Morto l’attore e drammaturgo napoletano Enzo Moscato
Protagonista della scena teatrale più innovativa e ardita dell’Italia degli anni Settanta e Ottanta, Enzo Moscato era in primo luogo un poeta, malinconico e ironico, cantore della nostra fragile umanità
“Allora tu, Enzo, cerchi le parole nei ricordi. Quelle più preziose o quelle più desuete o quelle che oggi mancano; oppure ti prepari il futuro, inventando prima le parole, le parole ‘p’’a cosa bella’ che solleciti ad accadere domani. Un filo di voce intonato, per un soliloquio perenne, un lungo mantra, che nella sua vana tragicità ha lampi ironici, riverberi comici.” Così Leo de Berardinis parlava del suo “collega” e conterraneo Enzo Moscato, definendo alla perfezione l’arte del drammaturgo, attore, cantante e regista, scomparso il 13 gennaio 2024 a Napoli, lasciando un immediato e insanabile vuoto nel mondo dello spettacolo italiano.
Enzo Moscato: la vita
Enzo Moscato era nato il 20 aprile 1948 nei Quartieri Spagnoli, in una famiglia in costante lotta con la povertà, come lui stesso raccontava. “Sette figli, una casa piccola, mio padre spesso disoccupato, mia madre che invece lavorava sempre”. Una condizione di indigenza che, tuttavia, ne segna indelebilmente sensibilità e conoscenza dell’anima autentica della propria città. “Tutto quello che mi porto appresso di cultura napoletana l’ho preso in quei dieci anni che sono stato ai Quartieri”. Il miglioramento delle condizioni economiche della famiglia aveva coinciso con il trasferimento nel più moderno quartiere Fuorigrotta: a quegli anni risalgono gli studi superiori di Enzo, che si laureò in filosofia e psicologia. Intanto era nata la passione per il teatro, che costrinse per alcuni anni l’artista a un’esistenza schizofrenica: di giorno insegnante di filosofia in un liceo di Napoli, la sera il teatro. I primi successi arrivano alla fine degli anni Settanta con Carcioffolà Scannasurice e Trianon, fino alla consacrazione ottenuta con la vittoria, nel 1985, del Premio Riccione/Ater per Pièce Noire. Da quel momento la carriera di Moscato prende il via tra drammi, commedie, monologhi, atti unici lirici, rapsodie, frammenti, di cui è autore e interprete in scena, vincendo numerosi altri premi, quali: il Premio IDI 1988, il Premio UBU per il Teatro 1988 e 1994, il Premio della Critica 1991, il Premio I° Oscar della Radio Italiana 1992, il Premio Internazionale di Radiofonia del Festival di Ostankino 1994 e il Premio “Viviani” Benevento Città Spettacolo 2002, per citarne solo alcuni. Ci sono poi cinque CD in cui l’artista, nelle vesti di elegante e autoironico chansonnier, rivisita il repertorio napoletano; e poi arriva il cinema, frequentato con la guida di registi quali Mario Martone (indimenticabile Rasoi, tratto dall’omonimo spettacolo dello stesso Moscato), Pappi Corsicato, Raul Ruiz, Antonietta De Lillo, Massimo Andrei, Pasquale Marrazzo.
L’arte unica di Enzo Moscato
Considerato fra i principali esponenti della nuova drammaturgia napoletana, Enzo Moscato ha coniato un linguaggio visionario e inventivo, arcaico e modernissimo, una miscela di dialetto e italiano, lingue straniere con latinismi e termini espressivamente vernacolari. Un’arte che si richiama ad Artaud e a Genet, “santi maledetti” della scena novecentesca e, d’altronde, anche Moscato non celava la propria volontà di restituire al teatro la sua intrinseca e originaria natura di luogo “contro”, posto anche fisicamente “fuori” dallo spazio della convenzionalità borghese.
Una rivendicazione di libertà che l’artista proclamava dichiarando la propria passione per personaggi quali Giovanna d’Arco e Giordano Bruno, “eretici” allo stesso tempo candidi e determinati, come era Moscato, capace di dare vita a opere in cui convivono vita e morte, eros e thanatos, alto e basso. Artista-filosofo, barocco eppure conciso nel suo evocativo lirismo, indefesso sperimentatore delle potenzialità della voce e generoso esploratore della multiforme espressività del proprio corpo, Enzo Moscato ha voluto e ha messo in scena un teatro del “limite”, un’arte poetica ansiosa di varcare la soglia del possibile e dell’immaginabile.
Laura Bevione
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