Morto lo storico dell’arte Eugenio Riccomini, funzionario illuminato e divulgatore della cultura emiliana

Scompare all’età di 87 anni lo storico dell’arte di origini sarde, ma adozione emiliana, che ha speso la sua carriera tra divulgazione, insegnamento e attività istituzionali. Grande studioso del Sei e Settecento, fu anche vicesindaco di Bologna

Si terrà venerdì 29 dicembre 2023, a Bologna, il funerale del professor Eugenio Riccomini, scomparso nella notte della Vigilia di Natale all’età di 87 anni, fiaccato da un enfisema polmonare. E per tutta la giornata, il capoluogo emiliano renderà omaggio allo storico dell’arte che della città fu anche vicesindaco, nel 1985-86 e di nuovo nel biennio ’89-’90, oltre che Assessore alla Cultura, prima di assumere la direzione dei Musei Civici di arte antica, dal ’95 al 2001. Si inizierà di buona mattina, con la possibilità di salutare la salma dello studioso al Pantheon della Certosa, prima dell’apertura della camera ardente, allestita nella sala dello Stabat Mater dell’Archiginnasio, dalle 10; alle esequie, nel pomeriggio di venerdì, prenderà la parola, tra gli altri, anche il sindaco Matteo Lepore. Una commemorazione dovuta all’impegno istituzionale che Riccomini ha protratto nell’arco di una lunga carriera votata alla divulgazione e all’approfondimento culturale, in qualità di funzionario pubblico e docente universitario, saggista e curatore di mostre.

Eugenio Riccomini nel ricordo di Mauro Felicori

Una figura importante per la cultura nella nostra regione”, riassume con efficacia la nota ufficiale congiunta del governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini e del suo Assessore alla Cultura Mauro Felicori. Proprio a Felicori – che alla metà degli Anni Ottanta diede impulso al ciclo di conferenze d’arte che Riccomini tenne nell’ambito del Progetto giovani promosso dal Comune di Bologna – si deve un ricordo sentito dello storico dell’arte, suo amico e sodale, condiviso a mezzo Facebook: “Erano i primi Anni ’80, la divulgazione era disprezzata dall’accademia (oggi meno, ma ancora). Eugenio si mostrò scettico, ma fingeva, e accettò con coraggio. Cominciammo con tre lezioni sul Romanico, da Wiligelmo a Antelami, nella sala dei Notai, gremita fin da molti minuti prima dell’inizio previsto. Ci spostammo allora al Settebello per finire all’Europauditorium, gremito sempre. A un certo punto pensai seriamente di fare lezione al Paladozza. C’erano persone di ogni età, ma soprattutto anziani, scoprimmo che si stava formando un nuovo pubblico per la cultura. […] Eugenio amava la politica ma non il potere, il bel vivere ma non il danaro, era profondamente leggero – o leggermente profondo. Scriveva divinamente. Si proclamava comunista ma era irresistibilmente libero, anarchico, illuminista. Per certi aspetti era un vero dandy. Credo che fosse anche disinteressato al successo – era troppo bravo per averne bisogno – che lo trovasse anche poco elegante. Piango un maestro, un amico, un compagno (lui a modo suo, io a modo mio)”. Lo ricorda con parole altrettanto riconoscenti il museo MAMbo: “Si poteva omettere il nome, per tutti era: il Professore e basta. Il suo sapere era vasto, ma alimentato da una curiosità sempre viva. ‘Ciò che è avvenuto dopo l’Impressionismo m’interessa meno’, diceva, ma in realtà ha lasciato pagine indimenticabili su Morandi, De Vita, Minguzzi, Mandelli, e non ultimi su Wolfango e Bertozzi & Casoni. Insomma l’arte è stata la sua vita o, per parafrasare il titolo di un suo libro, l’arte è stata amica sua e grazie al suo insegnamento l’arte è diventata amica di tanti”.

Eugenio Riccomini, tra istituzioni e insegnamento

Nato a Nuoro nel 1936, Riccomini aveva presto seguito la famiglia a Viterbo, poi a Bologna e Parma (le due città cui resterà professionalmente legato). Alla laurea in Lettere moderne, nel 1958, seguì la specializzazione presso l’Archivio di Stato di Parma, in paleografia e archivistica. “Riccomini è stato l’ultimo sopravvissuto della grande scuola di critica d’arte discesa dal lungo insegnamento di Roberto Longhi a Bologna, dal 1933 al 1950. Fu una scuola che, da Francesco Arcangeli a Carlo Volpe, da Andrea Emiliani a Eugenio Riccomini, mise Bologna al centro del mondo, innalzandone gli artisti dal Trecento fino a Morandi“, ricorda ora il Sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi. Ma la carriera di Riccomini ebbe inizio a Venezia, grazie al concorso che gli valse il ruolo di Ispettore delle Antichità e Belle Arti; nel 1967 ottenne il trasferimento a Bologna, approdando alla soprintendenza alle gallerie della città, dove ebbe modo di collaborare con Cesare Gnudi. Furono anni densi di attività, di catalogazione e conservazione (con focus sul territorio del Ferrarese, e particolare attenzione al degrado delle sculture all’aperto), curatela di mostre e pubblicazione di testi fondamentali per la lettura della storia dell’arte del Seicento e Settecento emiliano. Dal ’71 iniziò anche a insegnare, ottenendo la libera docenza in storia dell’arte medievale e moderna (dall’89 insegnò all’università di Messina, dal ’93 alla Statale di Milano). Nel ’73 fu incaricato dai ministri della Pubblica istruzione e degli Affari esteri di organizzare un’esposizione della pittura italiana del Settecento: la mostra fu esposta all’Ermitage di Leningrado, alla Galleria Tret’jakov di Mosca e al Museum Narodowe di Varsavia. L’ultima mostra organizzata, insieme a Daniele Benati, risale invece al 2006: la grande monografica su Annibale Carracci, esposta a Bologna e Roma. Tra le sue pubblicazioni, ricordiamo I fasti, i lumi, le grazie. Pittori del Settecento parmense (1978), Arte del Settecento emiliano (1979) e molteplici saggi e volumi di approfondimento su Correggio, di cui ha curato anche la monografia (2005) per la collana I Maestri. Nel 1980 fu lui a supervisionare il restauro della cupola del Duomo di Parma affrescata dall’artista cinquecentesco, offrendo al pubblico l’opportunità di apprezzare da vicino l’opera, salendo sui ponteggi (intuizione lungimirante, ripetuta nel 2008, in occasione di una nuova pulitura degli affreschi).
Nel 2021 riceveva da Matteo Lepore il riconoscimento dell’Archiginnasio d’Oro. Oggi, il sindaco di Bologna lo ricorda come “un gigante che amava Bologna, che come la fontana del Giambologna ci ha educato ad amare la bellezza della nostra città”.

Livia Montagnoli

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