L’ultimo live. A Reggio Emilia la mostra sui CCCP-Fedeli alla linea
La mostra ripercorre la carriera e il pensiero dello storico gruppo punk, proprio nel centro di quella città della cosiddetta “Emilia Paranoica”, da loro eletta a scenario universale
Quello dei CCCP è il gruppo musicale italiano punk più marchiato dal ferro delle linee storiche, politiche e locali degli Anni ’80. Anni che gli album di Giovanni Lindo Ferretti, Massimo Zamboni, Annarella Giudici e Danilo Fatur sono riusciti a superare, senza rimanervi imbrigliati: grazie a una musica punk di ascendenza tedesca arricchita da spettacoli performativi, a un’estetica mutuata dal simbolismo filosovietico e a una chiave di lettura mirata sempre e comunque alla messa in discussione dei sistemi preassegnati. A Reggio Emilia, nei Chiostri di San Pietro, si celebrano i quarant’anni dall’esordio del gruppo, con la mostra “Felicitazioni! CCCP-Fedeli alla linea 1984-2024”, curata dagli stessi CCCP, con allestimenti di Stefania Vasques e light design di Pasquale Mari e Gianni Bertoli. Lungi dall’essere una mera autocelebrazione, la mostra ripercorre la carriera e il pensiero dello storico gruppo punk, proprio nel centro di quella città dell’“Emilia Paranoica”, da loro eletta a scenario universale in grado di proiettarsi fino a Berlino est e ovest, all’URSS, a Beirut, alla Libia, alla Cina, alla Mongolia, a Kabul, alla Palestina, a Israele… passibile così di descrivere una geografia sociopolitica incentrata su una periferia mentale insoddisfatta e a tratti nervosa.
Nella mostra, si viene subito trasportati in questo scenario reazionario, apolide e comunista, in una sorta di Berlino Est, con tanto di allestimento con lastra di muro, una Trabant e degli altoparlanti da cui fuoriescono i proclami di Ferretti. Tutto scaturisce da lì, dalla caduta del Muro, da quel momento di cesura storica e sociale dopo cui il mondo è irrimediabilmente cambiato e ha visto, oltre la “fine delle ideologie”, l’innestarsi di nuove divisioni altrettanto sanguinarie.
A una collezione di cimeli e documenti si alternano installazioni di artisti – tra cui Arthur Duff, Roberto Pugliese, Stefano Roveda e Luca Prandini – componendo, in ogni stanza, una dimensione unitaria in cui non si respira polverosa aria d’archivio, bensì l’atmosfera viva e il senso di un tempo neanche tanto distante, nonostante ci sembri oggi lontanissimo.
Così, al ritmo di “Tomorrow”, e sotto gli sguardi di Amanda Lear, si procede in modo tutt’altro che didascalico, su, per le “Scale”.
La dimensione performativa dei CCCP
Un’ambiente, questo, non secondario, non semplicemente di servizio: poiché l’ascesa segnala un cambiamento. Da questo punto in poi, infatti, il tragitto si scompone e diviene imprevedibile, labirintico: un’umile sedia di fronte al video di “Madre”, e poco dopo una pesante tenda rossa che nasconde un teatro d’avanspettacolo; all’interno del teatrino, l’ora si sfasa in una notte distorta, in un contesto di recita cittadina: e va in scena “Allerghia”, con la sua aria trasgressiva da peep show wendersiano, ma molto più assurda. Tutto è disposto in modo da sottolineare come un aspetto fondamentale della rilevanza (e della grandezza) dei CCCP stia nella dimensione performativa ed estetica, un aspetto spesso trascurato, ma assolutamente attuale, irriverente ed esplosivo ancora oggi. E, sebbene sia connessa al rilancio commerciale della discografia, la mostra non ci mette di fronte a una semplice operazione nostalgia, ma a una riflessione dall’interno sulla storia di un gruppo che non c’è più. Una riflessione profonda, complessa, che coinvolge il visitatore in una specie di ultimo live, definitivo e totale.
Domenico Russo
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati