Le tecniche della meraviglia in mostra alla Casa degli Artisti di Milano
Tutte le opere in mostra sono nuove produzioni di giovani artisti appositamente create in una residenza che ha avuto come tutor Giuliana Cuneaz, Cesare Fullone e Antonio Marras
Alla Casa degli Artisti è ormai frequente imbattersi in mostre che si assestano e si definiscono strada facendo, frutto di motivi e idee che si consolidano, si precisano e si relazionano durante il corso di una residenza: più che scelte preventivamente progettate, tali mostre scoprono le loro carte a poco a poco, e si manifestano come il risultato di un gruppo di lavoro, di dibattiti interni, di confronti e di interazioni reciproche.
Sembra essere questo anche il caso di Visibile/Invisibile. Tecniche della Meraviglia, che Francesca Alfano Miglietti ha ispirato e pilotato durante quattro mesi di gestazione condivisa, coordinando le idee e le pratiche di un gruppo di nove artisti, composto da Giuliana Cuneaz, Cesare Fullone e Antonio Marras – scelti come tutor della residenza omonima iniziata a settembre 2023 – e da sei giovani, a loro volta selezionati da una commissione apprestata da Casa degli Artisti. Tutte le opere in mostra sono nuove produzioni appositamente create in questa residenza.
La mostra Visibile/Invisibile
Quali sono queste tecniche della meraviglia? Come si realizza qui lo zigzagante rapporto tra visibile e invisibile? Che cosa vediamo e che cosa non vediamo in questa mostra? La curatrice ci risponde invitandoci a intraprendere “un vedere a partire dalla complessità̀ della mescolanza, dalla capacità di spostare cultura e destino verso i luoghi poetici dove mettere in discussione qualsiasi forma di purezza: opere creole, meticce, clandestine e ribelli. Una visione della sottrazione, una scommessa o una provocazione…”.
Iniziamo dunque a scoprire come si lasciano vedere alcune delle opere lungo il percorso che si snoda al piano terra. La ricerca di Dario Pruonto, in arte Caos, che esplora le relazioni che variamente intercorrono tra arti visive, linguaggio e contesto urbano, ci mette di fronte a una sequenza di immagini in cui è il corpo umano a farsi specchio e cassa di risonanza delle epigrafi metropolitane. Un video di Florentin Aisslinger, in cui va in onda un notiziario che scopriamo ambientato in un non lontano ma incombente futuro ci racconta cronache meteorologiche di ordinarie distopie: le notizie che ci vengono comunicate, lette con giornalistico aplomb, riguardano catastrofi ambientali date per scontate e spogliate di qualsiasi connotato allarmante. I tromp-l’oeil di Lan Gao esasperano il tema della pittura come finzione, coinvolgendoci nel gioco a nascondino di un’ambiguità rappresentativa che confonde il recto e il verso di quadri che simulano il rovescio di se stessi. I dipinti di Olmo Gasperini, raggruppati in fondo alla sala, ci mostrano interni metafisici e perturbanti, carichi di presagi, in cui si infiltrano arcane luminescenze e inquietanti bagliori provenienti dallo spazio.
Visibile/invisibile: le opere in mostra
Al secondo piano Giuliana Cuneaz presenta un’installazione interattiva dal titolo che evoca una visione di streghe e di sopravvenienti principi azzurri, La belle au bois dormant: un letto a baldacchino che si presta ad accogliere quegli spettatori che ambiscano a lasciarsi ammaliare dagli imprevedibili effetti della contaminazione tra gli inesplorati confini del loro immaginario e le ineffabili elaborazioni operate dalle stregherie digitali.
Le opere poste sul tetto della pensilina di fianco al corpo principale dell’edificio, visibili solo dalle finestre del secondo piano, si sottraggono a una visione ravvicinata e giocano tutte la carta dell’ambiguità e dell’anfibologia, offrendo di sé un’immagine tanto scandita e sicura nei ritmi spaziali quanto elusiva, sfuggente, reticente nei contenuti. Il lavoro di Antonio Marras, il cui titolo già ci spiazza con la sua allure surrealista, Trappola per topi da villeggiatura, non lascia capire di che sostanza siano i lacerti che pendono all’interno della voliera, forse scaglie di terracotta, o frammenti di coccio, ma che assumono le pose dolenti e cadenti di reperti di macelleria. E che dire della scritta di Cesare Fullone, è composta da sequenze di pietre o di filoni di pane? Forse entrambe le cose, ma ne avremo certezza solo dopo che la loro durezza, o la loro fragilità, sarà comprovata dalla loro resistenza o dalla loro arrendevolezza alle intemperie e al saccheggio degli uccelli. L’opera di Alessia Rosato, Siamo tutti sotto il cielo, composta di sampietrini colorati, ci trasmette un’illusoria sensazione di leggerezza, come se la forzata miopia del nostro sguardo fosse distolta dal mettere a fuoco la cruda fisicità della pietra. La tenda di Marco Paganini si illumina a tratti, sembrerebbe emettere parole luminose, richieste di soccorso, attendendo la notte per trasformare la parola in grido: Sono qui dice il titolo dell’installazione, ma segnalando una presenza fantasmatica certifica solo l’urgenza di un’assenza.
Il culmine emotivo di questa rassegna lo possiamo forse individuare nell’installazione di Cesare Fullone al secondo piano, DUEMILAVENTITRE, proiezione video in cui le note struggenti di una rivisitata poetica del sublime si stemperano nei ritmi di una spiazzante leggerezza da favola infantile: ci troviamo trascinati dentro i flutti di un mare agitato su cui ondeggia alla deriva una barchetta di carta dorata, mentre ai piedi della proiezione altre barchette di simile foggia giacciono incagliate nella sabbia, ma non cessano di rifulgere, riflettendo i bagliori emessi dalla luce, anch’essa ondeggiante, proveniente dal sovrastante schermo. Riassume alla perfezione, quest’opera, quello che secondo Alfano Miglietti è l’intento di tutta la mostra: “una visione ombrosa e melanconica, a volte drammatica, ma in cui appare leggerezza, levità, tenuità, sottigliezza, delicatezza, dolcezza”.
Alberto Mugnaini
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