Arte antica e contemporanea: la convivenza nei musei. Buone pratiche in Europa
Nei musei europei accostare i grandi del passato ai contemporanei non è peccato mortale. In Italia, invece, l’arte del presente è sempre vista un po’ come un ospite sgradito. Si può pensare ad una inversione di rotta nei nostri musei? Una proposta per i direttori appena nominati agli Uffizi, Capodimonte, Brera e Musei Capitolini
È opportuno che ci sia un posto permanente per l’arte contemporanea nei musei di arte antica, secondo quella linea di continuità teorizzata da Giulio Carlo Argan? In Italia non ci sono ancora esempi in questo senso, anzi. Nonostante la pratica sempre più frequente di creare dialoghi, più o meno forzati, all’interno di musei come la Galleria Borghese o gli Uffizi, nelle nostre istituzioni si ha la sensazione che il contemporaneo sia la Cenerentola della cultura, e venga ospitata in contesti aulici e prestigiosi come un intruso, spesso anche sgradito.
Come a dire: “nessun artista di oggi potrà mai avere la qualità e l’importanza di Caravaggio, Raffello o Michelangelo”. Ma in un mondo globalizzato e dinamico, c’è da chiedersi se questa affermazione possa essere valida anche al di là delle Alpi, e per capirlo diamo un’occhiata a quello che succede a Parigi, la città europea più aperta alle avanguardie, che sta rapidamente prendendo il posto di Londra nella classifica delle capitali creative del mondo. Da una ventina d’anni alcuni importanti musei parigini hanno adottato strategie differenti per stimolare la comprensione dell’arte d’oggi da parte del grande pubblico.
Arte antica e contemporanea. Le buone pratiche in Europa
Cominciamo dal Petit Palais, che invita artisti internazionali di assoluto rilievo ad interpretare i propri spazi attraverso sculture e installazioni ambientali, inserite nel percorso espositivo delle collezioni permanenti. Se nel 2022 il protagonista era Ugo Rondinone, quest’anno è toccato a Loris Greaud, con la mostra The Cortical Nights, allestita nel giardino del museo e nella galleria di scultura. Diverso l’approccio del Museo d’Orsay, che all’interno del progetto Orsay Contemporain ha chiesto a Peter Doig, uno dei massimi pittori viventi, a presentare in una sala una selezione di tele realizzate negli ultimi vent’anni, mentre nella sala accanto lo stesso artista ha allestito un gruppo di opere della collezione, secondo un filo rosso legato al rapporto tra l’arte e la natura. Così la mostra Peter Doig. Reflets du siècle, ospitata nelle sale 57 e 60 del museo, permette al pubblico di scoprire non solo le opere di Doig ma anche il suo sguardo sul patrimonio di uno dei musei più visitati del mondo- nel 2023 ha raggiunto quasi i 4 milioni di presenze- all’interno del ciclo Correspondances, tutto giocato sulla lettura incrociata tra opere del museo e sguardi di artisti viventi. Non sulle corrispondenze ma sui contrappunti è basata la pratica dell’Orangerie, che invita artisti internazionali di diverse generazioni a realizzare nuove opere ispirate ai capolavori del museo, come nel caso di Philippe Cognée o di Hermann Nitsch, che hanno presentato una serie di dipinti ispirati alle Ninfee di Claude Monet: nel 2024 la serie Contrepoints prevede un appuntamento con Wolfgang Laib.
Il caso del Museo Picasso
Infine, come dimenticare il Museo Picasso con il progetto Carte Blanche, che prevede un invito ad un artista contemporaneo ad ispirarsi e/o interpretare il mondo dell’artista spagnolo. Se in passato l’istituzione aveva puntato soprattutto su performance, con la coreografa Ambra Senatore, Jérome Thomas o Pierre Rival, nel 2023 Sophie Calle, protagonista della mostra personale A toi de faire, ma mignonne, ha trasformato tre piani del museo in un percorso concettuale che indaga tematiche come il rapporto tra vedere e immaginare, la relazione con la morte e la potenza della memoria. In conclusione, attraverso modalità e progetti ad hoc i francesi sono riusciti ad inglobare in maniera permanente nella programmazione espositiva di istituzioni museali storiche l’arte contemporanea, quasi come una necessità di innovazione, che il pubblico accoglie con curiosità e interesse. Tornando in Italia, sarebbe interessante immaginare che i grandi musei come gli Uffizi, Capodimonte, Brera o i Musei Capitolini si inspirassero a queste buone pratiche per rendere la loro immagine meno legata al passato e più aperta ai linguaggi del contemporaneo, magari attraverso sinergie e progetti sviluppati in collaborazione con musei di arte contemporanea come il Maxxi, il Madre o il Pecci. Sarebbe una maniera utile per far crescere gli artisti italiani delle ultime generazioni, che hanno poche occasioni per esporre in contesti museali, ed offrire allo stesso tempo al pubblico delle nuove generazioni nuove chiavi di lettura dei capolavori di Bernini e Caravaggio. Potrebbe essere una sfida, soprattutto per i nuovi direttori di fresca nomina?
Ludovico Prates
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