Il film Comandante di Edoardo De Angelis è davvero cripto-fascista?
Un film racconta la storia di Salvatore Todaro e del salvataggio di 26 naufraghi nel 1940. La destra se ne appropria, la sinistra lo definisce fascista. Ma il regista e lo sceneggiatore non ci stanno
Ancora sulla dittatura dell’o-o. Che, dalle nostre parti, è capace di assumere contorni e tratti decisamente grotteschi. A distanza di un mese e mezzo dalla sua uscita nelle sale, infatti, il film Comandante di Edoardo De Angelis continua a far discutere: mentre un gruppo di idioti si è presentato in un cinema di Spilimbergo con divise naziste, il regista e lo sceneggiatore Sandro Veronesi hanno commentato con amarezza le strumentalizzazioni a cui l’opera è stata sottoposta fin dalla sua presentazione in apertura del Festival di Venezia.
“Un film usato come arma, da un lato e dall’altro: un po’ raggelante”. Ce l’hanno dunque con la destra, che si è prontamente appropriata della vicenda di Salvatore Todaro, ma soprattutto con “certa sinistra: quella che ora ci dà lezioni di antifascismo e non s’è mica vista alle nostre attività per il soccorso in mare”.
Il soccorso in mare, la famosa e antichissima legge del mare che negli ultimi anni ha rivestito tanta importanza nei discorsi e nei dibattiti pubblici, spesso ignorata e addirittura osteggiata, è infatti al centro della storia: a bordo del sommergibile Cappellini, il 16 ottobre 1940 Todaro ordina l’attacco contro il piroscafo belga Kabalo; affondato il nemico, il comandante decide – contro il parere del suo equipaggio – di salvare i 26 naufraghi. Decide di distinguere perciò tra il momento della guerra e quello del salvataggio degli esseri umani: una volta terminato il momento del conflitto, gli avversari sono semplicemente persone. La consapevolezza di questa scelta è, ovviamente, tanto più importante perché viene da un uomo animato da profonde convinzioni fasciste, che in teoria dovrebbero annullare i valori che orientano quella stessa scelta. Il conflitto si svolge perciò innanzitutto all’interno dello stesso protagonista, ed è questo che rende la storia avvincente; se le stesse azioni le avesse compiute un personaggio già antifascista di suo, tutto sarebbe stato abbastanza ovvio.
Il dibattito su Il Comandante di De Angelis
Ma la dittatura dell’o-o, l’abbiamo detto, fa stranissimi scherzi, ed è in grado di ribaltare anche la logica più stringente. Ammetto che mi ero perso, tre mesi fa, la ‘recensione’ di Tomaso Montanari al film di De Angelis, apparsa in occasione dell’anteprima veneziana e intitolata, che va invece direzione del tutto opposta: me l’ha fatta recuperare proprio l’intervista recente ai due ‘colpevoli’.
“Quest’anno, per festeggiare il primo governo di matrice fascista della storia della Repubblica, la Mostra del Cinema di Venezia apre con un film che (basta leggere la rassegna stampa) ha trasmesso al Paese questi due messaggi: il fascismo ha fatto anche cose buone, gli italiani sono brava gente. Al di là delle circostanze casuali (il ben altro film di Luca Guadagnino bloccato da cause di forza maggiore), e delle intenzioni di regista, sceneggiatore, attori di Comandante (che abbiamo finora saputo antitetiche ad ogni revisionismo), la forza del dato di fatto è impressionante. Ed è prova di una egemonia culturale che, se non è ancora fascista, certo non è più antifascista.”
Quindi, nell’ordine impariamo che: A. il film di Luca Guadagnino (Challengers, che non ha potuto aprire la Mostra di Venezia a causa dello sciopero degli sceneggiatori e degli attori di Hollywood) è ‘ben altro’ rispetto a quello di De Angelis; B. il fatto stesso che regista, sceneggiatore, attori di Comandante abbiano deciso di rileggere e interpretare quella vicenda è prova di ‘revisionismo’, del fatto che comunque ‘gli italiani sono brava gente’, e di una ‘egemonia culturale che, se non è ancora fascista, certo non è più antifascista’. Bum.
I film di De Angelis; da Indivisibili a Il Vizio della speranza
Innanzitutto, a De Angelis che – ricordiamo – è stato autore di film, tra gli altri, come Indivisibili e Il vizio della speranza, difficilmente si può imputare di essere protofascista o cripto-fascista. Ma soprattutto, ciò che stupisce è l’idea che un autore non possa raccontare una storia complessa, senza sentirsi rinfacciare di essere totalmente dalla parte di quella storia – eliminando così le sfumature e anche le ambiguità, sì, le ambiguità che sono quella complessità e quella storia. Riassumendo: se racconto di un fascista convinto che, sfidando apertamente gli ordini dei suoi superiori, decide di compiere un gesto di umanità, sono anche io un fascista. Che equivale un po’ a dire: se da scrittore racconto di un serial killer, sono di fatto come persona a favore di tutti i serial killer; se invece racconto una storia di vampiri, sono nella vita a favore del succhiare sangue.
Ancora Montanari: “Da un cinema autonomo, libero, culturalmente solido mi aspetterei oggi film su Matteotti, i Rosselli, Emilio Lussu, la Resistenza delle donne…: non su un buon fascista! E, visto il terribile amore per la guerra che è tornato a dominare il discorso pubblico occidentale, amerei film su storie di diserzione, di rifiuto delle armi: non l’apologia di un sacerdote della guerra, senza macchia e senza paura. Quanti morti ha fatto Salvatore Todaro nelle sue campagne? E al servizio di quali ideali?”
O-o, dunque. In base a una visione di questo tipo, non si può avere al cinema Matteotti, Lussu e Todaro (oppure, Guadagnino e De Angelis). Inoltre, Todaro è solo “un buon fascista”, nient’altro: un criminale a cui è capitato una volta di fare una buona azione, e di cui il film fa l’apologia. Giusta la domanda finale: al servizio di quali ideali? Al servizio di quali ideali è una critica del genere, che pretende addirittura di imporre le storie da raccontare, oltre che il modo in cui raccontarle? Non certo della libertà tanto sbandierata.
Christian Caliandro
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