Intervista a Stefano Raimondi nuovo direttore del museo MAC di Lissone
Il nuovo programma triennale del brianzolo Museo d'Arte Contemporanea inaugura con la prima personale istituzionale di Alice Ronchi. Con uno sguardo al passato che è promessa di sperimentazioni future
Una nuova stagione di mostre si apre al MAC – Museo d’Arte Contemporanea di Lissone (in provincia di Monza e Brianza) con l’inizio del mandato del nuovo direttore Stefano Raimondi. A inaugurare il programma espositivo triennale, il 18 febbraio, è un dialogo su quattro piani tra 40 disegni e sculture di Alice Ronchi (Ponte dell’Olio, 1989) e le opere della collezione permanente del museo, acquisite durante lo storico Premio Lissone (in particolare nel periodo 1946-1967).
Chi è Stefano Raimondi
Curatore di numerose mostre personali e non, anche frutto di ambiziose collaborazioni internazionali – è il caso del blockbuster su Yayoi Kusama a Bergamo –, Raimondi è laureato in Storia e critica dell’arte alla Statale di Milano, in Scienze e tecnologie della comunicazione allo Iulm e dal 2010 è direttore del network culturale The Blank Contemporary Art (con cui organizza l’annuale Festival d’Arte Contemporanea ArtDate). Già curatore alla GAMeC di Bergamo e di Qui. Enter Atlas – Simposio Internazionale di Curatori Emergenti, Raimondi ha anche co-ideato BACO – Base Arte Contemporanea, è parte dell’International Association of Curators of Contemporary Art e dal 2019 è direttore di ArtVerona.
L’intervista a Stefano Raimondi, neodirettore del MAC di Lissone
Andando fuori dal museo si può vedere che è già cambiato: cosa avete fatto?
Gli abbiamo restituito la sua luce! Era una delle cose più importanti: la struttura del museo è molto bella, quasi nordica con queste vetrate giganti, e nel corso degli anni è stato un pochino oscurato. Quindi, come primo intervento, abbiamo riportato il museo alla sua origine. L’intervento nello spazio va di pari passo con la mostra di Alice Ronchi, Amami Ancora, un omaggio al dialogo con le opere del museo ma anche al rapporto del museo con i cittadini: la compenetrazione tra esterno e interno vuole puntare proprio a questa riattivazione.
Quali i progetti di sviluppo per il museo nei prossimi tre anni?
Il progetto triennale si sviluppa su tre filoni principali, che pongono tutti al centro, se pure in modi diversi, la collezione del museo e lo storico Premio Lissone, aperto nel secondo dopoguerra e riattivato negli ultimi anni. Il primo progetto punta a dare un’identità precisa all’istituzione che sia adeguata al suo luogo, né sproporzionata né sottodimensionata, e intendiamo farlo attraverso il dialogo diretto e indiretto tra la collezione e le opere di una o un artista (italiano o no) alla sua prima esposizione ufficiale in Italia. Poi rivoluzioneremo il Premio, alternato ogni anno tra Pittura e Design, aprendo quello del Design agli spazi pubblici della città: l’idea è quella di creare una connessione forte tra istituzione e territorio, con interventi anche permanenti da realizzare insieme. Ultimo progetto, quello annuale, è ciò che io chiamo la Trilogia del Limite: la prima mostra sarà Fuori Pista e andrà a indagare come diversi artisti dal dopoguerra a oggi abbiano in qualche modo “spostato un po’ fuori” i sentieri battuti dell’arte contemporanea, con punti di vista anche diversissimi.
Lissone è stata un luogo significativo a livello internazionale per la documentazione della ricerca artistica europea: un’identità a cui tornare?
Dici bene, il Premio è entrato in passato in un’ottica europea: secondo me ci sono molte traiettorie da percorrere per guardare ancora all’internazionalità. Se da un lato bisognerà riportare conoscenza del museo, se non proprio un amore, dall’altro vogliamo avere un approccio più ampio tra mostre e Premio, come già è nelle sue corde. Per farlo, vorrei andare a coinvolgere il network di persone conosciute dalle pregresse esperienze, come il il Premio Bonaldi dei curatori alla GAMeC: molti di quei curatori oggi sono direttori internazionali, che vorrei coinvolgere nel riconoscere il museo come un luogo di ricerca. Da qui la ricerca di artisti che non hanno già avuto una propria personale, a cui dare sostegno e da inserire in un percorso di arte del Novecento che sia davvero ampio.
Come è nata la collaborazione con Alice Ronchi?
Con Alice avevo già collaborato in passato e la seguivo da tempo. Mi piaceva la ricerca che portava avanti sugli artisti meno conosciuti: vista la sua idea di interessarsi alle storie tra virgolette secondarie, alle identità più segrete, mi sembrava che tornasse tutto. Il suo era il progetto migliore per aprire il MAC perché ne contiene tutti gli elementi: Alice ha questa capacità di umanizzare le opere, che da oggetti diventano come delle persone. Il suo approccio molto poetico e femminile, poi, è in perfetto dialogo con tutti questi lavori di autori maschili, che in passato erano gli unici a cui fosse permesso di partecipare al Premio.
Quali, dei tesori nascosti del MAC, sono i suoi preferiti?
Ci sono diversi lavori importanti, ma se devo indicarne uno è Meloni, l’artista che ha attivato il Premio. È un autore che prima non conoscevo ma che mi ha incuriosito, perché attraverso il suo percorso si vede sia un valore propriamente umano sia si capisce molto di come è nato il Premio e di quanto abbia portato alla città.
Giulia Giaume
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