La pittura è morta. Viva la pittura!
I motivi della sopravvivenza della pittura nell’arte contemporanea sono da ricercarsi nelle sue capacità di farsi tramite tra il passato e il futuro
Il dibattito sull’attualità della pittura è longevo forse quanto la pittura stessa. Faccio fatica ad elencare tutti i momenti in cui la discussione ha meritato un’attenzione pubblica: solo per citare i più eclatanti, all’inizio del Cinquecento, la rivalità tra Leonardo e Michelangelo (molto più accesa di quella fantomatica tra Buonarroti e Raffaello) si fa largo anche nel cosiddetto “Paragone delle Arti”, inducendo l’autore della Gioconda ad affermare la superiorità della pittura sulla scultura, in quanto attività speculativa, che non merita di essere derubricata ad ‘arte meccanica’.
Per attingere alle sentenze che hanno fatto storia – anche senza conoscerne le esatte circostanze in cui sono state pronunciate – al pittore Paul Delaroche è attribuita l’affermazione funesta “da oggi, la pittura è morta!”, declamata di fronte al risultato proto-fotografico di un dagherrotipo.
Ciascun artista sa che per conquistare l’eternità non può prescindere dal confronto con chi l’ha preceduto e la pittura persiste come uno dei campi di battaglia più efficaci
Il dibattito sulla pittura
Ma, si sa, la pittura ha dato prova di saper sempre rinascere dalle sue ceneri, come una formidabile Araba Fenice. Negli anni Settanta del Novecento sembrava davvero che il mondo dell’arte fosse pronto ad intonare il De Profundis alla Pittura, cancellata dall’arte concettuale, dalla performance e da tutte quelle forme di sperimentazione che rinunciavano anche al colore, raccontando un mondo fondamentalmente in bianco e nero. Ma era proprio vero che nessuno dipingesse più? Doveva arrivare Mimmo Paladino, nell’ultimo scorcio di decennio, ad affermare con una tela da cavalletto imprescindibile “Silenzioso. Mi ritiro a dipingere un quadro”: dichiarazione di poetica e titolo dell’opera. Un vero affronto per quell’arte politicamente impegnata, socialmente schierata, effimera e imprendibile che fino a quel momento anche lui aveva prodotto. Sappiamo di quale ebbrezza abbia vissuto la Pittura negli anni Ottanta e proprio da quel punto, a mio parere, dovremmo partire per riconoscere il ruolo rivestito oggi da questo linguaggio. È quello il periodo in cui la Pittura ha esaurito la sua forza per eccesso di produzione, sollecitando così le posizioni dei detrattori che, a ragion veduta, hanno cominciato a disprezzare i quadri di pittori improvvisati e cercato altrove il senso dell’Arte.
La pittura come confronto con il passato
La risposta è arrivata negli anni Novanta, quando gli artisti hanno capito di non avere a disposizione una sola tecnica per esprimere il proprio pensiero, anzi, parlare di ‘tecnica’ rivelava un atteggiamento conservatore, obsoleto, addirittura antistorico. Grazie alla libertà assoluta acquisita in quel decennio, oggi per dipingere non bisogna nemmeno “saper dipingere”, non è necessario conoscerne le regole, non è obbligatorio padroneggiare “la tecnica”. Chi lo afferma, è mosso da uno spirito protezionistico fallimentare. La pittura è solo uno degli strumenti a disposizione degli artisti, che spesso la utilizzano quando sentono il desiderio di collegare il proprio lavoro ad una storia secolare. La pittura ha un peso specifico diverso da ogni altro linguaggio.
Ho sempre considerato un vero mistero il motivo per cui Jannis Kounellis abbia affermato fino all’ultimo di essere “un pittore”. Forse perché ciascun artista sa che per conquistare l’eternità – aspirazione comune a tutti – non può prescindere dal confronto con chi l’ha preceduto e la pittura persiste come uno dei campi di battaglia più efficaci. La pittura di qualità è tornata sulle facciate dei palazzi, si insinua nelle mostre dei giovanissimi artisti, puntella le retrospettive dei maestri, si fa notare forse più degli altri linguaggi, perché è inevitabilmente quello a noi più familiare, che ci permette di riprendere il filo di un discorso. Un dialogo che forse, come questo dibattito, non avrà mai fine.
Costantino D’Orazio
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #75
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