A Roma… Una parte della storia, dal 1980 al 1998
Pochi giorni fa ha inaugurato a Roma la mostra “Collezionismi#2. Arte a Roma 1960-2001”. E, come ci si poteva aspettare, sono partite le immancabili polemiche su esclusioni e inclusioni. Ma lo scenario è sempre stato complesso e non privo di attriti e stridori. Insomma, siamo andati a vedere cosa succedeva un dozzina di anni fa. Leggete cosa scriveva Claudia Colasanti nel 1999 in questo testo di mirabile sintesi ecumenica.
1980-1998: un ventennio d’arte contemporanea a Roma composto da due decenni apparentemente distanti ma, a ben guardare, proiettati dolcemente l’uno nell’altro. Tanto il primo appare definito e determinabile in (seppur elastiche) griglie formali e teoriche, il secondo si sfalda in un crescendo di singole individualità e diviene inafferrabile. In questo Roma, forse, da sempre luogo considerato propizio alla formazione di “scuole” caratterizzate, con uno scambio costante fra passato e presente, segue le sorti internazionali di un’arte che sfugge a teoremi e classificazioni per giungere a uno slittamento semantico e a un interscambio di mezzi che ha frammentato qualsiasi innesto di categorie.
Proprio a Roma, durante gli ultimi Anni Settanta, si manifestò invece un sinergico intreccio di situazioni nascenti, motivate da dubbi circa l’atteggiamento concettuale dilagante nel circuito artistico e orientato al recupero della pittura e dei suoi mezzi. Non che mancassero ottime prove di natura concettuale. Basti pensare alle mostre di Gino De Dominicis da Pio Monti: nel ’77 e ’78 l’installazione ripetuta identica e nel ’79 le sbarre “violate”, impressionante metafora di una libertà del pensiero. Scrive di quel periodo Laura Cherubini: “Gli Anni Ottanta c’erano già stati negli Anni Settanta, anzi forse solo lì. Quello che abbiamo pensato li caratterizzasse in arte, il ritorno alla pittura, la Transavanguardia, il ‘citazionismo’ era già nato e aveva visto molte delle sue realizzazioni più intense e incisive negli ultimi Anni Settanta” [1].
Infatti, prima ancora dell’esordio collettivo dei cinque transavanguardisti (Sandro Chia, Enzo Cucchi, Mimmo Paladino, Francesco Clemente e Nicola De Maria) partiti da Roma e condotti da Achille Bonito Oliva ad Acireale nel ’79, Salvo (nel ’74, fuori Roma), poi Carlo Maria Mariani (da Sperone, nel ’77) e Luigi Ontani gettano i semi di quello che diverrà presto un distacco, ironico o tragico, dalle pratiche comportamentali e concettuali. Piero Pizzi Cannella e Stefano Di Stasio partono da spazi autogestiti per giungere poi da Plinio De Martiis, che riunisce nell’‘80, con la mostra Sei pittori, una serie di artisti che verranno definiti dai critici prima ‘colti’, ‘anacronisti’, ‘ipermanieristi’ e infine ‘nuovi manieristi’.
Altre situazioni creano fermento e favoriscono incontri, come la piccola galleria di Sant’Agata dei Goti fondata nel ’77 dagli artisti Felice Levini, Giuseppe Salvatori, Bruno Ceccobelli, Antonio Capaccio e Mariano Rossano e dagli scrittori Edoardo Albinati, Claudio Damiani, Beppe Salvia e Marco Lodoli. In un’intervista del ’90, lo stesso Lodoli parlava di quel periodo definendolo “ricco di una volontà di espressione sincera e molto impulsiva verso una narrazione meno controllata e meno tecnicistica. I pittori che andavo via via conoscendo si riproponevano il problema dell’opera e non del suo smantellamento” [2].
Contemporaneamente emergono altri artisti come Pietro Fortuna (nell’‘80 alla De’ Crescenzio), Domenico Bianchi, Bruno Ceccobelli, Gianni Dessì e Giuseppe Gallo (presentati prima da Ferranti nel ’79 e poi da Sperone nell’84) che lavorano assiduamente con la materia, spesso anche con oggetti trovati (Ceccobelli) creando opere simboliche e raffinate. Era ormai concreto ciò che Achille Bonito Oliva sosteneva da tempo: “La catastrofe benefica della Transavanguardia ha riportato l’attenzione dell’arte verso la pittura, intesa come lavoro dentro la specificità di un mezzo espressivo che richiede tempi di elaborazione lenti ed accaniti” [3].
L’incontro degli ultimi quattro con Nunzio, Piero Pizzi Cannella e Marco Tirelli avviene prima sul luogo di lavoro: tutti (meno Bianchi) prendono lo studio (e taluni vi vivranno) in uno stabilimento industriale in disuso nel quartiere di San Lorenzo, l’ex Pastificio Cerere. E nell’‘84 si svolge Extemporanea con cui Fabio Sargentini riapre dopo anni la sua galleria. Così descrive nell’‘89 Sargentini: “Otto giovani artisti (Nunzio, Pizzi Cannella, Tirelli, Corona, Luzzi, Ragalzi e Merlino) nell’arco di tre giorni sotto gli occhi del pubblico dipinsero in galleria le loro tele bianche fino al compimento dell’opera. Il mio tentativo di drammatizzare la pittura riuscì” [4].
Dopo soli venti giorni da Extemporanea inaugura Ateliers (“Il susseguirsi dei due eventi ravvicinati portò il clima di Roma a una temperatura rovente”, ricorda ancora Sargentini), dove i sette (Bianchi, Dessì, Ceccobelli, Gallo, Nunzio, Pizzi Cannella, Tirelli), definiti come Gruppo di San Lorenzo e poi Nuova Scuola Romana esponevano nei propri studi. Nel catalogo, il curatore Bonito Oliva, definendo l’insolito ‘scenario‘, scrive che “negli Anni Ottanta l’arte ritrova la segretezza di luoghi e spazi elaborativi che non significano clandestinità ma sicuramente concentrazione e definizione formale nel lavoro” [5].
Ma altri ancora sono gli sbocchi, non sempre convergenti, dell’arte nella prima metà degli Anni Ottanta. Come l’Astrazione Povera teorizzata da Filiberto Menna, che vede da prima protagonisti Mariano Rossano, Antonio Capaccio e Rocco Salvia, a cui poi si affiancano Gianni Asdrubali, Mimmo Grillo, Lucia Romualdi e Bruno Querci. Essi, scrive Menna nell’‘87, “si contrappongono alla pittura che fa affidamento sul pieno, sull’ingombro, sulla sovrabbondanza cromatica, materica, narrativa, muovendo da un atteggiamento di sottrazione, di riduzione linguistica, spinta sin quasi all’azzeramento” [6].
Ancora altri i presupposti da cui si muove un’altra frangia di artisti (oltre a Vittorio Messina, Maurizio Pellegrin e Alfredo Pirri, già vicini a pratiche ‘neoconcettuali‘) soprannominati ‘piombinesi‘, Salvatore Falci, Pino Modica, Stefano Fontana e Cesare Pietroiusti, che insieme ad altri poco più giovani (Piero Mottola, Roberto Galeotti, Giovanni di Stefano) frequentano Jartrakor, spazio autogestito fondato da Sergio Lombardo. I quattro presentano opere modificate dalla partecipazione di un pubblico inconsapevole. Domenico Nardone, allora in doppia funzione di critico e gallerista, descriveva un’arte “che si propone di svolgere la funzione di collegamento tra se stessa e l’apparentemente ineluttabile impoverimento della vita quotidiana: da una parte la complessità delle teorie e delle tecniche impiegate e dall’altra l’immediato contatto e presa diretta sul reale” [7].
Il decennio, ricco di situazioni emergenti, ma mai (a parte naturalmente la Transavanguardia) davvero riconosciuta e compresa oltreconfine, è quasi concluso: in definitiva, come ha sottolineato Paolo Balmas, “la situazione romana ingloba sicuramente delle valenze anomale, non nel senso che al suo interno non siano apparse forme di sintonia anche precoci con quanto andava affermandosi nel mondo intero, ma, piuttosto, nel senso che non vi è stata, nell’insieme, quell’ansia di adeguamento ad un malinteso codice internazionale che altrove ha reso insincero più di un operatore, il che, poi, è un po’ come dire che dalla ‘città eterna’ si è risposto con grande dignità e senso della storia agli aggressivi e coinvolgenti modelli d’oltreoceano” [8].
Al termine degli Ottanta la galleria Alice, guidata da Nardone e lo spazio di Paolo Vitolo coagulano presenze (Zanazzo e Pellegrin) perlopiù provenienti da altre città (Viel, Vitone, Formento & Sossella), ma in grado di spostare decisamente l’attenzione su pratiche che collegano arte e vita. Anche la ‘scultura‘ e le installazioni divengono, sino al ’95, assai più frequenti, con artisti come i tre promossi da Ferranti (Andrea Fogli, Claudio Givani, Alfredo Zelli) e poi Annie Ratti, Oliviero Rainaldi, Donatella Landi e i più giovani Maurizio Savini, Valentina Coccetti ed Elisabetta Benassi. Si fanno notare grazie a mostre personali nel ’90 Mauro Folci (Mara Coccia) e nel ’91 anche Andrea Aquilanti (Il Campo) e Paolo Canevari (Studio Miscetti). Del ’92 è la personale da Marco Rossi Lecce di Giovanni Albanese che presenta rumorose macchine tecnologiche (in breve seguito nella strada tecnologica da Paolo Monti con lavori interattivi all’Arco di Rab). Nel ’93 Matteo Boetti apre Autorimessa nell’ex studio del padre e con vivaci mostre collettive porta alla ribalta, oltre a Laura Palmieri, giovanissimi come Matteo Basilè, Andrea Salvino, Cristiano Pintaldi e Roberto Carbone. Intanto hanno esordito anche Marco Colazzo e Massimo Orsi, dapprima con un uso disparato di materiali poi via via accostandosi a una pittura complessa e drammatica (soprattutto Colazzo). Contemporaneamente inizia l’attività degli Stalker, soggetto collettivo (Careri, Della Guerra, Innocenzi, Lang, Lombardi, Ottaviani, Ripepi, L. e V. Romito) che compie ricerche e azioni sul territorio, con particolare attenzione alle aree di margine, ai vuoti urbani e agli spazi abbandonati. Da ricordare, nel maggio del ’96, Apollo 13 attraverso la galassia Roma, un tram della linea 13 che ha percorso Roma per tre giorni consecutivi illuminandola e investendola di suoni, e Passaggi e Paesaggi, ovvero l’allestimento dei passaggi pedonali della Stazione Ostiense.
Opera Paese è il nome dello spazio fondato nel ’95 in un ex stabilimento industriale di Pietralata dall’artista Pietro Fortuna. Un progetto complesso, ma anche insolito contenitore di eventi (poche mostre, alcuni concerti, happening, incontri) dal suo ideatore definito come “un momento fondamentale sull’idea di poter considerare la ‘comunità’, un luogo che non vuole raccogliere delle esperienze ma un rapporto fenomenologico” [9]. Nel settembre del ’95 Roma promuove Riparte, una nuova e singolare fiera d’arte ospitata nelle stanze di un hotel (sul modello della newyorchese Grammercy Park Hotel Art Fair), che riscuote un discreto successo anche grazie alla presenza di gallerie straniere (l’edizione del ’99 sarà ospitata dall’Hotel Hilton).
È il 1996 che, per un insolito concatenarsi di eventi, diventa un anno esplosivo a Roma, sia per la rinascita spontanea della vitalità degli operatori che per la possibilità di comprendere il meglio che la città è in grado di offrire. In febbraio comincia l’interminabile e coraggioso ciclo Martiri e Santi: per tre mesi e mezzo si alternano ogni giorno un artista e un critico diverso su una parete nera messa a disposizione dal sempreverde Fabio Sargentini. La lunga mostra è frequentata davvero da tutti fra critici, galleristi, e da tanto pubblico: anche i giovani artisti romani non mancano. A marzo, due collettive mostrano altri volti della città: Spazi Assenti alla Sala 1, curata da Viviana Gravano, mette assieme il lavoro di alcuni giovani romani – Fabio Gasparri, Serafino Amato, Cristina Armeni, Gea Casolaro e Marco Amorini – che lavorano esclusivamente con il mezzo fotografico, spesso concentrandosi sull’esplorazione dei luoghi e sulla perdita di identità di chi vi abita. Poi D.E.V.O. a cura di Gianluca Marziani, con opere di Paolo Angelosanto, Matteo Basilè, Roberto Carbone e Gianluca Lerici, dove si parla di “rielaborare e porre ordine dentro al marasma epocale…con la voglia di descrivere alcune dinamiche evolutive” [10].
Sempre nel ’96 Matteo Boetti coinvolge Anna D’Ascanio e, con il ciclo In che senso italiano?, chiama di volta in volta un critico diverso a presentare lavori di giovani (passeranno Corte & Nurcis, Orsi, Salvino, Pontrelli, Federico del Prete, Claudia Peill e Benedetta Jacovoni) accostate a opere di grandi maestri. Si tratta di occasioni di incontro e di dibattito anche per una nuova generazioni di critici, che si spostano velocemente da un’iniziativa all’altra, istituzionale e non (da segnalare anche 4X4, quattro critici per quattro artisti presso la galleria Giulia) e collaborano costantemente con artel, primo quindicinale via fax fondato da Ludovico Pratesi e dall’artista Massimo Catalani circa due anni prima (la rivista promuove anche la mostra Faxart, tenutasi al Palazzo delle Esposizioni nel giugno del ’95 con circa duecento opere ricevute via fax). Su artel scrivono per circa due anni, dando spesso luogo ad accesi dibattiti, Gianluca Marziani, Augusto Pieroni, Luca Beatrice, Cristiana Perrella, Viviana Gravano, Barbara Martusciello, Maya Pacifico, Silvia Grandi, Serena Simoni e tanti altri. Nello stesso periodo alcuni di questi critici vengono invitati da Antonio Arevalo e Oscar Turco a un curioso e acceso dibattito sull’arte veloce, che verrà pubblicato interamente sul numero zero di Beltempo, rivista monotematica dalla breve vita. Un’altra rivista stampata in elegante bianconero, nata verso la fine degli Anni Ottanta, è Opening che, oltre a raccogliere progetti d’artista, pubblica interviste e testi critici su mostre romane e non. Per qualche tempo è apparso anche il periodico Centoerbe , pubblicato dalla galleria La Nuova Pesa, oltre a Romarte, rivista di informazione artistica ampiamente distribuita nelle edicole.
Nel settembre del ’96 inaugura dopo anni di attesa la XXII Quadriennale, denominata Ultime Generazioni, con 175 artisti italiani e un allestimento prepotente, inutile e costoso. Importante l’installazione nei bagni di Bruna Esposito e suggestiva quella di Myriam Laplante. Ma solo l’operazione messa in atto durante e dentro la Quadriennale da Cesare Pietroiusti- Giochi del senso e/o non senso – riesce a sottolineare i paradossi dell’evento. Dilatando all’eccesso l’invito, esteso a tutti coloro che si ritenessero artisti esclusi dalla manifestazione, ottiene come risultato l’adesione compatta di circa 260 artisti e provoca scompiglio all’interno della lineare manifestazione. Fra gli artisti del gruppo, ormai sciolto, lavora tuttora assiduamente Pino Boresta, che non manca di riempire muri, incroci, semafori e qualsiasi angolo della città con le sue smorfie caricaturali e spiazzanti.
Nel 1997 è ancora Sargentini che agita le acque proponendo il Giro d’Italia in nove tappe partendo da Torino (presentata da Luca Beatrice). Ecco che per Roma la galleria diviene affollatissima, il critico designato, Raffaele Gavarro, invita dodici artisti: Andrea Aquilanti, Paolo Bresciani, Paolo Canevari, Giacinto Cerone, Marco Colazzo, Leonida, Massimo Orsi, Cristiano Pintaldi, Giocchino Pontrelli, Andrea Salvino, Adrian Tranquilli e Marina Paris, unica presenza femminile e l’unica a non usare i pennelli. Il Giro termina con l’assegnazione di tre premi da parte di una giuria designata da Sargentini (composta da Ludovico Pratesi, Gianluca Marziani e dalla sottoscritta). Vengono premiati Alessandra Tesi (Bologna), Giulia Caira (Torino) e Cristiano Pintaldi (Roma). Al momento dell’assegnazione del magro premio (la maglietta!) le due artiste venute da fuori assistono a un increscioso (per aggressività e slealtà comunicativa) dibattito (fomentato da alcuni artisti romani e dal gallerista) in cui viene opposta la radicale e imprescindibile necessità della pittura e il “riscontro con la sua sedimentazione millenaria” (Gavarro) nel contesto romano contro la dilagante e temuta crescita di qualsiasi altra possibilità formale e comunicativa.
Ma tant’è, ognuno è andato dritto verso i suoi obiettivi. A Roma tuttora lavorano (e bene) i pittori, e anche gli altri: l’attività di gallerie come Il Mascherino (che promuove giovanissimi legati alla ricerca tecnologica come Gianvenuti e il misterioso Tubi) e il Ponte (Basilè), l’inaugurazione di spazi nuovi, come Tor Bella Monaca, che ha ospitato mostre curate da Daniela Lancioni, il Progetto Oreste e Oreste 1 che, grazie al supporto di Mario Pieroni e il coordinamento di Cesare Pietroiusti, ha visto avvicendarsi per due estati (’97 e ’98) centinaia di giovani artisti a Paliano, vicino Roma, per uno scambio quotidiano di idee e informazioni, l’apertura di Futuro, luogo multidisciplinare fondato da Pratesi (nel ’98 il ciclo di mostre-evento Dub More e di incontri con giovani scrittori Stesso Sangue), e l’appropriarsi di spazi altri (la libreria Melbookstore con Arena a cura di Cristiana Perrella) alla fine del ’97, ha conseguentemente permesso la realizzazione nel ’98 di mostre nei quartieri (Invito all’Equilino e alla Garbatella con, fra gli altri, Francesco Impellizzeri, Giovanna Trento, Fabrice De Nola, Francesco Melone, Daniela Papadia, Paola Gandolfi, Lino Frongia, Paolo Fiorentino, Francesca Tulli, e de La Festa dell’Arte, evento ecumenico e “riconciliatore” presso l’ex Mattatoio, dove artisti del calibro di Mauri, Cucchi e Bianchi hanno esposto con Paulina Humeres, Thorsten Kirchhoff, H.H. Lim, Vettor Pisani, Graziano Di Giulio, Matteo Basilè, Marco Colazzo, Daniela Monaci, Roberto Pietrosanti, Aurelio Bulzatti, Daniela Perego, Gea Casolaro, Raphael Pareja, Andrea Salvino, Alessandro Gianvenuti, Sukran Moral, Roberto Perciballi e tanti altri.
Claudia Colasanti
[1] Laura Cherubini, artel n. 80, 1998.
[2] Marco Lodoli, Andrea De Carlo. Intervista di Claudia Colasanti, Flash Art n. 156, 1990.
[3] Achille Bonito Oliva, Ateliers, catalogo della mostra, Ex Pastificio Cerere, Roma 1984.
[4] Fabio Sargentini, Roma, un albero carico di frutti, catalogo di Arte a Roma 1980-1989: Nuove situazioni ed emergenze, Palazzo Rondanini alla Rotonda, Roma 1989.
[5] Achille Bonito Oliva, Ateliers, cit.
[6] Filiberto Menna, L’opera d’arte e la costruzione del nuovo, in Flash Art n. 138, 1987.
[7] Domenico Nardone, dal catalogo della mostra Salvatore Falci, Stefano Fontana, Pino Modica, Cesare Pietroiusti, Galleria Vivita, Firenze e Studio Casoli, Milano, 1988.
[8] Paolo Balmas, dal catalogo della mostra La Coesistenza dell’arte, Venezia 1993.
[9] Pietro Fortuna, Roma: anno (2)000?, in Flash Art n. 213, 1999.
[10] Gianluca Marziani, dal catalogo mostra D.E.V.O., Galleria Giulia, Roma 1996.
Il testo è tratto da “Atlante. Geografia e Storia della Giovane Arte Italiana”, Giancarlo Politi Editore, Milano 1999, pubblicato in occasione della mostra “Atlante”, Macs, Sassari, aprile-maggio 1999.
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