Il punto sugli NFT. Opportunità, truffa, affare o incompreso della nostra epoca?
Fino a pochi mesi fa non si parlava d’altro, ora molti stanno cominciando a notare qualche scricchiolio intorno alla popolarità dei non-fungible token. Ma qual è la verità? Lo abbiamo chiesto a nove esperti del settore
Nove professioniste e professionisti di diversi ambiti – dalla critica al mercato, dal giornalismo alla produzione artistica – fanno il punto della situazione in ambito NFT: cosa è rimasto dell’hype di qualche anno fa? Come hanno reagito il mercato e la critica a questa novità? Cosa ci aspetta nel prossimo futuro?
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Pietro De Bernardi – Pandolfini Casa d’Aste
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Serena Tabacchi – curatrice
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Pamela Diamante – artista
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Marco Mancuso – critico e curatore
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Valentina Tanni – docente, curatrice e saggista
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Oriana Persico – artista
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Giacomo Nicolella Maschietti – giornalista
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Andrea Concas – Art Tech Entrepreneur
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Valerio Veneruso – esploratore visivo
La nostra visione a proposito degli NFT non può che essere ottimista dal momento che abbiamo deciso di dedicare un dipartimento al settore, iniziando dunque un lavoro ed un investimento di risorse con obiettivo a medio lungo termine. Sicuramente quella degli NFT è stata una rivoluzione e, come tutte le rivoluzioni, si è accompagnata ad una prima fase di forte trambusto e situazioni fuori dalle righe. È innegabile ed evidente che il mercato dell’arte digitale, negli ultimi tre anni, sia stato fortemente gonfiato da grandi speculatori, così come è – secondo noi – un’evidenza che questo mercato abbia attraversato una prima fase alquanto “naif”, in cui certamente la qualità della proposta artistica era spesso discutibile. Quello che vediamo oggi è, invece, un grande reset di questo settore, con la scomparsa o l’allontanamento di quei soggetti che vi si erano inseriti con intenti meramente speculativi. A guadagnarne, è sicuramente la qualità delle creazioni ed anche la sostenibilità del mercato. Non dimentichiamoci che, in tutto questo fenomeno, la parte più rilevante è sicuramente l’introduzione della proprietà digitale, un concetto che ben si adatta alle opere d’arte, ma che diventerà anche un perno fondamentale per la nostra vita digitale futura a tutti i livelli della vita quotidiana.
Le tecnologie sono create per essere superate e le loro applicazioni dipendono dagli utenti! Quello che gli NFT e la tecnologia blockchain hanno reso possibile è la capacità di collezionare opere d’arte native digitali, certificando la provenienza, proprietà e trasparenza della vendita, grazie ad un sistema di archiviazione dati decentralizzato e immutabile. Oltre a incentivare un forte interesse di mercato per l’arte digitale, gli NFT hanno introdotto il concetto di royalty perpetua, un sistema che garantisce all’artista il diritto di seguito attraverso la codifica di uno smart contract, generando un guadagno automatico su ogni vendita secondaria “on chain”. Ciononostante, gli NFT non proteggono il contenuto dell’opera, il file, ma ne generano solo una certificazione digitale. Immagino che la complessità della blockchain verrà presto superata dal quantum computing, ma ad oggi rappresenta un’importante evoluzione per il mercato dell’arte e indubbiamente un movimento artistico grazie al quale molti artisti emergenti si sono potuti affermare.
Un’innovazione che ha virato verso una sorta di schizofrenia capitalistica generata dall’euforia del mercato. Ho sempre considerato il fenomeno NFT come una bolla speculativa e credo che gli attuali andamenti possano confermare questa visione.
C’è da specificare però che chi ha avuto la capacità di cavalcare l’onda di questo fenomeno ha goduto di grandi guadagni e qualcuno è anche riuscito ad affermare un valore culturale dell’opera, oltre che di mercato, si pensi a Everydays – The First 5000 Days diBeeple, la cui genesi è metrologicamente una pratica concettuale.
Come sempre, il punto è come stai nelle cose, se gli artisti che utilizzano gli NFT lo fanno solo a scopo di lucro cercando di approfittare di un determinato mercato per generare profitti, allora è inutile parlare d’arte.
Ospite di Art Basel Miami nel dicembre 2021 in un panel dedicato al mercato degli NFT, l’artista Harm Van Der Dorpelricordava così la sua esperienza con le blockchain sin dal 2015: “Per qualche anno avevamo perso l’attenzione del mondo, come se la novità fosse svanita. Continuavamo a vendere occasionalmente, ma la situazione si stava calmando. Così abbiamo pensato che forse quella cosa dell’NFT era solo una moda. Ma un giorno ci siamo svegliati e abbiamo realizzato che tutto il mondo aveva finalmente capito”. Il mio pensiero è che questa affermazione sia forse ancora più rappresentativa oggi di allora e che i sistemi decentralizzati, come nel 2015, siano da considerare come un’opportunità: per artisti, galleristi, istituzioni e collezionisti. Ciò che oggi viene chiesto è di non perdere attenzione verso le loro trasformazioni. Sarebbe miope, oltre che anti-storico, in questa folle epoca di riproducibilità e proprietà diffusa.
L’eccessivo hype attorno a una tecnologia finisce sempre per offuscare le sue effettive potenzialità. Gli NFT sono emersi in un momento particolare, segnato dall’emergenza pandemica e caratterizzato da un’attenzione senza precedenti verso il mondo digitale. Questa congiuntura storica, unita alla necessità che il mondo dell’industria tecnologica ha di cavalcare “onde” sempre nuove, ha creato una narrazione falsata intorno alla blockchain e agli NFT. Queste tecnologie che ci sono state presentate come epocali, rivoluzionarie, destinate a soppiantare tutto l’esistente. Ora che la bolla si è sgonfiata, portandosi via anche gran parte delle truffe e delle operazioni speculative, possiamo finalmente provare a ragionare sull’utilità dei non-fungible token. Scomparse le operazioni multimilionarie e archiviate le scimmie annoiate, sono rimaste tante comunità e piattaforme che sfruttano la blockchain (penso anche alle DAO) per scambiarsi oggetti digitali, testare forme alternative di governance collaborativa e monetizzare la propria attività creativa.
Ogni piattaforma, ogni software è un sistema sociotecnico: inventiamo la tecnologia e la tecnologia “inventa noi”, costantemente, in un processo di continua co-evoluzione. Ciò vale per gli NFT e la blockchain, tecnologie che spingono implacabilmente alla transazionalizzazione dell’esistenza e in particolare della fiducia. Tutto tende a diventare un “token” scambiabile con la promessa di una trasparenza assoluta, il cui esito è trasformare ogni aspetto della vita in un prodotto/servizio a cui è possibile “attaccare” un’identità digitale. Come abbiamo sempre sostenuto, identità e identificabilità sono due cose molto diverse: l’identità è un processo generativo, fondato sulla relazione, l’ambiguità, la segretezza: un valore fondante della costituzione che ci tutela. Queste tecnologie, che governi e istituzioni sembrano voler applicare a tutto, tendono verso l’identificabilità: un concetto amministrativo e burocratico prevale sui processi culturali, sociali e psicologici, formalità sull’informalità e l’imprevisto che è la vita. Dovremmo tutti riflettere su quali sono non solo i futuri tecnicamente possibili, ma anche quelli desiderabili. E dove stiamo andando. NFT_NoFuTure è scaricabile a questo link, e ci troverete tanto, non solo di noi, ma di tutte le persone che hanno partecipato a questa conversazione.
Gli NFT sono un importante strumento di ownership digitale, che a mio avviso mal si sposa con le arti visive. Sono stati fondamentali negli ultimi tre anni per sdoganare l’arte digitale, ma hanno anche aperto una stagione di enorme speculazione che ha causato ingenti perdite di denaro a collezionisti e artisti in tutto il mondo. La decentralizzazione, legata a doppio filo con il mercato delle cryptovalute e tanto osannata da alcuni operatori, non garantisce alcuna tutela a chi compra e a chi vende, in caso di furto del Wallet. Gli NFT infine non tutelano l’unicità del file dell’opera d’arte, che resta sempre on line disponibile a chiunque. Sulla Blockchain viene infatti registrata la proprietà, non l’opera. Esistono tecnologie molto più performanti e sicure per lavorare con le arti visive, come ad esempio quella brevettata in tutto il mondo dall’italiana Cinello dei DAW® (Digital Artwork). Si tratta di un hardware inviolabile che custodisce il file dell’opera, e ne consente una diffusione controllata.
Come ogni novità tecnologica, anche gli NFT hanno vissuto una rapidissima, e quasi incontrollabile, evoluzione. Dopo un’iniziale confusione, dove si associava ogni NFT ad un’opera d’arte, ancora oggi, chiarite le differenti classificazioni, restano dubbi sull’importante rivoluzione di questa tecnologia. Indubbiamente, per quest’arte, si lamenta l’assenza di una regolamentazione che ha lasciato spazio a speculatori, d’altronde come avviene ogni giorno nel mercato dell’arte tradizionale, tra falsi, truffe o flipping. Tuttavia, mi piace pensare che un NFT, più che uno strumento finanziario o speculativo, possa essere meglio inteso come un avanzato medium per una moderna generazione di artisti digitali. Con gli NFT è nato un nuovo mercato che, nel volume Crypto Art Begins edito da Rizzoli New York, ho definito come un vero “sistema della Crypto Arte”. In futuro, non parleremo più di NFT ma solo di opere d’arte digitali, mentre la tecnologia sarà ricondotta alla sua funzione originaria di “strumento” facilitatore tra artisti, collezionisti e professionisti.
La storia dell’arte si è sempre rinnovata grazie a cicliche ridefinizioni del concetto stesso di opera; tuttavia, è innegabile che il fenomeno degli NFT sia in sostanza frutto di una speculazione senza pari. Il lucro in campo artistico non è di certo una novità e il preciso contesto storico nel quale è esploso il tutto ha facilitato di molto l’apertura di questo nefasto vaso di Pandora. In piena emergenza Covid-19, con le relative derive turbocapitaliste e i timori palpabili degli attori del sistema dell’arte, si sono venute a creare le giuste premesse per la generazione di un hype eccessivo basato su di un’illusione momentanea. Data la palese bassa qualità formale e concettuale della maggior parte dei prodotti tutelati da NFT è arduo pensare che nessuno si sia accorto della natura truffaldina di tutta l’operazione, salvo chi forse ci ha creduto davvero, cioè gli artisti. Se fin dall’inizio fossero stati imposti parametri più onesti e responsabili da parte di musei, marketplace, curatori e case d’asta, ora staremmo vivendo un’altra storia.
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Pietro De Bernardi – Pandolfini Casa d’Aste
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Serena Tabacchi – curatrice
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Pamela Diamante – artista
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Marco Mancuso – critico e curatore
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Valentina Tanni – docente, curatrice e saggista
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Oriana Persico – artista
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Santa Nastro
Santa Nastro è nata a Napoli nel 1981. Laureata in Storia dell'Arte presso l'Università di Bologna con una tesi su Francesco Arcangeli, è critico d'arte, giornalista e comunicatore. Attualmente è vicedirettore di Artribune. È Responsabile della Comunicazione di FMAV Fondazione…