Le 10 notizie che hanno segnato l’architettura nel 2023
Un’analisi a tutto campo dell'anno appena concluso, dalle personalità in ascesa ai Paesi in vista, passando per premi e addii. Qui i link
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Che anno è stato il 2023 per l’architettura italiana e internazionale? Come di consueto il best of dedicato a questa disciplina non si limita a indicare i progetti più convincenti o portati a compimento: ricompone i dodici mesi in chiusura con un’analisi a tutto campo della disciplina, prendendo in esame fatti, personaggi, luoghi. Senza mai perdere di vista come l’attualità, tra guerre, disastri naturali, cambiamento climatico e scandali, si rifletta e incida sulla pratica architettonica e sui suoi professionisti.
L’ascesa di Lina Ghotmeh
Arabia Saudita che verrà
David Adjaye: dalla celebrazione in Biennale al #MeToo dell’architettura
Guerre, calamità e architettura
I concorsi e l’eredità architettonica del Novecento
Le architetture per la cultura del 2023
Le condizioni lavorative degli architetti italiani
La Biennale Architettura di Lesley Lokko
Premi, incarichi, nomine
Addii
Dall’invito alla convivialità del suo Serpentine Pavilion, a Londra, al laboratorio di Hermès in Normandia – il “primo edificio produttivo a basse emissioni di carbonio ed energeticamente positivo” – il 2023 è stato un anno chiave per la carriera dell’architetta libanese Lina Ghotmeh. Di base a Parigi e balzata agli onori della cronaca per opere come l’Estonian National Museum di Tartu e il complesso residenziale Stone Garden nella “sua” Beirut, Ghotmeh rientra a pieno titolo nella cerchia dei progettisti da non perdere di vista in questa fase storica. Anche perché sarà interessante capire come il suo approccio progettuale – sintetizzato nell’espressione “l’archeologia del futuro”, e basato su un’azione di indagine preventiva del sito assegnato e delle risorse in esso disponibili – si tradurrà nel peculiare contesto saudita. Durante la Biennale Architettura 2023, è stato infatti reso noto che sarà lei a occuparsi di uno dei due nuovi musei che sorgeranno in Arabia Saudita, nell’area di AlUla (l’altro sarà progettato da Asif Khan).
Non è solo il Regno che ha stracciato la concorrenza nell’assegnazione dell’Expo 2030, seppur tra le polemiche. Probabilmente mai come nel 2023 si è letto, scritto e discusso di Arabia Saudita con una così forte enfasi verso i settori dell’architettura, delle costruzioni e infrastrutturale. E siamo solo all’inizio, visto che il recente successo e l’attesa dei visitatori internazionali genereranno ovvie ripercussioni sugli ambiti citati. Provocatori, utopici, controversi, visionari, espressione di potere, “da record”, i progetti annunciati dall’Arabia Saudita negli ultimi mesi interrogano la comunità architettonica (e non solo): si possono davvero realizzare opere così? Quale sarà il loro impatto ambientale? Verso quale tipo di urbanizzazione (e di società) intendono condurci? Da The Line a Mukaab, per la prima volta ne abbiamo visti quattro insieme in un grande appuntamento globale: è successo a Venezia, sempre durante la Biennale Architettura, con Zero Gravity Urbanism, mostra che ha anche chiarito alcune delle società coinvolte in questi interventi (come Studio Fuksas, BIG – Bjarke Ingels Group e Adjaye Associates). E proprio mentre un grande studio italiano che già da tempo opera alle latitudini saudite sta ultimando il suo primo edificio nel Regno, arriva l’annuncio del nuovo Qiddiya Gaming and Esports District al cui interno sorgerà la Qiddiya City Esports Arena, firmata da Populous. Si tratta di un complesso dedicato al gaming e ai giochi elettronici – manco a dirlo – senza precedenti, che includerà la più grande area schermi video combinata mai realizzata e oltre 5.155 postazioni tattili 4D, per un’esperienza anche olfattiva.
Si può essere estimatori o detrattori dell’opera di David Adjaye. Probabilmente, però, dopo gli ultimi dodici mesi tra queste antitetiche posizioni esiste un punto di convergenza. Forse tutti, infatti, concorderanno che il 2023 sarà ricordato per le accuse che rischiano di minare la reputazione dell’architetto ghanese-britannico anziché come l’anno della sua definitiva consacrazione globale, come sarebbe dovuto essere sulla scia dell’apertura dell’Abrahamic Family House, ad Abu Dhabi. Proviamo a riavvolgere il nastro. È luglio. È trascorso meno di un mese in mezzo dall’apertura della Biennale guidata da Lesley Lokko, kermesse in cui Adjaye Associates gode di forte visibilità. È autore di Kwaeε, scultorea maxi installazione alle Corderie; gli è stata riservata un’intera sala al Padiglione Centrale e lì espone le maquette dei suoi progetti in progress nel mondo. Tra questi anche il Kiran Nadar Museum of Art di New Delhi, svelato per l’occasione. È in questo momento che il Financial Times pubblica Sir David Adjaye: the celebrated architect accused of sexual misconduct, inchiesta che riunisce le testimonianze di tre ex dipendenti dello studio di Adjaye. Le accuse sono gravissime: violenza sessuale e condizioni di lavoro tossiche. Per le persone coinvolte nella vicenda le conseguenze dell’esperienza a diretto contatto con il progettista che tutti celebrano, ovunque premiato, risultano drammatiche. E così, l’architetto che sull’isola di Saadiyat (probabilmente uno dei luoghi del pianeta in cui, al momento, si concentrano il maggior numero di grandi società di progettazione e di manovalanza dal subcontinente indiano, attiva in maxi cantieri) ha dato forma a un centro culturale e religioso unico nel suo genere, emblema di pacifica convivenza tra le tre religioni abramitiche (cristianesimo, ebraismo e islam), finisce nel vortice per la sua condotta. Solo recentemente tornato sui social (con il suo profilo Instagram @adjaye_visual_sketchbook), l’architetto non sarebbe più coinvolto in alcuni degli interventi che stava seguendo. In attesa che la giustizia segua il suo corso, avrebbe infatti optato per un passo indietro rispetto ad alcuni incarichi assunti. Compreso quello all’African Futures Institute, la scuola post-laurea indipendente di architettura fondata proprio da Lesley Lokko, ad Accra (Ghana).
Il 2023 resterà segnato dai sanguinosi conflitti in corso, dall’Ucraina al Medio Oriente, e tra i disastri naturali dai terremoti in Turchia, Siria e Marocco. Quali sono i riflessi di questi drammi in architettura? Il neo guest-editor 2024 di Domus, Sir Norman Foster, prosegue con il suo impegno a favore della costruzione di Kharkiv, la seconda più grande città ucraina; in parallelo ha lanciato un progetto educativo sulle città sostenibili attraverso il Norman Foster Institute. Già impegnato sul fronte ucraino, con il progetto di un ospedale in Cross Laminated Timber, a inizio settembre dal Giappone è volato in Marocco Shigeru Ban. Mosso dalla volontà di aiutare la popolazione vittima del sisma, l’architetto ha presentato il progetto di alloggio temporaneo sviluppato dal “suo” Voluntary Architects’ Network (VAN), la cui realizzazione spetta alla National School of Architecture of Marrakech. Per effetto della guerra divampata in Medio Oriente, è poi slittata a data da destinarsi l’apertura del National Library of Israel’s new campus, progettato dallo studio Herzog & de Meuron nel cuore di Gerusalemme. La stessa città dove, appena un anno fa, era stata ultimata la nuova sede della storica Bezalel Adademy of Arts and Design, disegnata da SANAA e dallo studio locale HQ Architects.
Al fermento architettonico globale, come risponde l’Italia? Spesso ci ritroviamo a parlare di carte bollate e burocrazia anziché di architettura “vera e propria”. Il caso forse più eclatante resta quello dell’infinita querelle attorno alla Loggia Isozaki, che da Firenze propaga la sua eco sull’intero Paese a testimonianza di un certo modus operandi rispetto allo strumento dei concorsi. Risale allo scorso 30 novembre l’invio di una lunga lettera al ministro Sangiuliano e al suo sottosegretario Sgarbi. Promossa dall’Ordine degli Architetti di Firenze, firmata dal suo presidente Andrea Crociani, sottoscritta da 94 ordini su un totale di 105, oltre che dalla Fondazione Architetti Firenze e dalla Fondazione Michelucci, la missiva evidenzia l’“estrema preoccupazione in merito alla recente decisione di non dare corso alla realizzazione della Loggia Isozaki, il progetto vincitore del concorso internazionale per la nuova uscita degli Uffizi bandito nel 1998”. Tra i tanti i quesiti posti sul futuro dell’uscita del complesso museale fiorentino, emerge la cruciale domanda: “Vorremmo comprendere il motivo per cui non è stato ritenuto opportuno, dopo aver annullato l’esito di un concorso internazionale, procedere con un nuovo concorso”. Anche nel 2024, in Artribune abbiamo riservato spazio alle storie legate all’eredità architettonica del Novecento italiano. Tra buone notizie, come la riapertura del Palazzetto di Nervi al Flaminio, racconti di restauri, denunce, interventi di salvaguardia, progettisti da riscoprire ed eccellenti incompiute.
Ma quali gli edifici per la cultura hanno segnato il 2023? È stato l’anno dell’inaugurazione degli Aviva Studios, sede di Factory International a Manchester, su progetto di Ellen van Loon di Office for Metropolitan Architecture (OMA), lo stesso studio che si è aggiudicato il concorso per il Museo Egizio, a Torino. In Turchia è giunto a conclusione l’iter costruttivo dell’Istanbul Modern di Renzo Piano Workshop Building. Extra Europa Studio Gang ha ultimato il Richard Gilder Center for Science, Education, and Innovation at the American Museum of Natural History, a New York; Heatherwick Studio ha debuttato in Giappone (nel nuovo Azabudai Hills di Tokyo il prossimo 9 febbraio si insedierà il teamLab Borderless: MORI Building DIGITAL ART MUSEUM); Tadao Ando ha esordito in Australia, con l’MPavilion 10. Per l’Italia vogliamo in particolare ricordare la riapertura di Palazzo dei Diamanti, rinnovato con l’intervento di restauro, adeguamento funzionale (con interessanti ricadute anche a livello paesaggistico) messo a punto dallo studio Labics. Il progetto è in lizza all’UE Mies Awards 2024, insieme ad altre 12 opere realizzare nel nostro Paese.
Come campano gli architetti italiani in Italia? Quali sono – davvero – le condizioni per i progettisti che operano ogni giorno negli studi professionali nazionali, in particolare senza esserne i fondatori? Sono economicamente sostenibili ed eticamente giuste? Una questione cruciale, quest’anno scandagliata forse come mai prima d’ora anche per effetto di alcune iniziative di denuncia nate e cresciute sui social. A marzo, poi, Triennale Milano ha ospitato una ricognizione a più voci, coinvolgendo giovani professionisti, rappresentanti degli studi di architettura, esponenti del Governo e degli ordini professionali nazionali e locali, giuslavoristi, esperti. Da luglio a settembre 2023, l’Ordine degli Architetti della provincia di Milano ha invitato i suoi iscritti a compilare un questionario anonimo per mettere nero su bianco le loro condizioni di lavoro. A voi il giudizio sui dati recentemente resi noti: il 59% dei professionisti collaboratori continuativi dichiara di non avere un contratto di incarico con il committente principale con cui lavora (per le donne rispondenti la percentuale sale al 61%); il 24% dichiara meno di 1.000 euro per i collaboratori che esercitano la professione da meno di un anno; il 57% usa strumenti propri per lavorare; il 49% lavora più di 8 ore al giorno; il 90% dichiara di non avere tutele aggiuntive; del 61% non viene comunicata mai o quasi mai la partecipazione all’interno di siti web, piattaforme di comunicazione, riviste, comunicati stampa.
Non sono i numeri a “fare una Biennale”, ma è fuori discussione che abbiano il loro peso. E The Laboratory of the Future diretta da Lesley Lokko è stata la seconda Biennale Architettura più vista di sempre, con 285mila biglietti venduti in sei mesi (cui si aggiungono 14.150 presenze nella pre-apertura). Un risultato con il quale dovrà fare i conti il prossimo curatore, Carlo Ratti, ovvero il quinto progettista italiano (uomo) a ricevere il prestigioso incarico nella storia della kermesse lagunare.
Arrivata a ridosso delle festività natalizie, quella di Ratti non è stata la sola “selezione di peso” ad aver acceso il dibattito tra gli addetti del settore. Vale la pena ricordare che Sir David Chipperfield ha vinto il Pritzker Prize 2023; a Expo Osaka 2025 l’Italia sarà rappresentata dal padiglione progettato dal team di cui è capofila lo studio Mario Cucinella Architects, scelto in estate. Almeno due le vicende capitoline da segnalare. Dopo il suo lavoro in Triennale, Lorenza Baroncelli è stata nominata direttrice del Dipartimento di Architettura del MAXXI di Roma lo scorso giugno. Indetto a fine 2022, il bando Laboratorio Roma050 – Il futuro di una Metropoli-Mondo ha dallo scorso ottobre i suoi vincitori. Sono Matteo Costanzo, Eloisa Susanna, Giorgio Azzariti, Jacopo Costanzo, Margherita Erbani, Riccardo Ruggeri, Marco Tanzilli, Carmelo Gagliano, Giulia Benati, Susan Isawi. A coordinarli sarà l’architetto Stefano Boeri e dovranno occuparsi di definire una visione a lungo termine della capitale italiana, che nel frattempo si mobilita in vista del Giubileo 2025.
Immancabile anche quest’anno il ricordo dei professionisti che ci hanno lasciato nel 2023. Sono stati dodici mesi particolarmente drammatici, con perdite premature e, talvolta, del tutto inattese e dolorose. Addio a due pilastri della scena architettonica italiana come Paolo Portoghesi e Andrea Branzi, al pioniere dell’architettura indiana Balkrishna Doshi, a Rafael Viñoly, Raymond Moriyama, Piero Sartogo, Italo Lupi, Maurice Nio, Giusto Puri Purini, Jean Louis Cohen, alle architette Renée Gailhoustet e Beverly Willis.
L’ascesa di Lina Ghotmeh
Arabia Saudita che verrà
David Adjaye: dalla celebrazione in Biennale al #MeToo dell’architettura
Guerre, calamità e architettura
I concorsi e l’eredità architettonica del Novecento
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Valentina Silvestrini
Dal 2016 coordina la sezione architettura di Artribune, piattaforma per la quale scrive da giugno 2012, occupandosi anche della scena culturale fiorentina. È cocuratrice della newsletter "Render". Ha studiato architettura all’Università La Sapienza di Roma, città in cui ha conseguito…
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