Verso il Museo del Violino, Cremona svela L’anima della musica secondo Jaume Plensa. Quattro metri di altezza per la scultura del catalano: che replica all’ombra del Torrazzo il celebre Nomade di Antibes
Se ne sta lì, accovacciato nella corte del Palazzo dell’Arte di Cremona, sede dell’ormai imminente Museo del Violino. È alto all’incirca quattro metri: un gigante senza volto, comodamente appoggiato al suolo, vestito solo di un ricamo in acciaio. La pelle un pentagramma, fittamente tatuato di note e chiavi. Così L’anima della musica nella personificazione di Jaume Plensa: è […]
Se ne sta lì, accovacciato nella corte del Palazzo dell’Arte di Cremona, sede dell’ormai imminente Museo del Violino. È alto all’incirca quattro metri: un gigante senza volto, comodamente appoggiato al suolo, vestito solo di un ricamo in acciaio. La pelle un pentagramma, fittamente tatuato di note e chiavi. Così L’anima della musica nella personificazione di Jaume Plensa: è lo stesso artista catalano – a breve su Artribune un’ampia intervista con lui – a svelare la scultura che segna una nuova tappa di avvicinamento della città all’apertura del nuovo spazio espositivo. Un evento fissato per la prossima primavera e al quale pare ormai certo parteciperà – da queste parti ci tengono assai – il Presidente della Repubblica: la posa dell’opera di Plensa, insieme a quella del Suono d’acciaio disegnato da Helidon Xhixha per l’antistante piazza Marconi, fa da ideale apripista per un appuntamento più che atteso.
L’opera si inserisce in quel filone inaugurato cinque anni fa con il Nomade di Antibes e replicato a Saragoza con El alma del Ebro: la figura dell’uomo seduto, le ginocchia al petto, è ormai marchio di fabbrica della recente produzione di Plensa, ben noto per accompagnare con la sua multimediale Crown Fountain la “nuvola” di Kapoor a Chicago. Variazione sul tema, questa volta, il doveroso richiamo alla musica: la pelle della statua, in altre occasioni tessuta di una complessa trama di lettere in acciaio, si tramuta in un avvolgente pentagramma costellato di note e chiavi. Per un risultato che, a maggior ragione grazie alla furbesca illuminazione nelle ore serali, guadagna se possibile in termini di fascino e suggestione. Ai detrattori il compito di ironizzare su uno sforzo concettuale certo non sovraumano; chiaro punto a favore dell’operazione, invece, la capacità di una città ai margini dell’impero economico e produttivo di riconoscere, volere e ottenere il contributo di un grande del contemporaneo. Di questi tempi non è cosa da poco.
– Francesco Sala
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