A Torino chiude la Norma Mangione Gallery. Che diventa Archivio dell’artista Salvo
Alla fine del 2023 la galleria torinese si appresta a concludere un ciclo durato quasi quindici anni. Poi, l’impegno di Norma Mangione si concentrerà sull’Archivio Salvo. Con lei abbiamo parlato dei motivi della scelta, dei progetti futuri, ma anche del ruolo delle gallerie nel sistema dell’arte
Sulle pareti della Norma Mangione Gallery, la serie Solar Power (2023) di Ruth Proctor – insieme di cianotipie che esplorano l’acqua in movimento – convive con la scultura in gesso applicata su un’asse di legno di Francesco Barocco (Untitled, 2023), la pittura minimalista di Bernd Ribbeck, le fotografie di Raphael Danke. Ma tra i protagonisti della collettiva Ghost Track, allestita fino al 22 dicembre negli spazi della galleria torinese, vanno annoverati anche Anita Leisz, Francesco Pedraglio, Stefanie Popp, Michael Bauer, Viktor Kolar, Daniel Faust, Salvo.
Nel 2009, Norma Mangione (Torino, 1977) esordiva come gallerista organizzando la prima mostra personale di Proctor in Italia. Poi sono arrivati gli altri artisti, italiani e internazionali, dieci in totale, che la galleria di via Matteo Pescatore ha rappresentato mentre si prefiggeva l’obiettivo di valorizzare l’opera dell’artista siciliano Salvo (Leonforte, 1947 – Torino, 2015; al secolo Salvatore Mangione), con impegno crescente in seguito alla sua scomparsa. Al 2016, infatti, risale la fondazione dell’Archivio Salvo, che presto traslocherà negli spazi della galleria, prendendone il posto. Ghost Track è dunque l’ultimo atto della Norma Mangione Gallery, una mostra tributo che ne racconta la storia, in vista di una chiusura che ci sembra opportuno leggere più come rito di passaggio, che come effettivo arresto dell’attività. Ne abbiamo parlato con Norma Mangione, per comprendere i motivi della scelta e definire il futuro dell’Archivio che raccoglie l’eredità di suo padre. Un’opportunità per riflettere anche sul ruolo delle gallerie e dei galleristi.
Intervista alla gallerista Norma Mangione
Sono passati quasi 15 anni dall’apertura della Norma Mangione Gallery, era il 2009. Perché la decisione di chiudere ora a favore dell’Archivio Salvo?
È stata una decisione difficile, perché sono molto legata agli artisti con cui ho collaborato, ma la vivo come una presa di coscienza di quello che sta accadendo, un modo di avere un principio di realtà. C’è un interesse crescente per il lavoro di Salvo, è esplosa una sorta di moda: l’impegno con l’Archivio, nato nel 2016, si è intensificato. Finora mi sono barcamenata tra il lavoro al mattino in Archivio e il pomeriggio in galleria: ma ora ricevo centinaia di email al giorno e richieste da evadere. Avrei inevitabilmente trascurato una parte o l’altra; d’altro canto una galleria ha bisogno di pensiero e progettualità, com’è stato nei primi anni vissuti con gioia, e desiderio di intraprendere sempre nuovi progetti. La passione c’è ancora, ma quando subentra troppa fatica credo sia necessario fare delle scelte.
A questo proposito, sorge spontanea una domanda sul riconoscimento che il mercato sta tributando a Salvo negli ultimi tempi. Un’ascesa culminata proprio di recente con la quotazione record raggiunta in asta da Christie’s a Hong Kong.
Io stessa non ho una risposta univoca che spieghi questa ascesa. Sul tema mi confronto costantemente con alcuni addetti ai lavori. Innanzitutto, si sa che in Italia non c’è niente che aiuti gli artisti come morire! E in effetti le quotazioni di Salvo sono aumentate in modo graduale dal 2015, già dai primi anni di attività dell’Archivio sono successe molte cose belle. Nel 2020 Salvo è stato uno degli artisti selezionati per la XVII Quadriennale d’Arte, Fuori; nel 2021 il Macro gli ha dedicato la mostra Autoritratto come Salvo. Ma certamente ha contribuito ad accelerare il processo in ambito internazionale la mostra da Gladstone a New York, nel 2020. Poi sono arrivati il covid e le guerre, e qualcuno ha elaborato la teoria secondo cui i quadri di Salvo restituiscono serenità. Più concretamente, la ritrovata apertura verso la pittura ha aiutato a riscoprire la sua opera: negli ultimi anni molti giovani artisti hanno avuto successo facendo pittura e questo può aver contribuito a far rileggere l’opera di Salvo con un altro sguardo. In ultima istanza, mi piace pensare che anche il lavoro che stiamo facendo come archivio dia un senso di sicurezza e solidità al mercato.
L’Archivio Salvo. Le origini e il futuro
Concentriamoci, allora, sull’Archivio Salvo, che è nato nel 2016 e ora è destinato a prendere gli spazi della galleria. Cosa cambierà e in che direzione si evolverà il progetto?
L’Archivio è nato con l’obiettivo di fare ordine nel lavoro di Salvo, un’operazione complessa a cui lui stesso in vita non voleva dedicarsi. Ho sentito la necessità di farlo, per proteggere il suo lavoro: un bravo artista non ha bisogno di promozione, ma di protezione e di tutela. E al contempo l’archivio vuole essere un punto di riferimento per tutti coloro che vogliono approfondire la sua opera. Quando abbiamo iniziato eravamo io e mia madre Cristina Tuarivoli, poi abbiamo iniziato a collaborare con alcuni critici e ricercatori per alcuni periodi o per singoli progetti e da alcuni anni abbiamo la preziosa collaborazione di Clara Dagosta, che ora è la direttrice dell’Archivio.Vogliamo dunque continuare in questa direzione, perseguendo inoltre un grande obiettivo che è il catalogo ragionato di Salvo: sarà un lavoro lungo, perché abbiamo a che fare con un artista molto prolifico, quasi 50 anni di pratica quotidiana; finora abbiamo archiviato circa 4mila opere, ma potrebbero essere 5mila o 10mila, da rintracciare nel mondo, perché ha venduto molto in vita. La considero un’impresa eroica, ed è la nostra missione a lungo termine.
Però c’è anche l’intenzione di vivere (e far vivere) l’Archivio come un luogo vivo e aperto al confronto…
Sì, continueremo a esplorare l’eredità artistica di Salvo: per indole non siamo “topi da biblioteca”, ci piace collaborare con gli artisti e vorremmo continuare a farlo pur interrompendo l’esperienza della galleria.
Materialmente come cambierà lo spazio? Con che tempi? E cosa dobbiamo aspettarci nel 2024?
Voglio mantenere lo spazio e trasformarlo in sede dell’Archivio. Ma l’ufficio della galleria è piccolo, avremo bisogno di più spazio, quindi faremo dei lavori per trasformare quello attuale. Prima ancora, però, dovremo espletare le pratiche per la chiusura della galleria: si tratta di un lavoro immenso, non voglio affrettare le cose. I prossimi tempi serviranno per strutturare al meglio il lavoro, prima di ripartire. Immagino uno spazio trasversale, che mantenga la mia indole indipendente. E verranno anche le mostre, ma senza la scansione cadenzata cui deve sottostare una galleria.
Il ruolo delle gallerie e il mestiere del gallerista secondo Norma Mangione
Qual è la rinuncia più grande che comporta chiudere la galleria, e quale, invece, la prospettiva più allettante dell’avventura che inizierà?
La galleria è stata un modo per trovare la mia identità, per seguire il mio percorso pur restando figlia dei miei genitori. Per me è stato fondamentale, bello e divertente: pensavo di farlo per tutta la vita. Fare il gallerista è una delle cose più entusiasmanti che si possano fare. Dunque vivo come una rinuncia il privilegio di essere parte di un sistema e la continuità nel rapporto con gli artisti; la potenzialità del passaggio, invece, risiede nel poter fare mostre più ambiziose di prima, svincolata dalla necessità di vendere, propria di una galleria e nell’assecondare di più la mia indole. C’è indubbiamente la paura di rimettersi in gioco, ma a volte penso sia necessario avere il coraggio di cambiare.
Ghost Track è la mostra di commiato della galleria Norma Mangione: ne ripercorre la storia attraverso gli artisti che ha presentato e rappresentato. Come hanno reagito loro alla notizia della chiusura?
In occasione di Artissima ci siamo ritrovati insieme con 8 di loro (Norma Mangione Gallery rappresenta 11 artisti, italiani e non, NdR), per la prima volta nella storia della galleria. Tutti hanno fatto un piccolo discorso: è stato uno dei momenti più belli della mia vita. Mi sono resa conto di quanto una galleria sia importante per gli artisti, che altrimenti rischiano di non avere lo spazio e la possibilità di lavorare. E io sono molto grata agli artisti con cui mi sono relazionata: hanno dato un senso ai miei ultimi 15 anni. La mostra è un saluto e un ringraziamento per aver dato tanto al progetto. Ma è anche un ritratto della nostra storia: le gallerie, in fondo, sono pareti vuote, le opere degli artisti gli danno un senso. Si tratta di un progetto collettivo.
Un’ultima notazione sul panorama delle gallerie torinesi. Che scenario lasci?
Tutti coloro che vengono a Torino durante Artissima sono entusiasti, ma parlare di Torino come capitale dell’arte contemporanea dal mio punto di vista può rischiare di essere uno slogan un po’ sterile. Credo nelle persone, più che nel sistema; e per questo sono ottimista perché nelle istituzioni torinesi ci sono alcune belle novità, persone con buona energia che penso contribuiranno, insieme ad alcune già presenti, a rendere sempre più interessante la proposta artistica della città.
Livia Montagnoli
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