Il nuovo spettacolo dei Motus che riflette sul romanzo Frankenstein
È in tournée la nuova creazione della compagnia di Rimini, che parte dal celebre romanzo gotico di Mary Shelley per interrogarsi sulle contraddizioni del presente, fra identità fluide e difficoltà a riconoscere e accettare il non-conforme
Dopo il debutto all’Arena del Sole di Bologna e le due successive date al Festival delle Colline Torinesi, il nuovo spettacolo della compagnia fondata a Rimini nel 1991 da Enrico Casagrande e Daniela Nicolò arriva alla Triennale di Milano dal 22 al 26 novembre e, nei primi mesi del 2024, in molti teatri. Frankenstein (a love story)è un lavoro stratificato e pensoso, che segna da vari punti di vista una nuova tappa nell’itinerario artistico, artisticamente ed eticamente rigoroso, dei Motus.
Lo spettacolo dei Motus ispirato a Frankenstein
Punto di partenza del lavoro è il romanzo gotico Frankenstein, scritto nell’estate 1816 dalla diciannovenne Mary Shelley. Un “classico” composto in una stagione climaticamente anomala – l’eruzione del lontanissimo vulcano Tambora oscurò a lungo il Sole e abbassò drasticamente le temperature – durante un monotono soggiorno in Svizzera, da una scrittrice inquieta e certamente “aliena” alla propria epoca. Troppo intelligente e sensibile, indipendente e rosa dal demone del costante interrogarsi sul mondo e sul destino – il suo, tragico per molti aspetti, dagli aborti alla morte prematura dei figli, alla tormentata relazione amorosa col poeta Percy Shelley… Una donna per molti aspetti “esemplare”, che Casagrande e Nicolò pongono al centro del proprio spettacolo, costruito sulla dettagliata analisi autoptica di tre diverse solitudini: ci sono, dunque, MS, la “creatrice”, incarnata dall’attrice e regista greca Alexia Sarantopoulou; il “creatore” Viktor, cui dà corpo Silvia Calderoni; e, infine, la “creatura” – al femminile, perché, sostengono i Motus, “incarna tutte le fragilità e contraddizioni che all’epoca della scrittura del romanzo erano pregiudizialmente attribuite alle donne” – interpretata dallo stesso Enrico Casagrande, di nuovo protagonista su un palcoscenico dopo il leggendario Splendid’s (2002).
I tre si muovono in un paesaggio algido e straniante, un luogo metafisico dove la loro stessa corporalità acquista un’inedita consistenza, allo stesso tempo indubbiamente fisica/carnale e tuttavia simbolicamente astratta. E, non a caso, i loro monologhi – la triade dei personaggi non può incontrarsi e abita il palcoscenico in sipari successivi – combinano frammenti tratti dal romanzo, particolari della biografia di Mary Shelley, ma anche passi estrapolati dalle opere di studiose quali Donna Haraway, Ursula Le Guin, Lynn Margulis. Una drammaturgia, curata dalla performer, attivista e ricercatrice Ilenia Caleo, densa e coesa e che non soltanto segnala un ritorno alla “parola” della compagnia riminese che, negli ultimi spettacoli, aveva posto l’accento maggiormente sulla drammaturgia fisica/visiva/sonora; ma testimonia di una solida capacità di affrontare problematicamente tematiche attuali complesse. L’”alterità” raffigurata all’interno dello spettacolo, infatti, è coniugata in differenti ma rigorose e roventi declinazioni.
L’allestimento dello spettacolo dei Motus
Teloni di plastica trasparente, la stessa plastica che, come un bozzolo, avvolge la “creatura”, e luci chiaramente evocative. Un girasole, una poltrona, pennarelli colorati e un microfono. Una vestaglia e poi un sontuoso abito ottocentesco; scarpe da ginnastica e camicie candide; tute di felpa nere e nudità, quest’ultima inerme e percorsa da inascoltata disperazione. Un’atmosfera sospesa e onirica, in cui le inquietudini e gli interrogativi esistenziali dei tre personaggi acquistano potente e conturbante centralità, grazie alla lucida e dolente evidenza che a essi attribuisce la loro irrisolta solitudine. La consapevolezza della propria “mostruosità”, ovvero della propria non riducibilità ai canoni comunemente accettati dalla società, relega i tre in uno spazio inevitabilmente desolato e remoto. La donna indipendente, il creatore visionario, la “creatura” non – o, meglio, ultra-umana – sono dunque ipostasi dolenti e mai rabbiose di tutta una contemporanea “hideous progeny” di cui fanno parte anche gli artisti, cassandre inascoltate se non vituperate dalla società – l’incisivo monologo della “creatura”, piano e sofferente e proprio per queste qualità implacabilmente tagliente. Solitudini che richiedono ascolto pur sapendo che non l’avranno, voci che urlano al microfono in un deserto lunare che moltiplica invano quelle parole di lancinante verità.
Laura Bevione
Le date della tournée
22 – 26 novembre 2023, FOG Triennale Milano
17 febbraio 2024, Centro Servizi Culturali Santa Chiara, Trento
2 marzo 2024, Teatro Galli, Rimini
9 marzo 2024, Teatro Koreja, Lecce
6 aprile 2024, Teatro Kismet, Bari
www.motusonline.com
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