Francesco De Grandi a Palermo. Ragioni e ispirazioni di una grande pittura narrativa 

Gli ultimi anni di lavoro di un eccellente pittore italiano, racchiusi in una mostra personale. Francesco De Grandi presenta un’ampia selezione di dipinti e disegni di vari formati. Prosegue l’indagine sul sacro, fra rappresentazione della natura, del mito, della tradizione cristiana, risolti con forte slancio contemporaneo

Cede il passo a un furor cromatico, saturo fino alla ferita dell’occhio, la pittura tradizionalmente cupa di Francesco De Grandi. Mai priva di toni sferzanti, a volte virata nel verde fluo di pigmenti UV, essa ha però coltivato fin dalle origini uno spirito oscuro, cavernoso, in particolare nella produzione legata al sacro e all’epica degli ultimi, dei folli, dei disperati: tocchi di colore densi e grumosi, toni terrosi, ombre dense e lumeggiature improvvise, la delicatezza e la ferocia, il lirico e il grottesco. E fiamme, caligine, nubi, volti aberrati, squarci di sole. 
Il processo in atto da alcuni anni ha spinto l’immagine verso una saturazione progressiva, nella purezza di tinte sempre più accese e nell’uniformità di superfici satinate, radiose. Alla polvere, alla cavità rocciosa e agli impenetrati boschi, si sono spesso sostituiti la radura, la schiarita, i cieli aperti, le scene offerte alla luce infuocata del crepuscolo o a quella biancoazzurra del mattino.

La personale da RizzutoGallery 

La nuova personale presentata da RizzutoGallery segna con più nettezza questa evoluzione, già percepibile con l’ultimo appuntamento in galleria, risalente al 2019, dove il tormentato Trittico Delle Storie Di Gesù, iniziato nel 2015, conviveva con il rigoglioso giardino biblico di Come creatura (2018), che dava il titolo alla mostra. La sorprendente abilità di De Grandi, che non è mai virtuosismo ma sentimento profondo della pittura, carico di riferimenti storici – il romanticismo europeo, la magia dei fiamminghi, il realismo ottocentesco – è tutt’uno con l’energia interiore che nutre ogni pennellata, ogni messa in scena, nonché ogni ragionamento sulla propria pratica, condotta con dedizione spirituale, filosofica. Una ricerca del senso che dalla natura dei soggetti e dei racconti si allunga fino alla questione della rappresentazione visiva, come logos incarnatosi nella sostanza luminosa del colore: quel valore che l’immagine è in grado di rivelare quando sfiora l’origine, lo stadio aurorale, la matrice delle cose. Narrativa è un’altra mostra importante, di livello museale, che attraverso i quattro ambienti espositivi restituisce gli ultimi anni di ricerca dell’artista.  


 

La mostra di Francesco De Grandi: per un’idea di narrazione 

L’idea del “narrare”, proposta qui come filo conduttore, è in realtà orientamento di un’intera esistenza. Una vocazione: “Per un certo periodo ha rappresentato un grande tabù, addirittura fonte di imbarazzo – spiega De Grandi vista come qualcosa di negativo, come un limite. La pittura da tempo aveva smesso di essere rappresentativa e si era spostata verso posizioni lontane dall’idea di narrazione. Ma per me continuava ad essere un’esigenza fortissima. Quando dipingo racconto tutto: l’ora, la stagione, gli eventi, nulla sfugge al mio io narrante”. Parlare di narrazione, oggi, non fa più paura. Liberata dallo stigma della facile mimesi, dal timore della retorica comunicativa, la pittura trionfa su scala internazionale con declinazioni e innesti molteplici, fra approcci sia concettuali e astratti che smaccatamente figurativi. L’arte della rappresentazione ritrova non solo dignità, ma anche una certa aderenza alle cose: nello schianto di un presente smaterializzato, nella stanchezza di un acclarato disorientamento storico-sociale, nel proliferare di logiche dell’inganno e della post-verità, il recupero della fabula ribadisce l’importanza di attingere da mitologie remote, sempre vive e sempre rinnovate. Una forma di riscoperta che, non senza il lavorio di continui spostamenti e rimaneggiamenti, diventa approdo, salvezza, presenza. Ed è proprio il senso della presenza – che è corpo della pittura, materia luminosa, gesto magico, visione prospettica – a tramutare la distanza della memoria in meccanismo di genesi, di scrittura. E dunque d’esistenza.     
Figlia della tradizione iconografica cristiana, la narrazione di De Grandi dedicata al sacro, inteso come radicalmente altro e numinoso, risulta amplificata e disturbata da cortocircuiti temporali, incursioni, dettagli contemporanei, tagli teatrali e cinematografici (Ciprì e Maresco, Pasolini, Tarkovskij, Scaldati), persino da antiche passioni pop, come quella per il fumetto. Tutto sta nella capacità di dosare l’ambiguo, attivando impercettibili slittamenti, così che il tempo e lo spazio diventino piani specchianti, fluidi, non lineari. Il mistero abita il racconto, che resta aperto, indefinito. Intelligentemente irrisolto. 

Francesco De Grandi, Il sogno di Placido, 2023, olio su tela, 170 x 250 cm. Courtesy l’artista e RizzutoGallery
Francesco De Grandi, Il sogno di Placido, 2023, olio su tela, 170 x 250 cm. Courtesy l’artista e RizzutoGallery

I dipinti nella mostra di De Grandi a Palermo 

L’incipit è affidato al cielo viola e arancione del bosco in cui una Medea bambina si muove con grazia e lentezza (Medea nel giardino del regno di Colchide, 2023). Addosso ha il vello dorato sottratto a Giasone, un moderno pellicciotto sintetico. Ed è una Medea arcaica, protetta dal suo giardino incantato, nella terra natia, ai confini del mondo. Libera come gli animali con cui divide il suolo e le giornate: non la virgo crudele e vendicativa della tradizione, non l’efferata infanticida, ma l’espressione di uno status selvatico che coincide con la purezza assoluta, con la forza del femminino, con la verità delle streghe, delle profetesse, delle artiste, delle anime nomadi. Tutto è sospeso, ogni cosa è sogno, desiderio. E resta un racconto insondabile la natura, in cui perdere le coordinate per riconnettersi al verbo, alla luce dell’inizio. 
Natura che ha la stessa frequenza e lo stesso splendore ne Il sogno di Placido (2023). Il paesaggio qui annega in un blu lapislazzulo, con cui l’artista omaggia il “ciclo giottesco degli Scrovegni”, mentre “le piante sono d’oro e di smeraldo, i fiori rossi come rubini”. La notte in cui il cuore di Placido – nome di battesimo di Sant’Eustachio, martire cristiano – ricevette l’illuminazione che lo condusse alla conversione, è una notte mai cieca, mai spaventosa, infinitamente radiosa, nonostante lo spicchio minuscolo di luna. I due cervi che gli appaiono, animali sacri secondo molti culti pagani, sono qui portatori di fede e di rivelazione: posti al centro del quadro, diventano fulcro magnetico e unici attori, in assenza del protagonista. Sarà lo stesso spettatore, contemplando la scena, a oltrepassare il bordo del quadro e a identificarsi con chi, in quell’istante, intuiva la presenza di Dio nell’immagine delle due creature.  

Francesco De Grandi, Croce di Urbino, 2022-2023, olio su tela, 150 x 125 cm. Courtesy l’artista e RizzutoGallery
Francesco De Grandi, Croce di Urbino, 2022-2023, olio su tela, 150 x 125 cm. Courtesy l’artista e RizzutoGallery


Acido è invece il cielo della Crocifissione di Urbino (2022-23), in cui l’elemento tragico, che permea tutta la pittura degrandiana, trasuda dall’ammasso di corpi e di ferraglie, dai poveri cristi appesi ai tralicci industriali e dagli astanti assiepati, abbigliati come guardie svizzere o gendarmi borbonici. Il rumore sordo che fende l’aria è brusio lontano, eco di rivolta, canto luttuoso, tanfo di detriti, lamento soffocato e diffuso dai megafoni agganciati ai pali. Crolla l’orizzonte al di là della nube tossica, s’annienta la fuga prospettica e gli avvoltoi ricamano una danza di morte, laddove la resurrezione già si annuncia, nell’invocazione al Padre e nella fragilità non celata, che fa umano il divino e viceversa. 
Tema letterario e non religioso per il quadro ispirato al romanzo Il signore delle mosche di William Golding, storia di un gruppo di ragazzini borghesi, sopravvissuti a un disastro aereo e finiti su un’isola disabitata. Il loro tentativo di autogovernarsi libererà la peggiore violenza e l’istinto ancestrale della sopraffazione. De Grandi racchiude questa agghiacciante metafora umana nella raffigurazione di un fanciullo accovacciato sotto un albero, pronto a sferrare il sasso stretto nel pugno. Gli occhi guardinghi e spaventati sono quelli di chi conosce il male e non può che sfidarlo, scontarlo, imparando a farne strumento di sopravvivenza.  

Francesco De Grandi Maria Giuseppe e Gesu morto 2020. Serie Maledetti disegni mista su carta 18 x 18 cm. Courtesy lartista e RizzutoGallery Francesco De Grandi a Palermo. Ragioni e ispirazioni di una grande pittura narrativa 
Francesco De Grandi, Maria Giuseppe e Gesù morto, 2020. Serie ‘Maledetti disegni’, mista su carta, 18 x 18 cm. Courtesy l’artista e RizzutoGallery

I lavori su carta di De Grandi 

Accanto ai piccoli oli su tela, tra cui la giovane Maria Maddalena punk dalle chiome turchine (Maddalena Euphoria, 2023), o Giuda (2023) e l’Apostolo pasoliniano (2023), ragazzoni di borgata ritratti come calciatori su un paio di figurine, spicca una serie di lavori su carta, intrisi di spirito dark-surrealista. Sono tecniche miste su illustrazioni di varia natura: parti anatomiche, soggetti sacri, reportage popolari, combinati per generare nuove imprevedibili narrazioni. 
Stessa raffinatezza e stesso approccio nel leporello srotolato lungo una mensola-scultura in ferro, oggetto nato dal rimaneggiamento di alcune riproduzioni fotografiche tratte da libro Tra la mia gente del grande fotografo partenopeo Luciano D’Alessandro: i ricoverati del manicomio di Nocera Superiore, scorci di quartieri napoletani, i terremotati d’Irpinia. Anche queste fuse con la pasta grafico-pittorica dei neri, dei bianchi, dei grigi, cercando una possibile risonanza tra soggetto immortalato, nell’istante che l’obiettivo ruba alla linea del tempo attraverso la luce, e soggetto dipinto, che dischiude un tempo presente e vivo, generando luce attraverso il colore. Due forme di narrazione differente, la cui sintesi riporta ancora alla questione della presenza, dell’autenticità, dal respiro tragico, ontologico e spirituale di certe immagini contemporanee, sintonizzate con le voci del mito e con la profondità della storia. 

Helga Marsala 

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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