Uno st_art fra Palazzo Grassi e Punta della Dogana

Con Marina Rotondo, responsabile del dipartimento educazione della François Pinault Foundation, abbiamo parlato di “st_art”. Ovvero di come comunicare l’arte contemporanea al pubblico, che si tratti di farlo in lingue diverse o confrontandosi con le più varie disabilità. E poi siamo arrivati all’eredità di Bruno Munari, all’eccellenza italiana in questo settore, fino a come leggere Murakami e Judd.

Cominciamo dalla fine: come sono andati questi primi due mesi di st_art 2012/2013 e che attività sono in programma per i prossimi?
St_art, nome che abbiamo dato al servizio educativo della François Pinault Foundation, è nato nel gennaio del 2010. Oggi siamo alla quarta stagione. Siamo partiti con una proposta essenziale, rivolta solo alle scuole. Quest’anno offriamo 25 percorsi per le scuole dall’infanzia alle superiori (3-19 anni), tre laboratori Arte & Lingua, 35 atelier – sempre diversi! – per le famiglie con bambini dai 4 ai 10 anni ogni sabato pomeriggio, un ciclo di approfondimenti per insegnanti, studenti universitari e operatori museali (Due mondi nella testa, quattro incontri sull’arte contemporanea come crocevia di linguaggi diversi svolti nel mese di ottobre) e due progetti per l’accessibilità del pubblico non vedente e  non udente.
Inoltre partecipiamo per il secondo anno a Turbine Generation, un progetto internazionale online rivolto alle scuole medie e superiori e promosso dalla Tate, con cui collaboriamo ormai stabilmente. Tutto questo lavoro è svolto grazie uno staff di operatori molto giovani e molto brillanti, un’istituzione agile e dinamica e una direzione curiosa e aperta alle novità.

Entriamo nel dettaglio dell’offerta. Due sono i punti di forza che emergono a prima vista: i laboratori in lingua (francese e inglese) e l’utilizzo del LIS. Come vi muovete lungo queste due direttrici?
I laboratori Arte & Lingua, attivi da tre anni, e il progetto della LIS, novità di quest’anno scolastico, sono oggi le proposte ci appassionano di più tra quelle della nostra offerta didattica. Per quanto riguarda i percorsi in lingua straniera, ci siamo ispirate al progetto CLIL – Content and Language Integrated Learning, una raccomandazione della Comunità Europea che esorta le scuole a istituire l’insegnamento di una o più materie curricolari in lingua straniera. In Italia il progetto ha avuto una larga diffusione e oggi in molti istituti medi e superiori scienze, geografia, storia dell’arte o altro vengono insegnati in inglese, francese, spagnolo o tedesco. Tre anni fa abbiamo pensato di prendere spunto dal concetto di CLIL e in collaborazione con due istituti linguistici molto accreditati, Alliance Française e Oxford School of English, abbiamo messo a punto dei percorsi di visita in francese e inglese, svolti rigorosamente da insegnanti delle due scuole, che si propongono di veicolare contenuti artistici fornendo al tempo stesso competenze linguistiche. Tra i nostri percorsi per la fascia di età 11-19, questi sono i più richiesti.

photo Matteo De Fina MG 8758 Uno st_art fra Palazzo Grassi e Punta della Dogana

st_art – photo Matteo De Fina

E per quanto riguarda la LIS?
A partire dall’anno scolastico 2012/13 abbiamo studiato, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze del linguaggio di Ca’ Foscari e con il suo spin-off Veasyt, un progetto chiamato Ascoltare con gli occhi. La proposta si rivolge alle scuole e alle famiglie: forniamo gratuitamente un interprete in lingua dei segni italiana a tutte le classi che ne fanno richiesta quando prenotano la visita al museo e affianchiamo un interprete in LIS all’operatore di Palazzo Grassi in tutti i nostri atelier per famiglie, che partecipino bambini sordi o meno. Nei primi 10 minuti di atelier l’interprete introduce la LIS e spiega ai bambini udenti (i sordi sono pochissimi in realtà) a cosa serve e come funziona, insegnando anche qualche parola. Nel resto del tempo assiste i bambini non udenti e facilita la comunicazione tra tutti. È sorprendente vedere l’entusiasmo dei bambini di fronte a questa novità.
Ascoltare con gli occhi in realtà fa parte di una ricerca più complessa che i servizi didattici di Palazzo Grassi stanno svolgendo sul tema dell’accessibilità al museo da parte dei disabili sensoriali, a partire dai non udenti e dai non vedenti. La disabilità sensoriale ci interessa particolarmente perché – rispetto a quella motoria – la sua accessibilità è scarsamente normata, e anche quando esistono disposizioni di legge, queste vengono tranquillamente ignorate. Inoltre gli interventi rivolti ai disabili sensoriali passano necessariamente attraverso un lavoro creativo di natura culturale che è più legato alle nostre competenze. Dopo un anno di indagine e di confronto con altri musei italiani e internazionali, ci siamo resi conto di alcuni dati di fatto: la grande diversità delle comunità disabili e delle loro esigenze e abitudini, la varietà degli approcci e degli interventi possibili, la serietà del lavoro che in molti casi è già stato svolto in istituzioni artistiche di Venezia e di altre città e soprattutto l’esistenza in Italia di vere e proprie eccellenze in campo sia accademico che professionale.
Una volta osservato l’esistente, siamo partiti anche noi. Nei nostri musei tutto prende le mosse dall’idea semplice ma cruciale – ormai largamente condivisa in Italia ma non altrettanto all’estero – che la disabilità vada realmente integrata. In altre parole, il nostro obiettivo non è studiare un’offerta dedicata specificamente ai disabili, ma rendere fruibile davvero a tutti l’offerta già esistente al museo. Esattamente in questo senso va il progetto LIS, che nel 2013 sarà seguito da un intervento ancora più importante rivolto ai non vedenti e ipovedenti, in collaborazione con Tactile Vision di Torino e Lettura Agevolata di Venezia.

photo Matteo De Fina MG 7844 Uno st_art fra Palazzo Grassi e Punta della Dogana

st_art – photo Matteo De Fina

L’offerta espositiva di Palazzo Grassi e Punta della Dogana si caratterizza per permanenze anche molto prolungate delle opere in allestimento. Dal punto di vista di chi si occupa di educazione, questo è un punto di forza o di debolezza? Insomma, c’è più tempo per approfondire oppure si rischia di non avere sufficiente materiale sempre “fresco”?
I due spazi espositivi in cui lavoriamo sono caratterizzati da ritmi diversi: Punta della Dogana ospita esposizioni che partono sostanzialmente da opere della collezione François Pinault e hanno una durata di quasi due anni; Palazzo Grassi organizza mostre temporanee di durata decisamente inferiore. Il nostro lavoro di progettazione didattica ne tiene conto: c’è il lavoro sui temi fondamentali che attraversano tutta l’arte contemporanea – il colore, lo spazio, i materiali, la luce, l’astrazione e la figurazione, il ritratto – ma ci sono anche focus su opere o artisti specifici. Del resto è la natura stessa della François Pinault Foundation a richiederlo: da un lato dobbiamo considerare i nostri contenuti come se si trattasse di una collezione museale, dall’altro ci confrontiamo con installazioni temporanee. Il lungo periodo favorisce l’approfondimento dei temi e la costruzione di progetti didattici strutturati, la mostra di breve durata è l’occasione per sperimentare idee anche folli e  È una sfida molto stimolante.

Il dibattito su educazione e didattica è sempre vivo, sebbene sottotraccia. Anche perché, pur avendo eccellenze internazionali in questo settore in Italia, come al solito si tende a valorizzarle poco. Qual è la vostra posizione sullo stato dei Dipartimenti Educazione nel nostro Paese, in particolare per quanto concerne l’arte contemporanea?
A me sembra che il dibattito sull’educazione all’arte e sulle istituzioni che la sviluppano sia invece piuttosto vitale. Noi seguiamo con costanza e interesse l’attività didattica di tutti i centri di arte contemporanea italiana e di molte realtà internazionali; spesso incontriamo i nostri omologhi e abbiamo occasione di discutere e confrontarci. I musei italiani di arte contemporanea sono artefici e testimoni di esperienze formidabili e i servizi didattici in molti casi contribuiscono in misura sostanziale a definire l’identità dell’intera istituzione, penso al Castello di Rivoli, al Palazzo delle Esposizioni di Roma al MAMbo di Bologna, alla collezione Guggenheim a Venezia. In tutti questi casi la loro eccellenza a mio parere è determinata dalla precisa volontà di non restare ancorati alla propria esperienza, storia o tradizione, ma aprirsi verso l’esterno, entrando in contatto con realtà di altri Paesi o di altre comunità a cui attingere stimoli e idee. Attenzione, queste esperienze di scambio non sempre necessitano di grandi risorse economiche, piuttosto di grande entusiasmo e generosità intellettuale.
Una prova del riconoscimento internazionale dell’azione didattica dei musei italiani è il fatto che vengano regolarmente invitati a intervenire a convegni, workshop, summer school in tutto li mondo. Palazzo Grassi, ad esempio, nel 2011 è stato scelto dalla Tate come primo partner italiano per il lancio e la diffusione del progetto online di Turbine Generation, destinato alle scuole di tutto il mondo e culminato a settembre 2012 in un grande convegno internazionale sulla didattica, Worlds Together, dove abbiamo tenuto una conferenza sullo stato dell’educazione all’arte in Italia fra istituzioni scolastiche e istituzioni museali.

photo Matteo De Fina 2 Uno st_art fra Palazzo Grassi e Punta della Dogana

Laboratorio con Takashi Murakami a Palazzo Grassi – photo Matteo De Fina

Chiudiamo con la domanda: cosa e chi c’è alla base del vostro agire? Generalmente esce – a ragione – sempre il nome di Bruno Munari. Ma cosa ne è della comunicazione con il pubblico nella nostra epoca? Come si possono educare i visitatori di domani?
Tutte le esperienze di didattica dell’arte in Italia partono da Bruno Munari, ma tra le figure di riferimento non vanno dimenticati altri artisti come Leo Lionni o Eric Carle. Le loro sperimentazioni, le loro ricerche, la loro sensibilità fanno parte del bagaglio culturale di tutti i servizi didattici italiani in maniera quasi naturale, come ci viene puntualmente riconosciuto anche all’estero. La sfida oggi è mettere a frutto la loro lezione in un mondo in cui il modo di comunicare e di percepire le cose è radicalmente cambiato e in cui le immagini, ad esempio, hanno una valenza nuova e diversa.
Detto questo, la nostra azione educativa passa sempre attraverso tre momenti fondamentali: giocare, fare e guardare. Il fine ultimo è imparare a vedere, perché vedere significa farsi delle domande e avere dei dubbi su ciò che ci circonda, significa capire il tempo e il luogo in cui viviamo, significa sviluppare un senso critico che ci permette di prendere delle decisioni personali. E l’arte contemporanea, fotografia del presente e anticipazione del futuro, è il formidabile motore di questo processo educativo.

Infine: due opere con le quali vi siete confrontati in queste settimane e che vi hanno dato maggiori soddisfazioni in termini di risposta attiva da parte dei più piccoli.
A Palazzo Grassi l’opera su cui ci siamo concentrati a lungo è 727-272 di Takashi Murakami: ne abbiamo fatto la pietra miliare dei percorsi per i più piccoli (infanzia e scuola primaria). È costituita da 16 pannelli che rivestono un’intera sala e creano un ambiente speciale e molto caratterizzato: questo aspetto ci ha spinti a lavorare sulle emozioni, costruendo una storia alla base del successivo laboratorio, dedicato alla realizzazione di un piccolo mostro (dotato però di cuore). La combinazione di un momento narrativo e dell’osservazione dell’opera sono molto efficaci nel far scaturire reazioni ed emozioni, che confluiscono con successo nell’attività conclusiva.
A Punta della Dogana forse dobbiamo parlare delle opere di Donald Judd ospitate nella prima navata. All’opposto dell’opera di Murakami a Palazzo Grassi – un’esplosione di segni e colori saturi – l’opera di Judd è rigorosamente geometrica e monocroma. Judd è diventato il punto di partenza di una serie di attività dedicate all’indagine sullo spazio e sulle tre dimensioni, che nella mostra Elogio del dubbio sono ampiamente rappresentate con mezzi e materiali molto diversi. Bambini e ragazzi si sono quindi trovati a dover lavorare sulla loro idea di scultura, confrontandosi con il rigore di Judd, le suggestioni di Broodthaers, le simbologie di Chen Zhen. È stato molto interessante, e ora siamo in attesa di scoprire cosa ci riserva la prossima mostra!

Marco Enrico Giacomelli

www.palazzograssi.it/start/didattica-arte-contemporanea.html

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Marco Enrico Giacomelli

Marco Enrico Giacomelli

Giornalista professionista e dottore di ricerca in Estetica, ha studiato filosofia alle Università di Torino, Paris 8 e Bologna. Ha collaborato all’"Abécédaire de Michel Foucault" (Mons-Paris 2004) e all’"Abécédaire de Jacques Derrida" (Mons-Paris 2007). Tra le sue pubblicazioni: "Ascendances et…

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