Van Gogh a Milano: l’amore per i libri, Millet, e il Giappone 

A Van Gogh piaceva leggere. I libri lo accompagnarono per tutta la vita, diventando anche protagonisti dei suoi quadri. La mostra al MUDEC lo racconta

Ho una passione più o meno irresistibile per i libri e ho il bisogno di istruirmi continuamente, [….] come ho bisogno di mangiare il mio pezzo di pane”. Così scrisse Vincent Van Gogh (Zundert, 1853 – Auvers-sur-Oise, 1890) in una delle sue lettere al fratello Theo, dichiarando la sua passione per la cultura. A dire il vero, più che una passione, la sua era una necessità. Una vera devozione per i romanzi; ma non soltanto. Vincent fu avido estimatore degli autori del suo tempo, ma lesse e rilesse più volte anche la Bibbia, traendone importanti spunti. Era cresciuto con l’abitudine di famiglia di ritrovarsi tutti a leggere ad alta voce prima di dormire; inevitabile che continuasse anche da adulto.  
In parallelo ai libri, una volta intrapresa la carriera artistica, il suo lato colto si nutrì costantemente di pittura. Mentre si trovava nei campi olandesi si fece guidare da Millet: maestro di arte, ma ancor prima di vita. Giunto a Parigi entrò in contatto con gli Impressionisti. E poi, con un fervore destinato ad accrescersi con gli anni, si appassionò al mondo del Giappone. Visitato metaforicamente attraverso le stampe, le curiositées, e i libri illustrati. 
La mostra presentata al MUDEC di Milano, in collaborazione con il museo Kröller-Müller di Otterlo e curata da Francesco Poli, illustra tutto questo. Ripercorrendo in quattro tappe la vita di Van Gogh, ne offre una prospettiva nuova. Romanzi in edizioni d’epoca, libri illustrati e stampe giapponesi si accostano e dialogano con le sue opere. I dipinti, qui, sono solo il punto di arrivo: il risvolto concreto di tutto il patrimonio culturale e iconografico che si costruì negli anni. 

Vincent Van Gogh, Il burrone, 1889, Kröller-Müller Museum, Otterlo
Vincent Van Gogh, Il burrone, 1889, Kröller-Müller Museum, Otterlo

Vincent Van Gogh: un uomo di cultura 

Prima ancora di diventare pittore, Van Gogh fu predicatore protestante e colto intellettuale. Aveva ereditato dal padre tanto la vocazione spirituale, quanto la dedizione alla lettura. Non ci fu momento della sua vita (e le Lettere a Theo lo confermano) in cui si allontanò dai libri. Dalla campagna alla città, cambiando i contesti, anche gli interessi subirono una certa evoluzione, arricchendosi e ripetendosi col tempo. Con la Bibbia e Shakespeare aveva iniziato in gioventù, e con loro passò gli ultimi mesi in Provenza, prima del suicidio. Tre sono le tematiche culturali su cui è incentrata la mostra: Millet, i testi religiosi, e il mondo contadino; i romanzi francesi realisti; e la cultura giapponese

Millet e il mondo contadino 

Lo chiamava “Père Millet”. Questo basta a suggerire che François Millet fu per lui un modello perpetuo. Quando era nel Borinage, ne copiò molti soggetti: gli zappatori, l’Angelus, e l’emblematico Seminatore, che divenne sua metafora di vita. Ispirandosi al pittore francese, iniziò a concepire la sua pratica artistica come una missione tesa a fare del bene. Lo influenzò anche nel modo di accostarsi al mondo dei contadini. Gli insegnò a stimare la gente semplice come “eroi del quotidiano”, che si meritavano a pieno il loro povero pasto serale (fatto in genere di patate), perché conquistato con il sudore e la fatica. 

Vincent Van Gogh, Donna che pela patate, 1881, Kröller-Müller Museum, Otterlo
Vincent Van Gogh, Donna che pela patate, 1881, Kröller-Müller Museum, Otterlo

Zola e i romanzi francesi realisti 

Accanto alla Bibbia, i libri preferiti da Van Gogh erano i romanzi del Realismo francese e inglese: Émile Zola, i fratelli De Goncourt, Dickens, Stowe. Attraverso la loro lente veritiera e cruda, che riportava senza ornamenti la realtà del tempo, sviluppò la sua personale visione del contemporaneo.  
Questi volumi lo accompagnarono sempre, divenendo talvolta i protagonisti dei suoi dipinti. Rappresentandoli in primo piano, al centro della scena, innovò il genere della natura morta, che fino a quel momento li aveva sempre visti come mero dettaglio di contorno.

Il Giapponismo 

Nella seconda metà del XIX secolo, quando Van Gogh raggiunse a Parigi il fratello Theo, la città era in pieno fermento per la nuova moda del Giapponismo. Con l’apertura al mondo del mercato orientale, giunsero in Francia ondate di prodotti esotici, che riempirono le case della borghesia cittadina: dai vasi, ai volumi illustrati. Senza dimenticare le stampe: principale oggetto da collezione che catturò l’attenzione del pittore. Frequentando abitualmente la bottega di Bing (principale rivenditore parigino), ne raccolse più di seicento, utilizzandole come modelli per le sue opere. Apprezzava il loro essere nate come “arte per il popolo”: prodotte in serie, a poco prezzo, erano accessibili per la gente normale, e comprensibili anche senza grande cultura. I soggetti erano infatti popolari: vita quotidiana, natura, cortigiane e teatro kabuki.  
Oltre che con le stampe, Van Gogh conobbe il Giappone attraverso gli album illustrati, come quello di Katei Taki, e le riviste pubblicate sulla loro cultura. Tutto contribuì a generare in lui ammirazione per la semplicità della tecnica nipponica, per l’armonia con la natura che li caratterizzava, e la capacità di renderla in tutta la sua ricchezza. Dai paesaggi, ai singoli fili d’erba. 

La mostra di Vincent Van Gogh al MUDEC  

In un percorso che alterna dipinti, disegni su carta, e libri dalle pagine ricche di storia, la mostra racconta il lato colto del pittore olandese. Le quattro macro-sezioni, Olanda, Parigi, Arles e Saint Remy, sono illustrate qui di seguito.  

1 – Belgio e Olanda. Il mondo contadino di Van Gogh 

Giunto nella regione del Borinage, in Belgio, per seguire le orme del padre predicatore, Van Gogh entrò a contatto con l’umile vita dei minatori. Questa semplicità, unita alla scoperta di Millet, lo convinse a prendere una strada diversa. Era il 1878, quando decise che sarebbe diventato pittore. L’attenzione al realismo fu alimentata anche dalle letture del periodo: Jules Michelet e Harriet Becker Stove divennero i suoi Vangeli laici, accostati alla Bibbia. Tutti libri esposti in mostra, accanto ai primi disegni di Van Gogh, fedelmente ispirati all’artista francese. Dalle Portatrici di fardello (1881) (emblema di fatica e dignità contadina), alla sua versione dell’Angelus (1880) a matita e carboncino su carta azzurrata. 
Spostandosi a Etten e Nuenen, i soggetti pittorici si orientarono verso le occupazioni domestiche femminili. Cucitrici, pelatrici di patate: eroine della quotidianità, che divennero terreno di sperimentazione della  “teoria del contrasto simultaneo” di Charles Blanc. I colori primari opposti, se accostati, si ravvivavano l’un l’altro. Effetto verificabile in mostra nella Testa di contadina (1884-85).  Il soggetto chiave periodo olandese furono i Mangiatori di Patate, risalenti al 1885, di cui è qui presentato uno dei tanti bozzetti. Si trattò per lui del massimo risultato in termini di opere ispirate al mondo contadino di Millet, dal cui realismo il pubblico cittadino “avrebbe imparato qualcosa di utile”. 

Vincent Van Gogh, I mangiatori di patate, 1885, Kröller-Müller Museum, Otterlo
Vincent Van Gogh, I mangiatori di patate, 1885, Kröller-Müller Museum, Otterlo

2 – Parigi e il Giapponismo 

Come suggeriscono l’Interno di un ristorante (1887) e gli altri scorci parigini, l’arrivo nella capitale significò per Van Gogh una svolta di colori e soggetti in direzione degli Impressionisti. Introdotto alla vita mondana cittadina dal fratello, si lasciò coinvolgere nelle mode dell’epoca; prima tra tutte il Giapponismo. Oltre al negozio di Bing, il maggiore canale di scoperta fu l’editoria, come il numero speciale della rivista Paris Ilustré, intitolato Le Japon.  
Accanto agli spunti artistici, proseguirono le letture impegnate, sempre più affezionate a quegli scrittori-pittori della cruda realtà dei bassi strati sociali. Zola, Dickens, i fratelli de Goncourt e Guy de Maupassant divennero nature morte; in mostra protagonisti di tele come Natura morta con statuetta in gesso e libri (1887).  

Utagawa Hiroshige, Il giardino dei pruni, 1857, Museo d’Arte Orientale E. Chiossone, Genova
Utagawa Hiroshige, Il giardino dei pruni, 1857, Museo d’Arte Orientale E. Chiossone, Genova

3 – Arles. L’arrivo in Provenza e il paradiso giapponese 

Con l’obiettivo di trovare “il suo Giappone”, nel febbraio 1888 Van Gogh si trasferì ad Arles, nella celebre Casa Gialla. Grazie al clima mite, alla luce e ai colori della Provenza, il suo animo oppresso dalla vita di città si rigenerò. Ne nacquero nuove opere dai toni brillanti, e dai soggetti paesaggistici e vegetali. Come dimostra questa terza sezione della mostra, il Giappone continuò a fare da grande fonte d’ispirazione. L’Angolo di prato (1887) dialoga da vicino con l’album illustrato di Katei Taki; volume, quest’ultimo, ricco di fiori, uccelli e piccoli animali. Le stampe di Hiroshige e Hokusai, invece, si ritrovano tanto nelle loro copie fatte dell’artista, quanto in scorci campagnoli come la lavanda di Saintes-Maries-de-la-Mer (1888), e la Vigna Verde (1888). Qui, i tralci di vite verdi, ocra, marrone e violetti, paiono i flutti spumosi della Grande Onda del maestro giapponese.  

Vincent Van Gogh, Uliveto con due raccoglitori di olive, 1889, Kröller-Müller Museum, Otterlo
Vincent Van Gogh, Uliveto con due raccoglitori di olive, 1889, Kröller-Müller Museum, Otterlo

4 – Saint-Remy. Il giardino dell’ospedale, gli uliveti e i campi di grano 

La sezione finale della mostra illustra gli ultimi anni di vita del pittore, dal ricovero volontario all’ospedale psichiatrico di Saint-Remy, fino ai campi di grano dipinti poco prima del suicidio. Mentre era in cura, gli venne il desiderio di rileggere Shakespeare, chiedendo al fratello di inviargli una copia dell’opera integrale, nell’edizione tascabile che è esposta. Ispirato dalla capacità di indagare l’animo umano del drammaturgo, Van Gogh riprese a dipingere, ritraendo i pini del giardino dell’ospedale. La potenza coloristica di tali opere, e di quelle paesaggistiche che seguirono, è impressionante. Le sue forti emozioni interiori si riflettono in Pini nel giardino dell’ospedale (1889), come nei campi dorati prodotti nei mesi successivi. Lette da un altro punto di vista, le tele arboree riprendono ancora una volta le stampe giapponesi. Gli stessi tronchi tagliati in primo piano delle Vedute del Monte Fuji di Hokusai si ritrovano qui. Segno di una passione, quella per la cultura orientale, destinata a non tramontare fino all’ultimo giorno.

Emma Sedini 

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Emma Sedini

Emma Sedini

Etrusca e milanese d'origine in parti uguali, vive e lavora tra Milano e Perugia. È laureata in economia e management per arte, cultura e comunicazione all'Università Bocconi, e lì frequenta tutt'ora il MS in Art Management. Nel frattempo, lavora in…

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