Maternità e malinconia nella mostra di Albrecht Dürer a Rovereto
Al Mart, celebri dipinti e incisioni di Dürer dialogano con opere di grandi maestri del Novecento italiano, da Morandi a Boccioni
La tradizionale mostra invernale al Mart di Rovereto, Dürer. Mater et Melancholia, mette in risalto alcuni capolavori assoluti di Albrecht Dürer (Norimberga, 1471 – 1528): la Madonna col Bambino, realizzata alla fine del XV secolo durante uno dei viaggi di formazione in Italia, e una serie di incisioni tra le quali spiccano Melencolia I, il San Girolamo nel suo studio del 1514 e l’Adamo ed Eva del 1504, un’opera importante che raffigura due corpi perfetti nelle proporzioni e modellati con un’impostazione classica.
La mostra di Dürer al Mart di Rovereto
In arrivo dalle collezioni della Fondazione Magnani Rocca, le opere del maestro di Norimberga sono simbolo supremo e punto di partenza dell’esposizione per indagare due tematiche universali: la maternità e la melanconia. La mostra può contare inoltre su 70 opere create da pittori di periodi diversi, come Umberto Boccioni, Felice Casorati, Giorgio de Chirico, Lucio Fontana, Giorgio Morandi, Giovanni Segantini, Gino Severini, Mario Sironi, Adolfo Wildt.
Nella Madonna col Bambino, Gesù, che tiene nella destra un rametto di fragole, allusione al suo martirio, indirizza lo sguardo verso la madre. Le afferra la mano sinistra per non compromettere il proprio equilibrio. Ma contemporaneamente sembra preannunciare la stessa mano che sarà perforata dal chiodo della passione. Dürer ha impaginato il gruppo divino con un taglio belliniano e antonellesco, sosteneva Roberto Longhi. Per aggiungere poi che la cuffia della Vergine, coprendo quasi tutta la fronte, richiama stilemi dell’iconografia nordica che Dürer aveva ripetutamente usato nelle incisioni precedenti il secondo viaggio italiano. In questa sezione, la Madonna col Bambino dialoga, tra l’altro, con il Nudo di spalledivisionista di Boccioni del 1909; con la Maternità del 1916 di Gino Severini, che risale al periodo del ritorno all’ordine; con L’Angelo della vita di Giovanni Segantini. Nel dipintol’immagine femminile, adagiata su di una betulla mentre tiene in braccio un bambino, si identifica con la natura.
Albrecht Dürer e la malinconia in mostra a Rovereto
Melencolia I del 1514 è la più celebre incisione di Dürer. Vi si legge l’immagine alata della stessa, in uno stato di completa inazione, seduta sopra un gradino di pietra. Si trova in un luogo gelido e solitario, scarsamente illuminato dalla luce della luna, come si può ipotizzare dall’ombra della clessidra sul muro. Vicino a lei ci sono un putto immusonito che sta scrivendo qualcosa su di una tegola e un bracco malnutrito. Non è inattiva perché non ha voglia di lavorare, ma in quanto il lavoro è diventato privo di senso ai suoi occhi. La sua energia è bloccata dal pensiero. Non siamo di fronte ad una donna pigra ma ad un individuo superiore, per le sue ali, la sua intelligenza, la sua immaginazione. Circondata dagli arnesi simboli dello sforzo creativo e della ricerca scientifica. La sua espressione rimanda ad un essere pensante in uno stato di incertezza. Non è concentrata su un oggetto che non esiste, ma su un problema che non può essere risolto.
La malinconia nel Novecento italiano e in Rembrandt
In mostra l’incisione di Dürer è rapportata alla corpulenta e statuaria Malinconia di Achille Funi del 1930, alla Figura con vaso di Sironi del 1924, dove la donna è un tutt’uno con la brocca in primo piano e il paesaggio con la ciminiera sullo sfondo, e all’Autoritratto con la madre di de Chirico del 1922, con i due protagonisti a mezzo busto davanti ad una finestra aperta sul paesaggio che ricorda soluzioni quattrocentesche.
Procedendo nel percorso è possibile imbattersi in Felice Casorati e la sua Attesa, nella sezione Malinconie della stanza e della partenza. Nell’opera la donna ha le palpebre socchiuse e il volto inclinato. Tutto è predisposto. La tavola è apparecchiata. Mancano gli ospiti. L’attesa è lunga. Sembra misteriosa. Vi si respira un’atmosfera dove il timore si intreccia con la speranza. Si prosegue con il San Gerolamo del 1946 di Carlo Guarienti, recentemente venuto a mancare, in cui l’artista fa convivere modelli arcaici e richiami novecenteschi; e poi la Natura morta con pane e limone del 1921 di Morandi, un’incisione sospesa priva di tempo, figure senza figura dove la mimesi convive con la sua negazione; infine, il Doctor Faust di Rembrandt del 1652 circa. Nella lastra la luminosità dello spazio è ottenuta tramite il tratteggio che alterna la maglia larga a quella fittissima.
Fausto Politino
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