La critica d’arte e la sua inutilità
Il mercato dell’arte non sa che farsene della critica: è quanto di più inutile si possa immaginare, e praticare. E proprio per questo è necessaria. Oggi più che mai
Nel dibattito infinito, e che ciclicamente si ripropone, sulla scomparsa – o sulla ricomparsa – della critica d’arte in Italia, mi sembra onestamente che ci siano alcuni equivoci su che cosa realmente sia la critica. Vale a dire, in che cosa essa consista esattamente, quale sia il suo ruolo e quale, infine, la sua funzione.
Viene infatti costantemente citata la famosa (o famigerata) “recensione negativa”, che naturalmente è morta pure lei da tempo, per dire che la critica non c’è più, che gli articoli sulle mostre sono diventati riproposizioni dei comunicati stampa, e bla bla bla. Il problema è che io non credo che la recensione sia la critica, e che la critica consista nella recensione, negativa o positiva; anzi, francamente quando sento e leggo “critica = stroncatura”, questa equazione mi risulta del tutto incomprensibile. Certo, la recensione negativa fa parte della critica, ma l’intera funzione non si esaurisce lì, nel parlare male di una mostra o di un libro: è divertente, è vero, ed è un peccato che sia praticamente scomparsa, ma non mi sembra il tema centrale di tutta la faccenda.
Significherebbe infatti concentrarsi solo sul dopo, sul momento in cui l’opera viene presentata, esposta pubblicamente: ma la critica d’arte non si esaurisce affatto nel dopo, nel post, non avviene a cose fatte. Non ratifica e basta. La critica non consiste affatto nel dare le pagelle alle opere e agli artisti.
“A che tipo di ruolo potrebbe ambire la critica, se tutte quelle operazioni di validazione e ratifica sono state tranquillamente sussunte dal mercato?”
Inutilità e indipendenza della critica
Questo, dunque, mi sembra l’equivoco più grande di oggi: la pretesa di assegnare un compito determinato e una specifica funzione alla critica all’interno di ciò che conosciamo come “il sistema dell’arte”. Ed è ovvio poi che, seguendo questi parametri, la critica non può avere oggi alcuna funzione – e infatti non ce l’ha. A che tipo di ruolo potrebbe ambire la critica, se tutte quelle operazioni di validazione e ratifica sono state, nell’arco di un quarantennio, tranquillamente sussunte dal mercato? Il sistema (cioè il mercato) non sa proprio che farsene della critica d’arte, e del critico d’arte. In questo senso il curatore (che ama presentarsi a volte come critico, ma non lo è) è stato finora – e magari la situazione sta cambiando o è già cambiata – una figura molto più pratica, molto più adatta all’esecuzione, all’efficienza, molto più performante, e quindi più accettabile.
E questo è anche il motivo per cui la critica – e qui intendo ovviamente ciò che una volta si definiva “critica militante” – è indipendente, indipendente cioè dal potere, e dalle istituzioni, e anche dal mercato. Eh già. Non so cosa ne pensate, ma non si può essere contemporaneamente “contro-il-sistema” e “il-sistema”.
Quindi, come si può intuire, il mestiere del critico oggi è quanto di più inutile si possa immaginare, e praticare. Per questo è oggi forse ancora più necessario di quanto lo fosse nella tanto favoleggiata età dell’oro, quella che va grossomodo dal dopoguerra agli anni Ottanta. In un’epoca come quella attuale – soffocata e al tempo stesso costantemente stimolata dall’efficienza, dal culto del risultato e della performatività, in un’epoca di roba scadente in modo tragico e irrecuperabile che viene osannata e spacciata per finissima, di prima scelta – a che serve infatti uno o una che accompagna il farsi dell’opera senza sapere quello che ne verrà fuori, che valuta le sue incertezze e i suoi fallimenti ancora più delle riuscite? A che serve una figura che si disperde in mille rivoli e non si sa mai dove diavolo andrà a parare, e nemmeno se andrà fino alla fine a parare veramente da qualche parte?
La critica deve compartecipare alla produzione dell’opera
Perché la critica, in fondo, è questo: non si occupa del dopo dell’opera, ma del suo durante e addirittura del suo prima, cioè del suo farsi. La critica è un pensiero che si costruisce accanto e insieme a quello dell’opera, in un rapporto del tutto paritario e di scambio creativo; è un insieme di idee e di proposte che accompagnano quelle dell’artista. Lungi dal costituire una semplice funzione (economica, ancora una volta) all’interno del sistema dell’arte, lungi dall’occupare placidamente la sua casella, la critica – se vuole – può costruire nuovi riferimenti e collegamenti; può farsi guidare dal processo dell’opera e a sua volta contribuire alla sua evoluzione; può tornare a comprendere come la critica stessa sia un’opera, e come l’opera d’arte a volte possa essere critica della miglior specie.
Tutto ciò, naturalmente, richiede di uscire una volta per tutte dal criterio dell’efficienza, della performatività, della gratificazione immediata. Altrimenti, in effetti, la critica è finita: banalmente perché non ce n’è più bisogno, nessuno la vuole più. E nessuno si ricorda neanche che cosa sia.
Christian Caliandro
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #75
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