Non possiamo definire una sorpresa il fatto che il presidente “con la motosega” Javier Milei, appena eletto a capo del governo argentino, non sia uno strenuo difensore della cultura. Meno scontato è che, dopo appena un giorno in carica, abbia già chiuso il Ministero della Cultura. Una decisione promessa in campagna elettorale, che tenta di risollevare le sorti di un Paese in estrema difficoltà.
Javier Milei, il nuovo presidente dell’Argentina
Economista ultraliberista di estrema destra (già imitatore televisivo di Mick Jagger ed ex istruttore di sesso tantrico), Milei si autodefinisce un “anarco-capitalista” di matrice trumpista. Eletto per affrontare la gravissima crisi economica dell’Argentina – con un’inflazione al 147 per cento, un debito che ha toccato i 45 miliardi di dollari e una povertà dilagante, che coinvolge oltre il 40% dei 46 milioni di abitanti del Paese –, in campagna elettorale aveva anticipato di voler abbattere drasticamente la spesa pubblica, smantellando lo stato sociale e chiudendo la banca centrale. Punto su cui si è dimostrato già all’opera: il ministro dell’Economia Luis Caputo ha annunciato infatti che il governo svaluterà il valore del peso argentino del 50 per cento contro il dollaro statunitense.
La fine del Ministero della Cultura argentino
Prestato giuramento il 10, l’11 dicembre Milei ha annunciato sui social media di aver firmato un decreto radicale che avrebbe ridotto il numero dei Ministeri argentini a meno della metà (da 19 a 9). A sparire, insieme a quello della Cultura, sono quelli della Salute, del Lavoro, dello Sviluppo Sociale e dell’Istruzione (che il neo-presidente aveva chiamato in passato “Ministero dell’Indottrinamento”), che verranno riuniti tutti sotto un più ampio Ministero, quello della Salute e del Capitale Umano (affidato all’ex produttrice televisiva Sandra Pettovello). “Non abbiamo margine per discussioni sterili. Il nostro Paese richiede azione, e un’azione immediata”, ha dichiarato Milei. “La classe politica ha lasciato il Paese sull’orlo della più grande crisi della storia. Non desideriamo le decisioni difficili che dovranno essere prese nelle prossime settimane, ma purtroppo non ci hanno lasciato alcuna scelta”.
Questa non è la prima volta che il Ministero della Cultura argentino viene preso di mira da un presidente di destra: anche Mauricio Macri aveva suscitato dure proteste nel 2018 quando ne aveva drasticamente tagliato il budget, riducendolo de facto a un “segretariato” (come era stato prima del 2014). Il Ministero, che trovava la propria sede a Palacio Casey, era stato ripristinato nel 2019, dopo l’elezione del peronista Alberto Fernández, che l’aveva affidato al regista e sceneggiatore Tristán Bauer. Ora non resta che sperare che quella di Milei sia una decisione vincolata alla crisi, e che come altri Paesi del Sudamerica anche l’Argentina superi questa fase reazionaria per guardare, nel tempo, a uno stato sociale.
Giulia Giaume
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