Da Masha Gessen a Candice Breitz, il dibattito su arte e politica si fa incandescente in Germania
La scrittrice russo-americana ha pubblicato un saggio fondamentale sulla relazione arte-politica e sulla questione della libertà di espressione, suscitando clamori e polemiche. Nel frattempo all’artista-attivista Candice Breitz è stata cancellata una mostra
La vicenda che ha riguardato documenta nelle ultime settimane si inserisce nel quadro più ampio che si sta sviluppando a livello occidentale dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023: il 9 dicembre, sul “New Yorker“, la scrittrice russo-americana Masha Gessen ha pubblicato il saggio ad oggi più completo, interessante e profondo scritto finora su ciò che sta accadendo alle nostre società in termini di controllo, libertà di espressione e rapporto arte-politica. Il pezzo, destinato a entrare nella storia, ha immediatamente – non poteva essere altrimenti, nel clima attuale – scatenato clamore, polemiche e discussioni accese, a partire dall’ambito tedesco.
L’articolo di Masha Gessen sul New Yorker
Gessen riflette sulla peculiare relazione della Germania con il nazismo e con l’Olocausto: un tipo di memoria che, attraverso il dogma dell’unicità di quell’evento, da una parte non permette giustamente di dimenticare, ma dall’altra sempre più non consente di metterlo a confronto con altri eventi, rifiutando categoricamente ogni ipotesi di analogia. “Qui c’era un Paese, o quantomeno una città, che stava facendo ciò che molte culture non riescono a fare: osservare i propri crimini, il proprio sé peggiore. Ma, a un certo punto, lo sforzo ha cominciato a sembrare statico, congelato, come se fosse uno sforzo non solo di ricordare la storia, ma anche di assicurarsi che solo questa particolare storia venga ricordata – e solo in questo modo.” “L’Olocausto viene posizionato come un evento che i tedeschi devono sempre ricordare e citare ma che non devono aver paura di ripetere, perché è diverso da qualunque cosa sia accaduta o possa accadere.”
Come si vede, siamo sempre nei paraggi di quelle interpretazioni monolitiche, monodirezionali, univoche di cui parlava con preoccupazione la lettera del Comitato dimissionario di documenta. E infatti, puntualmente nel suo articolo Gessen cita Candice Breitz, l’artista sudafricana di origine ebraica e residente da anni a Berlino, che più volte abbiamo già incontrato in queste pagine come la più attiva nel denunciare ciò che accade in Germania (e che già ha puntualmente cominciato a pagare le conseguenze di questo attivismo).
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Candice Breitz e l’attivismo
Attraverso l’analisi degli spazi berlinesi della memoria, e delle definizioni legali e giuridiche che la Germania riunificata ha progressivamente adottato per combattere l’antisemitismo, assumendo la memoria dell’Olocausto e la difesa di Israele come propria stessa “ragion di Stato” (secondo una celebre affermazione di Angela Merkel davanti alla Knesset nel 2008), facendone addirittura il perno della propria identità nazionale. Così, sulla base della definizione molto ampia di ‘antisemitismo’ elaborata nel 2016 dalla International Holocaust Remembrance Alliance (I.H.R.A.), e della risoluzione tedesca contro il movimento internazionale Boycott, Divestment and Sanctions (B.D.S.), ispirato in larga parte al movimento di boicottaggio contro l’apartheid sudafricana, le ripercussioni sulla sfera culturale della Germania e delle società occidentali in genere non si sono fatte attendere. Il simposio organizzato da Breitz con lo studioso Michael Rothberg dal titolo “We Need to Talk” è stato annullato non una ma tre volte, e la stessa Breitz si è vista cancellare una mostra personale in programma nel 2024 presso il museo di Saarland (a seguito delle sue dichiarazioni); numerosi artisti, scrittori e intellettuali si sono visti revocare e annullare premi, finanziamenti e progetti. Questo, tra l’altro, è il retroscena delle dimissioni di Ranjit Hoskote – messo alla berlina per una petizione firmata nel 2019, e denunciata dalla stampa come “antisemita” – dal comitato di documenta, che hanno poi portato per protesta alle dimissioni dell’intero comitato.
La questione della memoria in Germania
Attraverso anche il ricordo personale, autobiografico (metà della sua famiglia di origine è stata sterminata dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale), Masha Gessen ci accompagna in maniera unica nella comprensione di un presente sempre più indecifrabile e tenebroso, tra sforzi di ‘memorializzazione’ e persecuzione accanita di coloro che quella stessa memoria hanno tentato di ricostruirla in maniera fedele e attendibile, non propagandistica. E da qui, attraverso una vertiginosa infilata di comparazioni e confronti, Gessen mette in discussione il “dogma dell’unicità” e la prerogativa assoluta sulla condizione di vittima, uno status indiscutibile, di Israele: “ma nessuna nazione è solo vittima per tutto il tempo, e solo carnefice per tutto il tempo“. Fino al paragone che le ha attirato strali, accuse e critiche da più parti, quello tra Gaza e un ghetto, “un ghetto ebraico in una città dell’Est Europa sotto l’occupazione nazista”: “Negli ultimi diciassette anni, Gaza è stata un recinto iperpopolato, impoverito, chiuso, da cui sono una piccola frazione della popolazione aveva il diritto di allontanarsi anche per un tempo breve – in altre parole, un ghetto”. Questo per dire intanto che, al di là della caricatura nostrana di dibattito cultural-politico illustrata per esempio la settimana scorsa dal caso del film “Comandante”, qui ci troviamo di fronte – grazie a una scrittrice e intellettuale tra i maggiori del nostro tempo – a una materia incandescente, estremamente complessa, anche pericolosa, e proprio per questo importante, vitale: questo è il tema di cui occorre parlare apertamente (We Need to Talk), se si vuole ancora che arte e cultura siano ancora strumenti utili alla comprensione della realtà e non semplici orpelli decorativi. Per il semplice fatto che questo non è neanche (più) un tema e basta, ma la struttura stessa – invisibile e potente – della nostra esistenza.
Del resto, potrebbe mai essere altrimenti?
Christian Caliandro
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Christian Caliandro
Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…