia di fare altro, volevo prendere una pausa mentale dalle mostre, dal mestiere. Ciò che conta nella vita è fare, e cambiare anche, altrimenti vivere può essere spaventoso. Non mi piacciono quei film di cui si conosce il finale, in particolar modo se il finale riguarda il sottoscritto.
Tra le varie storie presenti nel libro ce ne sono alcune che non hanno strettamente a che fare con l’arte o con situazioni ad esse connesse. Mi sembra che tu tratteggi il ritratto di un gruppo sociale abbastanza definibile nel suo essere cangiante. Questo complesso di personaggi si impongono nel mondo dell’arte principalmente grazie al loro capitale economico, reputazionale e relazionale. Mi piacerebbe sapere da te quanto spazio e importanza ha assunto nel mondo dell’arte questo gruppo sociale?
Io credo sia evidente a tutti l’importanza – economica e non solo – di alcuni personaggi che frequentano il mondo dell’arte, ma questo a me non sembra un problema. Io volevo raccontare alcune storie e volevo farlo in un certo modo, volevo misurarmi con la scrittura. In fondo le cose che racconto sul mondo dell’arte sono risapute, la questione è come le racconto, insomma l’ambizione del libro è tutta letteraria. E poi, come tu dici, molti capitoli non riguardano l’ambiente dell’arte contemporanea ma altro, come la mia infanzia per esempio.
Nella tua carriera quando ti sei scontrato con questi personaggi e con queste dinamiche come hai reagito? Com’è stato il tuo percorso adattamento? Mi piacerebbe sapere da te se pensi che queste dinamiche siano sempre esistite e se ritieni ci sia stata un’evoluzione nell’ultimo periodo.
Io penso che queste dinamiche siano sempre esistite, il mondo è quel che è, meglio non essere ingenui al riguardo. Io mi sono dovuto adattare come fanno tutti, e poi non mi ritengo una persona migliore dei personaggi che descrivo. Attraverso questo libro racconto me stesso, e raccontarsi è sempre una forma di autodenuncia. La cosa che trovo potenzialmente interessante e divertente – dal punto di vista del lettore – è che i miei racconti sono pieni di falsi indizi, di depistaggi. Non solo il protagonista del libro ma perfino l’autore potrebbe essere un personaggio di finzione. Questo dubbio sorge – io credo – soprattutto nel finale, nella storia in cui l’ascensore rimane bloccato a causa di un blackout. Lo scrittore è costretto a riflettere su quello che fa, e quindi confessa di essere una persona malsana, inquinata fino al midollo, ma io non sono sicuro di essere lui, e poi le autofiction sono piene di menzogne, ma queste sono cose che si sanno.
In un racconto, dopo una cena con personaggi facoltosi in cui tu e un’artista venite allontanati frettolosamente a causa di una tua risposta un po’ tagliente, e quest’ultimo ti dice: “Non stupirti vecchio mio se un giorno non avrai più lavoro, e ricorda che solo gli ipocriti sputano nel piatto in cui mangiano”. Al che tu rispondi che tu non mangi da quel piatto. È effettivamente possibile non mangiare da quel piatto?
Io ho sempre lavorato per riviste d’arte o per istituzioni pubbliche, non sono mai stato a busta paga di collezionisti privati, anche se – in assoluto – non ci vedo niente di male. Dipende per chi si lavora ovviamente. Per i collezionisti presenti in quella determinata cena – a cui tu fai riferimento – non lavorerei.
Un altro aspetto su cui mi ha fatto riflettere questo libro è che il grande pubblico appassionato o curioso non conosce per niente tutte queste dinamiche bizantine che stanno nel backstage anche di mostre insignificanti. Questo potrebbe spiegare in parte perché l’arte contemporanea ha un ruolo piuttosto insignificante nel dibattito pubblico, almeno in Italia? Non essendoci trasparenza e dialogo, eccetto in rari casi, alla fine il sistema partecipativo e critico è totalmente nullo o inutile.
È vero che c’è poca trasparenza e ancor meno vera critica, ma non sono certo del fatto che questo sia all’origine dell’assenza di un dibattito allargato. E poi è necessario che il pubblico conosca le dinamiche interne o nascoste del mondo dell’arte? Non lo so. Queste dinamiche, a mio avviso, diventano rilevanti per il pubblico solo se trasfigurate, dall’arte stessa per esempio o dalla letteratura. Per quanto riguarda il dibattito pubblico credo bisognerebbe prima verificare – dico in generale – quale forma abbia assunto oggi, e se esiste ancora. A me sembra che esistano al contrario una infinità di mondi, una miriade di monadi poco interessate a dibattere veramente e a conoscersi reciprocamente.
Spiegaci meglio
Ognuno di noi viene risucchiato in un proprio ecosistema digitale di informazioni, notizie, umori e malumori: all’interno di questo microcosmo troviamo tutto il nostro agio e tutto il nostro disagio. Viviamo nell’illusione di essere attori di un mondo iper-connesso, ma siamo nutriti del solo cibo che ci conforta: cioè delle nostre stesse opinioni. Conoscere un mondo diverso dal nostro diventa paradossalmente sempre più difficile. L’incancrenirsi attuale delle crisi politiche, in Medio Oriente ma anche in Europa, potrebbe – almeno in parte – essere il risultato di queste dinamiche.
Un’ultima domanda: pensi che questo pantheon di personaggi, dinamiche e relazioni sia solamente ristretto al mondo dell’arte o qui abbia semplicemente trovato il suo terreno d’elezione?
Il mondo dell’arte è molto peggio di come io lo descrivo nel libro, ma anche molto meglio. In fin dei conti il mondo dell’arte non esiste, esistono piuttosto tanti mondi dell’arte: ognuno sceglie il proprio, in base al proprio carattere e alle proprie inclinazioni. È una questione di sensibilità, di senso del pudore e di sopravvivenza anche. Altri ambienti – penso alla moda o al cinema – non sono necessariamente migliori del nostro, anzi. Perfino l’apparentemente candido mondo dell’antropologia nasconde esempi di autentico degrado. Basta andare a vedere come si sono comportanti tra gli Yanomami in Amazzonia personaggi come Jacques Lizot e Kenneth Good per provare puro orrore. A confronto di questi ricercatori, i curatori d’arte contemporanea sembrano dei veri chierichetti.
Dario Moalli
Storie dell’arte contemporanea, Andrea Bellini
Timeo, 2023
pag. 204, €20,00
ISBN 9791281227125
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