Arte pubblica e Antropocene: il progetto intercontinentale tra Giamaica, Sudafrica ed Emirati
Il termine “ferale” ispira un ciclo di installazioni site specific che vogliono far riflettere sul cambiamento climatico, e al contempo rivalutare l’arte pubblica in contesti non occidentali
Impatto ambientale della produzione artistica, attivismo, decentralizzazione del sistema dell’arte, interscambio tra distretti culturali molto distanti geograficamente e culturalmente tra loro. Sono questi i temi che alimentano il progetto A Feral Commons, programma di interventi di arte pubblica site-specific, promosso da Alserkal Advisory. Partita alla fine di novembre 2023, l’iniziativa produrrà una serie di installazioni sollecitate dalla riflessione sulle sfide poste dal cambiamento climatico, sotto la curatela di Tairone Bastien. A lui il compito di veicolare il senso comune di un progetto che, pur articolato tra Giamaica, Sudafrica ed Emirati Arabi, esprime una missione collettiva, con l’idea di connettere tre continenti in nome del pensiero ecologico e delle risposte che l’arte pubblica dovrebbe impegnarsi a fornire. Ognuna delle installazioni vivrà dunque di vita propria, in relazione alle comunità locali chiamate ad accoglierle; ma tutte saranno coerenti al tema dato, a costituire un primo ciclo di lavoro che farà da apripista a prossime iniziative.
A Feral Commons. Il ruolo dell’arte pubblica
L’obiettivo dei promotori è quello di “riformulare il modus operandi della committenza d’arte pubblica, mettendo in primo piano la sostenibilità del progetto stesso, la lotta al cambiamento climatico e la partecipazione delle comunità locali”. E non a caso l’inaugurazione dei progetti avverrà in concomitanza con la prossima COP 28, che si terrà a Dubai dal 30 novembre al 12 dicembre 2023. Si aggiunge ai traguardi prefissati anche l’occasione di rivalutare l’arte pubblica in contesti non occidentali e di creare nuove narrazioni sulla produzione di opere pubbliche.
Le installazioni del progetto A Feral Commons
Per il progetto, artisti e istituzioni hanno lavorato insieme in tre città – Kingston, Johannesburg e Dubai – a partire da un comune interrogativo: “Come possiamo imparare dalle forme di vita e dall’intelligenza non umana a immaginare una nuova risposta alle crisi globali e alle nostre eredità storiche condivise?“. La committenza di opere d’arte pubblica dovrebbe, in questo contesto, essere il segno tangibile del sostegno che il settore culturale pubblico dispiega nella lotta alla crisi climatica. Tra i criteri dati, la preferenza per materiali riciclati e riutilizzabili e per opere permanenti in grado di migliorare concretamente la vita della comunità; ma anche la promozione del lavoro collettivo sul territorio e, ex post, il monitoraggio dei risultati sociali ed ecologici del progetto Urban Art Projects di Brisbane), per produrre una documentazione da condividere come buona pratica presso una platea internazionale. Ciascuno dei Paesi coinvolti ha visto all’opera artisti del posto: Muhannad Shono (Riyadh, KSA, 1977) a Dubai; Camille Chedda (Manchester, Giamaica, 1985) a Kingston; Io Makandal (Johannesburg, Sudafrica, 1987) ai Cantieri Vittoria di Johannesburg. Il punto di partenza, invece, risiede nel testo dell’antropologa Anna Tsing (Feral Atlas), che con il termine “ferale” definisce tutto ciò che non è umano e, interagendo con l’uomo, riesce a svilupparsi e produrre effetti al di là della visione antropocentrica.
Livia Montagnoli
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