Il linguaggio delle immagini: la grande fotografia italiana in mostra a Soliera
Un’indagine sulla fotografia italiana tra gli Anni Ottanta e Novanta, con un taglio curatoriale, che mette in scena opere di artisti cardine di quel preciso momento storico
Il linguaggio delle immagini è il titolo della mostra allestita al Castello Campori di Soliera, nei pressi di Modena. La rassegna è un’indagine della fotografia italiana tra gli anni Ottanta e Novanta. Ovviamente la pretesa non è quella di documentare tutto quello che è stato fatto in quei vent’anni, il taglio della mostra è curatoriale. Si tratta della lettura di un momento di grande mutamento. La mostra propone opere di fotografi che hanno continuato in quel ventennio a ribadire l’opportunità di quel linguaggio da parte di fotografi e di artisti da Gabriele Basilico a Olivo Barbieri a Luigi Ghirri a Guido Guidi a Mario Cresci. Ma chiunque abbia vissuto quel periodo, nel mio caso solo il secondo decennio, ricorda quanto sia stato difficile operare con quel linguaggio, in gran parte snobbato dal mondo dell’arte. Determinanti in tal senso sono state le ricerche di artisti qui in mostra, quali Alessandra Spranzi, Marina Ballo, Silvio Wolf, Carlo Benvenuto, Luigi Ontani, Marzia Migliora e altri. Un omaggio con un’opera del 1969 è a Franco Vaccari che ha visto Modena a livello di cane e che nel 1979 ha pubblicato con la casa editrice di Ghirri, Punto e Virgola, il determinante Fotografia e inconscio tecnologico.
Il linguaggio delle immagini: il racconto di Marcella Manni
Autrice della lettura è Marcella Manni, che da parecchi anni gestisce lo spazio espositivo Metronom Modena e che nel suo testo introduttivo in catalogo (Metronom Books) cita un passo di Estinzione di Thomas Bernhard, una delle personalità più intelligenti e significative della letteratura del ‘900. Il grande scrittore austriaco rifiuta le immagini celebrando la supremazia della parola. Manni è come se rispondesse: “L’immagine genera parole (frasi, lessico) così come le parole generano immagini. Oziosa è la ricerca di definizione, è riduttiva la categorizzazione, le immagini pertengono al visto e al non visto, al singolo e alla collettività, guardare le immagini, leggendone il contenuto è una sfida seducente e mai esaurita. Perché l’immagine, e qui sta la differenza, se sopravvive al tempo e allo spazio e non al senso di mera conservazione ma appunto di linguaggio, non esaurisce mai se stessa e si offre sempre e comunque per uno sguardo che non è di riconoscimento, ma di scoperta. E qui, nello scarto temporale, sta il suo valore e la sua universalità”. In catalogo, infatti, sono una serie di interessanti conversazioni con addetti ai lavori da Mario Trevisan a Ettore Molinario.
Angela Madesani
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