Italo Calvino nelle città, tra cinema e letteratura. Incontro con il regista Davide Ferrario
Un film ripercorre la vita, le opere e il rapporto con le città dello scrittore, nell’anno del centenario dalla sua nascita
Lo scrittore Italo Calvino rivive nel film del regista Davide Ferrario scritto insieme a Marco Belpoliti e intitolato appunto Italo Calvino nelle città, una produzione Anele in collaborazione con Luce Cinecittà, Rai Cinema e RS Productions con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte in uscita nel 2024. In sintesi, Ferrario ripercorre la vita dello scrittore attraverso il legame con le città: da un lato, le città “visibili” e reali in cui Calvino ha vissuto, lavorato, o che l’hanno colpito e, dall’altro, le città “invisibili”, frutto della sua immaginazione, confluite nel libro di racconti pubblicato da Einaudi nel 1972. Il progetto, che prende vita nell’anno del centenario dalla nascita dello scrittore (L’Avana, Cuba, 15 ottobre 1923), mancato per un ictus il 19 settembre 1985 a Siena a soli 61 anni, è stato presentato a Genova nella conversazione che prende il titolo dal film, moderata dalla giornalista Laura Guglielmi, evento collaterale della mostra Calvino Cantafavole, aperta al pubblico nella Loggia degli Abati dello stesso Palazzo Ducale dal 15 ottobre 2023 al 7 aprile 2024.
I precedenti: da Primo Levi a Umberto Eco
Ferrario non è nuovo al rapporto tra cinema e letteratura e, a questo proposito, racconta l’antefatto del 2005, La strada di Levi, film documentario diretto e prodotto da lui, uscito in sala nel 2006 su idea dello stesso Belpoliti. Il regista non realizzerebbe mai un film didascalico: “il cinema”, afferma, “deve dare suggestioni, è messa in scena”. Per lui, che odia il termine ‘docufiction’, il cinema “è sguardo su un mondo che ti fa porre delle domande”. Che poi ci siano attori o no non è fondamentale, secondo il suo pensiero, perché “un film è un film e poco importa definirlo o meno documentario”. Così, in quell’esperienza, da una parte ci sono le parole di Primo Levi tratte da La tregua (1963), il libro di memorie dei suoi spostamenti nell’Europa centro-orientale dopo la liberazione di Auschwitz e, dall’altra, le immagini attuali di un viaggio che ne segue la traccia.
Un altro caso è stato quello del film Umberto Eco: la Biblioteca del Mondo, il cui precedente si può considerare la videoinstallazione Sulla memoria, presentata alla 56. Biennale Arte di Venezia del 2015. La famiglia di Eco, dopo la sua morte, propose a Ferrario di riprendere il lavoro sulla biblioteca dello scrittore e saggista, composta da 30.000 libri e da più di 1.500 volumi antichi. Qui i libri sono la chiave di volta del racconto e adesso il film, di grande successo negli Stati Uniti, è in corsa per l’Oscar al miglior documentario.
La linea biografica nel film su Calvino
Quando Belpoliti ha chiesto a Ferrario di girare un film su Calvino, la chiave proposta era quella delle città, che si susseguono nella vita dello scrittore: Sanremo, Torino, Roma, Parigi, New York (la città preferita), ma anche la villa di Roccamare vicino a Castiglione della Pescaia – paese in cui Calvino è sepolto con la moglie Esther, che lo raggiunse nel 2018. Ferrario è appassionato dei luoghi e ama inquadrare ciò che nessuno guarda, piuttosto che i primi piani degli interpreti.
Il film corre, dunque, su due linee, la prima delle quali è biografica, concepita con tre attori che dicessero le parole di Calvino, senza tentare di assomigliargli. Lo scrittore parla infinitamente di se stesso, ma non nei suoi romanzi, per cui alle riprese dal vivo e alle immagini di repertorio vengono associate interviste originali e testi.
Il sentiero dei nidi di ragno è stato scritto nel 1947 (lo stesso anno di uscita di Se questo è un uomo di Primo Levi), quando Calvino aveva soltanto 24 anni, quindi nel film la Resistenza a Sanremo è raccontata da un ragazzo della stessa età, Filippo Scotti – vincitore del Premio Marcello Mastroianni come migliore attore emergente al Festival del Cinema di Venezia nel 2021. Il Calvino giovane adulto a Torino è il quarantenne Alessio Vassallo – tra l’altro interprete della serie televisiva Il giovane Montalbano. Infine, il Calvino dai 50 anni in su a Parigi e a Roma è Valerio Mastandrea, 51enne, già vincitore di quattro premi David di Donatello.
Dalla Sanremo della guerra alla Torino immaginaria
In rapporto alle città, Ferrario ama parlare di ‘sublime’ dato che, secondo lui, occorre sempre esulare dal concetto di bello e di brutto. Il regista trova affascinante l’idea di modernizzazione della regione ligure del dopoguerra: Genova, ad esempio, “è una città di interstizi”, come la definisce Ferrario con una felice espressione, “dove non c’è niente di rettilineo”. Questo mondo guardato al microscopio diventa reale, ma al tempo stesso astratto. Così, il trauma per Calvino a Sanremo è piuttosto la guerra, che rappresenta la sua seconda nascita, perché lui passa da una condizione di studente al fare il partigiano.
Calvino, in seguito, sceglie Torino, anche perché entra nelle simpatie dell’editore Giulio Einaudi. D’altra parte, “Torino è una città cinematografica”, sottolinea Ferrario, “è come se in trasparenza si potesse vedere un altro mondo”. L’Einaudi è ancora in via Umberto Biancamano e lì sono conservate le edizioni dei libri di Calvino, ma nell’Armeria di Palazzo Reale sono esposti ideali “cavalieri inesistenti”, che hanno permesso al regista di lavorare per analogie.
Ferrario ha poi cercato location fantastiche: le Cartiere Burgo a San Mauro Torinese, progettate da Oscar Niemayer, il costruttore di Brasilia; il Parco Dora, nell’area Spina 3, ex sede dello strippaggio della Fiat, demolito e trasformato in parco urbano post-industriale al tempo delle Olimpiadi invernali del 2006; la Villa dei Laghi, luogo abbandonato nel Parco della Mandria a Druento; il Cimitero Parco a Mirafiori, costruito negli anni ’70, quando Torino aveva più di un milione di abitanti, oggi completamente vuoto, divenuto spazio sospeso tra la vita e la morte; le fabbriche abbandonate divorate dalla vegetazione; il Palazzo del Lavoro progettato da Pier Luigi Nervi e completato nel 1961.
Torino sembra così davvero la “Maurilia diventata metropoli”, di cui si parla ne Le città invisibili. Il capoluogo piemontese è proprio la città futurista di Italia ’61 – anno dell’Expo, organizzato per celebrare il centenario dell’Unità d’Italia –, proiettata in avanti, soltanto che “quell’utopia è diventata oggi nostalgia”, asserisce Ferrario. Lui pensa anche che il fascino dei classici stia proprio nel fatto che “puoi usarli e reggono qualsiasi cosa tu ci costruisca sopra”.
La permanenza a Parigi e la canzone a New York
Esiste un documentario del 1974, Italo Calvino, un uomo invisibile, che riprende Calvino a Parigi. Nella capitale francese, nel 1962, lui aveva conosciuto Chichita, la traduttrice argentina Esther Judith Singer, che diventerà sua moglie. Tuttavia, Ferrario scarta come location la casa in cui abitava lo scrittore, al n. 12 di place de Chatillon, nel XIV arrondissement, perché la giudica troppo triste, mentre preferisce la biblioteca dedicata a lui. Calvino parlava lentamente, era molto timido, quasi balbettava: “un incubo per un regista”, scherza Ferrario, “per via dei suoi tempi lunghissimi”.Curiosamente, nell’intervista a Parigi in “off” lui sembra parlare veloce, perché gli hanno tagliato i silenzi.
È interessante guardare lo scrittore, racconta Ferrario, perché “in molte parti sembra Mr. Bean: era ironico, era un Joker”. Calvino ha scritto anche diverse canzoni. Nel film si vede la “Canzone triste” del 1958, musicata da Sergio Liberovici e contenuta nel disco sperimentale Cantacronache: è la storia di una coppia di operai che non si incontra quasi mai, perché lei ha il turno di giorno e lui di notte.
Caterina Caselli scopre una registrazione del 1959, con due pezzi di Luciano Berio e Italo Calvino. Ferrario fa interpretare a Zoe Tavarelli la ricreazione dell’azione scenica a opera di Raphael Gualazzi di uno di questi brani, intitolato “Ora mi alzo”, che racconta ironicamente di una sera a New York.
Linda Kaiser
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