Detropia: raccontando Detroit
Detroit è il racconto dell'America dell'ultimo secolo. La grande migrazione degli afro-americani, la crescita del settore manufatturiero e della middle class. Il famoso e glorioso sogno americano, e poi il collasso. Dell'economia e insieme a lei quello del suo mito.
Detropia è un documentario che parla di Detroit, una città di cui si sa ben poco. L’America sembra essere New York City, Los Angeles, Chicago e le altre meraviglie che gli Stati Uniti ci offrono. Perfino gran parte degli americani non l’ha mai vista; la considerano ormai troppo pericolosa. Heidi Ewing, nativa della città, e Rachel Grady – le registe di questo film-documentario, che al Sundance Film Festival è stato premiato con l’U.S. Documentary editing award – hanno invece voluto omaggiarla.
Detropia non analizza le cause della crisi, ma vuole piuttosto mostrare le cose allo stato attuale ed essere, al contempo, un tributo alla città e a quella sua antica bellezza che non mai è morta. Un sindacalista, il proprietario di un blues bar, una video blogger e un artista raccontano di questo posto ricordando com’era, mostrando com’è, immaginando come sarà.
Ci parlano di una Detroit stupenda, una città prospera dove chiunque lavorasse sodo avrebbe potuto toccare con mano l’american dream, di cui ora non è rimasto molto.
Passeggiando per il centro non è difficile incontrare ruderi di case, di bellissimi palazzi un tempo sede di compagnie, commerci e divertimenti, abbandonati e in stato di decadenza. Tutto ciò a causa di una crisi, sociale prima, economica poi, che a partire dagli anni ’60 ha indotto la middle class e i ricchi americani ad andarsene, lasciando i meno abbienti in condizioni di forte disagio e precaria sicurezza. La città, sull’orlo della bancarotta, è diventata una specie di grande ghetto e col tempo l’amministrazione ha dovuto tagliare perfino i servizi primari: autobus e luci delle strade.
Qualche numero può aiutarci a capire l’entità del fenomeno: Detroit era la città con il maggior incremento demografico, non in America ma nel mondo. Nel 1950 contava 1.850.000 abitanti e nel 2010 713.777. Allo stato attuale ci sono 40.000 case disabitate, di cui 10.000 verranno presto abbattute. La percentuale di disoccupati sfiora il 50%, e il dato non cambia se guardiamo alla perdita di lavoro manufatturiero registrata negli ultimi dieci anni. Il rapporto dell’FBI sui 25 luoghi più pericolosi in America riporta Detroit al numero 2, seconda solo a Flint, sempre in Michigan. 50.000 fabbriche hanno chiuso i battenti e General Motors, che vantava 79.000 impiegati, oggi ne ha a malapena 8.000.
Le immagini che si susseguono sullo schermo fotografano questa situazione: una città desolata che porta con sé tutto lo sgomento e la nostalgia che chi è cresciuto qui può provare. Sono, però, anche visioni di grandiosa bellezza: gli edifici di GM che si stagliano nel cielo al tramonto, la vecchia stazione dei treni, la Detroit Opera House, il panorama di cui si può godere da una casa abbandonata.
Nonostante i problemi, il degrado e la povertà, lo stato d’animo che permea il film non è di rassegnazione o di sconforto. Detropia non è questo. “Il cambiamento richiede fatica, è un lavoro duro”, dice uno dei protagonisti del film. Nel caso di Detroit il lavoro sarà ancor più duro perché bisognerà combattere contro una crisi che affonda le sue radici a cinquant’anni fa, ma i suoi abitanti la amano e già si intravede una luce, seppur fioca, alla fine di questo lungo tunnel.
Giulia Cirlini
Heidi Ewing, Rachel Grady – Detropia
USA / 2012 / 90′
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