La storia del quadro rubato di Rutilio Manetti: Il Fatto e Report accusano Vittorio Sgarbi
Il Sottosegretario sarebbe entrato furtivamente in possesso del dipinto seicentesco nel 2013, per poi farlo restaurare e “ritoccare”, e presentarlo nel 2021 come inedito rocambolescamente rinvenuto in una villa di sua proprietà nel viterbese. Il Fatto e Report presentano però solide prove e testimoni, che porterebbero all'apertura di un'indagine per furto di beni culturali
Circa due mesi dopo aver fatto i conti in tasca a Vittorio Sgarbi, il Fatto Quotidiano torna a rivelare retroscena “compromettenti” sulla liceità dei comportamenti del sottosegretario alla Cultura, che lo stesso ministro Gennaro Sangiuliano – proprio a seguito dell’articolo del giornale che indugiava sul giro d’affari dello storico dell’arte ferrarese – ha avuto modo di stigmatizzare pubblicamente (con un’intervista rilasciata sempre al Fatto), invocando l’intervento dell’Antitrust.
Il dipinto rubato di Rutilio Manetti
Stavolta a gettare ombre sulla presunta condotta di Sgarbi sono le incredibili peripezie di un dipinto rubato, la Cattura di San Pietro opera del senese Rutilio Manetti, esponente a cavallo tra XVI e XVII secolo di un tardo manierismo sfociato nel proto-barocco, propiziato da Federico Barocci (a Siena, Manetti si forma con Francesco Vanni e Ventura Salimbeni, ma è a Roma, dov’è particolarmente attivo, che respira le novità del tempo, non ultimo il naturalismo di matrice caravaggesca). A fare luce sulla vicenda (protagonista anche della puntata di Report in onda su Rai3 domenica 17 dicembre 2023, se non prevarrà la diffida fatta pervenire da Sgarbi alla Rai, per violazione di segreto istruttorio), ancora una volta, è Thomas Mackinson, già autore degli articoli apparsi sul Fatto sulle contestate consulenze del Sottosegretario. I contorni sono quelli di un giallo che chiama in causa Sgarbi, “accusato” di aver trafugato il quadro di Manetti in questione, fino al 2013 esposto al Castello di Buriasco (Pinerolo), e di proprietà di Margherita Buzio, che nel febbraio di quell’anno denunciò ai Carabinieri di Vigone il trafugamento dell’opera: ignoti, nottetempo, si erano introdotti nel castello, ritagliando la tela e dileguandosi con il maltolto. Solo poche settimane prima, riferiva alle Forze dell’ordine la signora Buzio dopo varie vittime dello stesso Sgarbi, Paolo Bocedi, collaboratore e amico di Sgarbi stesso, aveva chiesto di acquistare il dipinto. All’epoca il fascicolo finì archiviato, e la controversia non ebbe seguito.
L’inchiesta del Fatto e di Report che accusa Vittorio Sgarbi
Secondo Mackinson, però, il quadro sarebbe ricomparso alle fine del 2021, in occasione della mostra I pittori della luca. Da Caravaggio a Paolini, inaugurata da uno Sgarbi orgoglioso di poter presentare un lavoro inedito di Manetti, di soggetto oggettivamente identico al dipinto trafugato al Castello di Buriasco, fatta eccezione per la presenza di una candela che rischiara la quinta architettonica, conferendo una diversa luce e intensità cromatica alla composizione. Il quadro in questione, sostiene il cronista, sarebbe proprio il dipinto rubato alla legittima proprietaria, però ritoccato, probabilmente con l’intento di tutelarsi da plausibili contestazioni. Proprio la situazione che si presenta ora, con Sgarbi che, incalzato tanto dal Fatto che da Report, rigetta l’accusa ribadendo invece la sua estraneità. Nello specifico, il sottosegretario contesta l’identificazione delle due opere: il “suo” Manetti proverrebbe da un ritrovamento fortuito all’interno di una villa del Viterbese, acquistata da Sgarbi qualche anno fa. L’accusa, però, sarebbe solida e sostanziata da una serie di riscontri che hanno già destato l’interesse del Nucleo di Tutela dei Beni Culturali.
La testimonianza del restauratore Gianfranco Mingardi
Il testimone chiave si chiama Gianfranco Mingardi, restauratore di Brescia che dagli Anni Ottanta collabora con Sgarbi: “Nella primavera del 2013 mi chiama Vittorio” racconta Mingardi a Mackinson “Ti mando un dipinto da mettere a posto, dice”. Il dipinto sarà poi consegnato senza telaio “arrotolato come un tappeto”, spiega ancora il restauratore, in possesso anche di foto che mostrano la versione senza candela dell’opera, prova che, più di tante parole, sembra vanificare la difesa del sottosegretario. “Mi resi conto che quella tela scottava, gli chiesi allora un’attestazione di proprietà” continua Mingardi, condividendo con il cronista del Fatto un segreto taciuto per molti anni “Disse che me l’avrebbe mandata ma non lo fece, e quando protestai mi disse di star tranquillo, che tanto poteva raccontare che stava a Villa Maidalchina, quella poi indicata nella mostra. Gliela restituii finita il 10 dicembre 2018”. All’epoca, la candela “fantasma” ancora non esisteva, conferma il restauratore: “Potrebbe essere stata dipinta (o fatta riemergere) con l’intento di differenziarlo”. Mingardi afferma anche che la tela su cui ha lavorato sarebbe stata tagliata senza troppa premura: il quadro di Sgarbi, infatti, risulta più piccolo rispetto a quello trafugato. Il diretto interessato, raggiunto dal Corriere della Sera, dal canto suo, nega di aver coinvolto Mingardi nel restauro del suo dipinto: “Il quadro del Manetti lo affidai a un altro restauratore di fiducia ed è diverso a occhio nudo da quella crosta che sarebbe stata rubata“.
Ma se non bastasse, anche le dichiarazioni dell’ex proprietario di Villa Maidalchina (complesso seicentesco ora di proprietà della Fondazione Cavallini Sgarbi), Luigi Achilli inguaiano il Sottosegretario, che avrebbe acquistato la proprietà ridotta già da tempo a un rudere, spogliata di qualsivoglia oggetto o bene prezioso. Peraltro, pure nell’inventario dei beni di Andrea Maidalchini, redatto nel 1649, piuttosto dettagliato nel citare diversi dipinti della collezione, non risulta alcun Manetti.
Vittorio Sgarbi indagato per furto di beni culturali?
E l’inizio del 2024 sembrerebbe portare cattive nuove per Sgarbi. Secondo indiscrezioni circolate a mezzo stampa, la Procura di Imperia avrebbe aperto un fascicolo con iscrizione del Sottosegretario, configurando un’ipotesi di reato per furto di beni culturali. La procedura sarebbe nata in seno a un’inchiesta già in corso per esportazione illecita di opere d’arte, ma il fascicolo sarebbe già stato trasmesso alla Procura di Macerata (Sgarbi dichiara il domicilio a San Severino Marche), e non si escludono ulteriori trasferimenti e cambiamenti dell’ipotesi di reato. Dal canto suo, il critico ferrarese smentisce di essere indagato: “Ancora una volta Il Fatto mente, utilizzando informazioni riservate e del tutto ignote a me e al mio avvocato. Io non ho ricevuto nessun avviso d’indagine. Né saprei come essere indagato di un furto che non ho commesso“. Intanto, però, il Procuratore di Macerata Giovanni Fabrizio Narbone conferma l’esistenza di un fascicolo che ipotizza il reato di autoriciclaggio di beni culturali (articolo 518-septies del Codice Penale).
Livia Montagnoli
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