Giunta al termine dopo cinque giorni scanditi da 56 sfilate fisiche, 5 digitali e un numero inquantificabile di presentazioni ed eventi, la Milano Fashion Week Donna ha proseguito imperterrita nel presentare le collezioni donna (e a volte uomo) autunno inverno 2024. In sottofondo, oltre alla musica che cambia da una passerella all’altra, rimangono le tensioni internazionali e si aggiungono notizie poco rassicuranti sull’inquinamento climatico: la moda a questo è abituata, ma oggi più che mai riflette sul presente e sul futuro, per comprendere e cercare di prevedere ciò di cui ha bisogno la società. Avremo ancora bisogno di praticità o torneremo a sognare una sana stravaganza nel vestire?
La nostalgia di Tom Ford, MSGM e Tod’s
C’è chi crede che rileggere il passato sia un modo per interpretare il presente. Tom Ford, ad esempio, non rinuncia alla sensualità anni ’90, fatta di pellicce su corpi quasi nudi, smoking e sandali, che l’omonimo stilista ha sviluppato e reso propria cifra stilistica nel corso del tempo. Con MSGM, il cui direttore creativo Massimo Giorgetti ha anticipato il successo della serie tv sui Cigni di Truman Capote, le signore dei salotti newyorkesi di sessant’anni fa diventano signorine (milanesi) che non rinunciano ai guanti da opera ma neanche a montoni cropped, trame eccentriche e zip applicate su completi eleganti. Tod’s, invece, ha sfilato nel deposito dei tram Darsena di ATM in nome di una milanesità e, più in generale, di un lifestyle italiano che esistono nei ricordi di molti e nei look di pochi. Infatti, la collezione autunno inverno 2024 del marchio, ovvero il debutto del creative director Matteo Tamburini, è stato un susseguirsi di trench, cappotti dalle spalle rinforzate, maglieria a strati, camicie infilate in pantaloni sartoriali e accessori utili come cinturoni e borse maxi. Tutto rigorosamente tinto di marrone, nero, grigio, beige e celeste, con qualche piccola eccezione che ricorda la Milano contemporanea.
Le eccezioni di Bottega Veneta
Ed è proprio sulle eccezioni, o meglio sul fattore eccezionale, che si orienta l’approccio apparentemente semplicistico di Bottega Veneta e quindi di Matthieu Blazy. La nuova collezione è una sottrazione rispetto a qualche eccesso visto in quella precedente, partendo dalla location che ricorda un deserto fatto di sgabelli di Le Corbusier e cactus in vetro di Murano. Il cactus “è un’idea di resilienza”, come afferma Blazy, perché “cresce dove non può crescere nient’altro”. Di conseguenza, gli abiti classici all’apparenza nascondono speranza in un futuro gioioso, che vede esplosioni di piume al margine degli abiti e di colore su abiti lineari, pelle sfrangiata per gonne e capispalla, e vestiti su cui scarabocchiare in libertà. Ma dietro l’angolo ci sono le illusioni, della vita e della moda, che nel mondo immaginato da Bottega Veneta sono tessuti rigidi ma a primo impatto morbidi, maglioni strutturati e coordinati che nascondono un terzo colore tra le pieghe. L’immagine restituita è quella di un guardaroba che resiste al tempo ma non rinuncia a concedersi, appunto, qualche eccezione fra tante certezze.
L’estro creativo di Jil Sander e Marni
Da Jil Sander e Marni la situazione si ribalta: prima si osa e poi si pensa alle necessità umane. Il primo propone borse e cappotti a pelo lunghissimo, maxi gioielli che riprendono sciarpe, bottoni, colletti, fiocchi e spalle altrettanto maxi, frange scintillanti e drappeggi; il secondo estremizza la lunghezza del pelo e la larghezza di gonne e abiti che diventano triangoli, introducendo trame animalier e dipingendo abiti che diventano tele indossabili. Eppure entrambi i brand hanno un occhio di riguardo per la vendibilità dei capi, alternando esempi di vita quotidiana a esercizi di stile ed estro creativo, che partono comunque dalla struttura essenziale di un cappotto, una giacca, un abito o un pantalone.
Le trame di Missoni, Etro e Sunnei
Ma praticità e buon gusto, concetto del tutto personale e volubile, non sono necessariamente sinonimo di tinte unite. E Missoni, grazie allo stilista Filippo Grazioli, medita su questo partendo da una frase pronunciata da un passante alla visione di alcuni capi del brand ai suoi esordi: “Poor girls, luckily they are blindfolded. If they could see themselves” (povere ragazze, per fortuna sono bendate. Se potessero vedersi), si legge sull’invito alla Milano Fashion Week. A causare la reazione sdegnata, all’epoca, furono le trame colorate e giocose del marchio, che fanno parte del suo heritage e che l’attuale direttore creativo sta ridisegnando per dialogare con un nuovo pubblico. Così la collezione autunno inverno 2024 è tutta una riga: dalle tutine agli abiti, ai completi in maglia, in un insieme di capi abbinati, quindi concordi e non mescolati, per la vita quotidiana. La stessa che ritorna da Etro, dove viene impreziosita dal Paisley, disegno ottenuto raffigurando il boteh o buta, un motivo vegetale a forma di goccia, parte del passato, del presente e pure del futuro del marchio, che grazie allo stilista Marco De Vincenzo è tornato a essere sognante mentre procede la graduale ricerca e scoperta della bellezza, come testimonia l’ultima collezione che trova nei fronzoli decorativi la propria forza. Diversi da quelli di Sunnei, per cui le vere decorazioni sono asimmetrie, frange e righe larghe.
Il corpo al centro di Ferrari
Eppure, ciò che rimarrà sempre centrale nella moda, sia in tempi di crisi sia in momenti floridi, è il corpo. Che Rocco Iannone, stilista dietro gli abiti firmati Ferrari, pone alla base delle proprie creazioni. Allora spazio al tessuto liquido di un completo che vira verso il rosso slanciando la figura, o alle trasparenze e a maniche sbuffanti, body sgambati nascosti sotto cappotti seriosi e a ecopellicce e giacche strette sul girovita. L’esito è il rafforzamento di un’estetica che Ferrari sta definendo pian piano, senza sfrecciare perché è più sano costruire pezzo per pezzo l’identità di un marchio che parte dalle macchine sportive per arrivare a vestiti eleganti.
Un bilancio della Milano Fashion Week Donna
Ha detto il designer Andrea Mancuso in occasione dell’apertura della nuova boutique di Ferragamo in via Montenapoleone 3, per cui ha creato una parete con forme organiche che aggettano per sorreggere i prodotti di Ferragamo, insieme ad altri artisti che hanno ideato elementi d’arredo: “Acquario nasce da una ricerca sull’abitare, su quello che sono le case e su come le viviamo”. Bene, anche la moda è una grande casa, abitata da molti marchi e da ancora più persone che cercano al suo interno riparo, quindi qualcuno o qualcosa che le rappresenti. A Milano, questa abitazione si stava allargando per abbracciare tutti, fino alla battuta d’arresto per il timore di non andare incontro alle necessità quotidiane. La moda, però non può limitarsi a interpretare il presente e a rispondere a esigenze pratiche: è anche previsione di annate migliori e via di fuga. Ci vuole speranza e a Milano, adesso, se ne respira poca, in favore di una giusta presa di coscienza della realtà che ci circonda; pena, però, un ingiusto rifiuto di immaginare l’alternativa all’oggi.
Giulio Solfrizzi
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati