L’influencer Piero Armenti si mette a fare il critico d’arte. E stronca una scultura a New York
L’influencer Piero Armenti – fondatore della pagina “Il mio viaggio a New York” – spara a zero contro un’opera d’arte pubblica a Brooklyn realizzata da Nicholas Galanin. Al quale consiglia di “cambiare mestiere”. Gli influencer possono dire tutto o anche loro hanno un limite?
“Bruttissima, penso sia una delle sculture più brutte che abbia mai visto. Ma chi l’ha messa? Pare una ferraglia buttata lì per caso, ma chi l’ha fatta? Ti consigliamo di cambiare mestiere, fai un favore all’umanità”. Con dei contenuti sui propri profili social, Piero Armenti – influencer e tour operator italiano di base e molto noto a New York – esprime così il suo giudizio su un’opera d’arte pubblica installata nei pressi del ponte di Brooklyn, una grande scultura in metallo con la scritta LAND realizzata da Nicholas Galanin e dal titolo In every language there is Land / En cada lengua hay una Tierra. Da ciò che si evince dal video, Armenti – fondatore della pagina Il mio viaggio a New York, dove si descrive come “un imprenditore, scrittore ed un urban explorer a New York. Riprendendo le parole di Vanity Fair sono ‘uno che a furia di camminare, girare e conoscere sa tutto, anche cose che non sempre si vedono’” – non conosce Nicholas Galanin, eppure gli consiglia di cambiare mestiere. Uscita scomposta e peraltro non troppo gradita da tantissimi suoi follower, che nei commenti hanno palesato tutto il loro disappunto. Qualcuno di loro ha spiegato ad Armenti chi è Galanin, dando vita a un dibattito che per certi aspetti ha risollevato le già turbolenti sorti di un post riuscito in maniera infelice.
Chi è Nicholas Galanin, autore della scultura LAND a Brooklyn a New York
Classe 1979, Nicholas Galanin è un artista indigeno, membro della tribù Sitka dell’Alaska. La sua pratica creativa riflette la sua condizione di nativo americano, affrontando temi quali l’uguaglianza, la giustizia sociale e ambientale, il riconoscimento del proprio popolo. “Le sue opere sono contenitori di conoscenza, cultura e tecnologia: intrinsecamente politiche, generose, incrollabili e poetiche. Interagendo abilmente con passato, presente e futuro, Galanin celebra la bellezza, la conoscenza e la resilienza delle popolazioni indigene. Evitando binarietà e categorizzazioni, la pratica di Galanin cerca di immaginare, costruire e sostenere la sovranità indigena”, si legge sul sito web di Public Art Fund, organizzazione che promuove progetti di arte pubblica e mostre gratuite a New York. Una commissione dunque importante quella di LAND, che consiste in una struttura in metallo alta oltre nove metri realizzata con gli stessi tubi di acciaio utilizzati per costruire il muro di confine tra gli Stati Uniti e il Messico. La scritta LAND cita formalmente l’opera LOVE di Robert Indiana e, come sottolinea il direttore artistico di Public Art Fund Nicholas Baume, “Galanin adatta aspetti della pop art e del minimalismo, come la ripetizione, il testo e la produzione industriale per protestare contro i sistemi oppressivi di divisione e controllo. Il titolo, ‘In every language there is Land / En cada lengua hay una Tierra’, unisce inglese e spagnolo, due lingue imposte in Nord America a partire dalla colonizzazione. Il lavoro ci ricorda che i popoli indigeni persistono e permeano i confini nonostante la rimozione forzata dei diritti, delle lingue e dell’accesso alla terra e all’acqua”.
Si può criticare un’opera d’arte senza conoscerne il significato o il primo impatto è ciò che conta?
È indubbio che soprattutto nell’ambito dell’arte pubblica, la mole di un’opera ha un impatto non indifferente sulla sua fruizione. Sculture di grandi dimensioni, collocate in luoghi iconici, hanno l’obiettivo di essere impattanti, di farsi notare a tutti i costi, perché evidentemente hanno qualcosa da dire (non sempre). E soprattutto, vogliono fare scaturire emozioni, piacevoli e anche sgradevoli. Nel caso specifico, parliamo di un’opera politica, scomoda, “ingombrante” concettualmente. Un’opera che parla di confini, collocata vicino a un ponte la cui funzione è quella di annullarli, i confini. Chi si trova a passare dalle parti di LAND, può conoscere la storia dell’opera e del suo artista, e quindi coglierne subito i significati; ma in tanti (forse la maggior parte) potrebbero non avere tali informazioni, comunque reperibili attraverso il cartello didascalico che si trova nei pressi dell’opera, come si vede nel video di Armenti. Tornando all’influencer, dunque, e al post che ha pubblicato, viene spontaneo porsi alcune domande: si può criticare – e addirittura sparare a zero – un artista di cui non si conosce la pratica suggerendogli addirittura di cambiare mestiere? Frasi di questo tipo hanno un impatto diverso se pronunciate da un personaggio molto seguito sui social? Chi lavora nella comunicazione sa bene quanto le parole abbiano un peso e soprattutto la modalità con le quali queste debbano essere utilizzate. Forse da un “urban explorer” di New York ci si sarebbe aspettati che andasse più a fondo, che si premunisse di smartphone per cercare notizie sull’opera e il suo artista, e che desse queste informazioni ai suoi follower. Gli stessi follower che garantiscono ad Armenti incassi smisurati (mezzo milione di dollari all’anno solo da Facebook, poi ci sono gli altri social, le sponsorizzazioni e altro ancora). Liberissimo, poi, di dire la sua, sia in caso di parere positivo o anche negativo. Ciò che non dovrebbe mancare è l’argomentazione e l’approfondimento, anche – e soprattutto – quando si è influencer.
Desirée Maida
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