Tensioni Superficiali
In una cultura segnata dal virtuale e dal rapido susseguirsi di nuovi media, che posto diamo alla superficie, espressione stessa di una sostanza fisica? Questa è la domanda che si pone Giuliana Bruno, autrice di Superfici. A proposito di estetica, materialità e media.
Comunicato stampa
Tensioni Superficiali, la nuova esposizione presso ESH Gallery, cerca di dare una personale risposta attraverso una selezione di opere che con differenti tecniche presentano un’ampia indagine sulle possibilità artistiche della resa delle superfici. La superficie è la pelle più esterna della materia, quella che possiamo vedere e toccare, quella che per prima quasi inconsapevolmente comunica all'osservatore, trasmettendo una moltitudine di sensazioni e messaggi espressivi, dai più tattili e materici ai più concettuali. Da qui l’idea di tensione nel titolo, quella stessa che si sviluppa tra opera e osservatore, in quella dinamica, mai banale tra contemplazione e l’invito al tocco.
Tra i diversi materiali presenti in mostra, la ceramica è forse quello che offre più possibilità in questo senso.
La giapponese Ichiyo Sawada, ad esempio, nel foggiare le sue opere esercita un sapiente controllo della trama superficiale, con la quale attribuisce un pacato dinamismo alle masse. I solchi che attraversano le forme e si distribuiscono sulla superficie ripercorrendone la tensione strutturale della massa, esercitano innegabili suggestioni che collegano la grande tradizione Zen ai linguaggi più attuali dell’arte e del design.
La superficie delle opere di Leonardo Bartolini è invece scabra, irregolare, arricchita da granaglie, innesti metallici e da trame ottenute a Jomon. Questa antichissima tecnica giapponese consiste nel passaggio di intrecci sulla superficie e l’uso della terra sigillata, tipologia di ingobbio già noto a Greci, Etruschi e Romani.
Simone Negri attraverso monocotture ad alte temperature ottiene superfici percorse da affascinanti sfumature e crettature di pigmento blu che spingono a riflettere sulla trasformazione indotta dal trascorrere del tempo.
“L’epidermide” esterna delle sculture di Marta Palmieri è sapientemente modellata per mezzo della spatola e arricchita da sedimentazioni di ossidi metallici in modo da ricordare arcaici reperti emersi dalla terra.
Il vetro è il materiale scelto dal coreano Kyou Hong Lee e dalla giapponese Ōki Izumi per dar vita a opere dalle superfici eteree, sospese tra il materiale e l’immateriale in cui la vera protagonista diventa la luce.
Dalle lastre in vetro satinato di Lee emergono irregolarmente dinamici elementi in cristallo che paiono fluttuare nell’immobilità della materia.
Lo sguardo dell’osservatore invece penetra e attraversa le superfici dei vasi e delle architetture in vetro verdazzurro di Ōki Izumi che in base al variare della luce suscitano differenti impressioni e stati emotivi.
La costruzione della superficie, come elemento definitivo dell’opera stessa, si può ritrovare nelle sculture in bambù di Shingo Muramoto: la superficie in lacca – altro non è che un accumulo di strati – si auto plasma tra i rami durante il processo di asciugatura dando vita alla sinuosità e all’estremo dinamismo che contraddistingue le sue opere.
Il desiderio di indagare la superficie da un punto di vista antitetico a quello della materia è osservabile nel lavoro di Giovanna Strada e Manuel Bonfanti. Strada ci invita ad immaginare una superficie là dove non c’è. Le sue installazioni a parete, rigorosamente regolamentate dal ruolo delle proporzioni matematiche, sfidano l’osservatore a definire il concetto stesso di opera da parete.
Bonfanti invece, rimanendo nel solco apparente della pittura tradizionale, tratta le superfici monocromatiche con stesure più o meno dense di colore dall’effetto fortemente materico, quasi tattile.
Artisti presenti: Ichiyo Sawada, Leonardo Bartolini, Simone Negri, Marta Palmieri (ceramica); Kyou Hong Lee, Ōki Izumi (vetro); Shingo Muramoto (lacca); Giovanna Strada, Manuel Bonfanti (pittura)