Materia magmatica e forme primigenie nella mostra di Benedikt Hipp a Roma
Una mostra che sembra provocata da un terremoto. Il mistero e l’inattualità della ceramica nelle opere dell’artista tedesco ex borsista a Villa Massimo
L’inattualità e la rarità del lavoro da artista ceramista rende la mostra dello scultore Benedikt Hipp (Monaco di Baviera, 1977) presso Monitor Roma già un fatto di forte interesse e richiamo. Quando poi ci si accosta alle grandi forme dalla policromia misteriosa, affiancate da tavole lucenti e colorate che solo a un primo sguardo ne accompagnano la genesi, ci si rende conto di come sia ben più che un’esposizione di opere in ceramica, piuttosto il racconto di un’esperienza segreta di cui si desidera comprendere l’origine e l’evoluzione. Senza quel processo e l’identità che poi l’artista assegna all’opera compiuta, la rassegna rischia di essere incasellata tra linguaggi surrealisti, informali, concettuali o ad altri formalismi codificati. Mentre qui i codici sono diversi.
Chi è Benedikt Hipp
Hipp, bavarese attivo a Finning e legato a Roma per una recente permanenza da borsista a Villa Massimo e altre occasioni espositive, con il titolo Magma già allude all’impasto e al suo trasformarsi sotto il controllo dell’uomo. Alla stessa temperatura della roccia fusa egli segue la cottura della sua fornace nelle fasi temporali, vegliando le mutazioni che a quel grado di calore danno luogo a riemersioni di umori, metalli e variazioni cromatiche, controllate anche in relazione al tipo di legname in uso. Il rito creativo asseconda le forme, che infine assumono colorazioni e connotati geologici, ancestrali, per l’appunto magmatici. La mostra, seguendone l’ideazione e la prassi, oltre che molto suggestiva appare ipnotica. Tutto è parte integrante della stessa progettazione dell’artista: le sculture si appoggiano su basi lignee da lui realizzate e colorate. Le sagome plasmate risvegliano sensi e ricordi, richiamano concrezioni e stalagmiti, assumono aspetti antropomorfi, in una continuità fluida e imprevedibile.
La mostra alla galleria Monitor
Lo studiato allestimento nella luce delle sale conduce dalle sculture, che sembrano nell’atto di emergere e crearsi, alle grandi tavole brillanti di olii e vernici, compartecipi di quel processo creativo se pure distanti. A questa dialettica tra le arti si aggiunge il richiamo alla più pura tradizione figurativa evocata dal piccolo dipinto intitolato Altdorfer, nel quale una sorta di dito umano apre un arco prospettico da cui si svela un’astrazione di paesaggio nordico, lontano – ma anche vicinissimo se colto fuggevolmente – a una delle vedute del maestro tedesco del Cinquecento. È una mostra che sembra provocata da un terremoto, da una lotta esiodea per la prevalenza sulla terra, da una fusione magmatica che ritorna materia. E che ci immerge, infine, nella dimensione lucida, metafisica ma consolante di un day after.
Francesca Bottari
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