Informazioni Evento

Luogo
GALLERIA CHRISTIAN STEIN
corso Monforte 23 20122 , Milano, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al
Vernissage
28/02/2024

ore 18

Artisti
Domenico Bianchi
Generi
arte contemporanea, personale

Dopo l’ultima personale del 2018, Domenico Bianchi torna ad esporre con la Galleria Christian Stein nella sede di corso Monforte e lo fa presentando una serie di otto opere realizzate negli ultimi due anni.

Comunicato stampa

DOMENICO BIANCHI

Il giro del mondo in otto opere

Testo di Sergio Risaliti

Dopo l’ultima personale del 2018, Domenico Bianchi torna ad esporre con la Galleria Christian Stein nella sede di corso Monforte e lo fa presentando una serie di otto opere realizzate negli ultimi due anni. Non più lavori in cera o su base lignea. Adesso sono lastre di marmo, di diaspro, onice e malachite realizzate a commesso con l’aggiunta di altri materiali lapidei rari e preziosi: lapis, lumachella, sodalite, un campionario di pietre dure che varia per brillantezza e sfumatura delle venature, durezza e porosità, densità, grana, colore e opacità. L’utilizzo di pietre dure ha alle spalle una storia millenaria, sono state utilizzate in scultura, perfino per la ritrattistica, così come in architettura, per decorazioni di pavimenti e pareti in ambienti pubblici e privati sontuosi, e nelle arti minori, per raffinati vasellami e nella glittica. L’opus sectile, di cui da notizie già Plinio il Vecchio nei suoi trattati -lavorazione artistica meglio conosciuta come commesso marmoreo- è una delle tecniche più raffinate e costose di decorazione marmorea o in pietre dure, vuoi per la rarità dei materiali utilizzati, che per la complicata tecnica di produzione; la pietra va sezionata in fogli sottili e sagomati per arrivare a creare effetti cromatici e composizioni di elementi figurativi e naturalistici sempre più raffinati, come fiori e animali, ma anche scene di caccia, assieme a dettagli simbolici, perfino astratti, cercando un gioco di contrapposizione tra figure riconoscibili e parti informi, fino d arrivare a una vera e propria "pittura in pietra” come l’ebbe a definire Giorgio Vasari nel Cinquecento. Grande successo ebbe infatti l’arte del commesso fiorentino nel rinascimento, quando Ferdinando de’ Medici dette il via all’Opificio delle Pietre Dure nel 1588. La produzione di questi dipinti marmorei si sviluppò successivamente anche a Praga e in Francia, per rinascere nell’ottocento al tempo dell’eclettismo inglese nell’ambito di Arts and Crafts.

Ognuna di queste otto opere ci trasporta in una regione diversa del mondo, in cave aperte sui fianchi di alte montagne, in profonde caverne scavate da tempi antichi. Qui le nazionalità non sono rappresentate da bandiere e alfabeti diversi uno dall’altro, ma dalla varietà e qualità delle pietre. Adesso siamo in Sicilia, poi ci spostiamo in Brasile, da lì ce ne andiamo in Iran, e poi in Francia, Namibia, e nel Sud Africa, per trasferirsi in Turchia e Afghanistan, e concludere infine il viaggio in Toscana, sulle Apuane, dove si estrae il marmo più puro, quello utilizzato fin dai tempi di Roma antica e poi da Michelangelo. I colori vanno dal nero del marmo del Belgio, al giallo o rosso del diaspro, al bianco dell’onice, alla malachite estratta in Zaire. Ogni lastra potrebbe essere accompagnata da un diverso paesaggio, da differenti modi di parlare e di vestire, da diseguali credi religiosi, governi, storie e tradizioni. Ma tutto questo alle pietre non interessa. Sono vissute milioni di anni fa e di quelle stagioni conservano le tracce nelle venature, nella composizione fisica, che in certi casi racchiude strati e strati di piccole conchiglie cristallizzate. A questo viaggio nelle viscere della terra, si aggiunge un viaggio proiettivo nell’infinito del micro e del macro della terra e del cosmo. Bianchi aggiunge ai valori formali delle pietre dure, al gioco cromatico, alle striature e sfumature, alla lucentezza e opacità dei materiali, la sua personale iconografia, un linguaggio di segni e forme circolari che oscillano tra l’immaginario simbolico e il vocabolario di forme astratte, tipico del modernismo. Le opere sono otto perché questo è un numero perfetto, che nella scienza sacra e nell’alchimia corrisponde a un considerevole insieme di significati. Otto è infatti il simbolo dell’infinito, racchiude nel suo geroglifico l’immenso, è la spirale della genesi, riproduce il segreto della creazione. È questo un segno che ha caratterizzato da sempre le opere di Bianchi, e che ha vissuto nascosto tra le griglie dei suoi impianti geometrici, gravidi di una cellula germinale in perenne espansione dal centro verso l’esterno, da una profondità all’altra. Come nei lavori in cera, ritroviamo una fantasia d’immagini trascendentali al centro della composizione e una spazialità strutturata da griglie e celle che ne contengono e sostengono l’espandersi e il frantumarsi. Ma il fascino di questi lavori nasce anche dalla trasformazione della materia informe in un’oggetto dotato di rara bellezza artistica. In una appagante altalena tra godimento sensibile e proiezione mentale, lo sguardo, attratto al centro della lastra, coglie nel geroglifico la proiezione verso l’infinito, mentre indugia su dettagli di raffinata elaborazione, eseguiti con la precisione di un intagliatore di gemme preziose. Si ha l’impressione, giustificata, che queste opere appartengano a un mondo antichissimo, distante come quello del Caso primigenio, e a un futuro lontano anni luce, a una civiltà ancora a venire. Quanto accade al centro della composizione non è forse prova di un linguaggio visivo che ci proviene da molto lontano, ispirato da archetipi e reminiscenze primordiali? O piuttosto, la prefigurazione di qualche formula segreta che potrebbe spiegarci il senso della vita nell’universo? Così, l’approccio a questi nuovi lavori, richiede da parte nostra uno doppio sforzo di contemplazione e d’immaginazione, la capacità di leggere nel mondo degli archetipi formali, quelli geometrici, e nei simboli che si legano alla dimensione ctonia della terra e a quella iperurania del cosmo, dove le riduzioni materialistiche non hanno senso perché ogni elemento, collegato a mondi inferiori e superiori, possiede specifiche proprietà e virtù particolari. Ad esempio la malachite agisce sul chakra del cuore, favorisce calma e pace interiore, alleggerisce lo stress e aiuta a trovare fiducia in se stessi. Il diaspro rosso, conosciuto anche come pietra guerriera, aiuta ad avere coraggio, a livello fisico può curare disturbi cardiaci e stimola il sistema immunitario. E’ una pietra governata da Mercurio e Marte e agisce sul primo e secondo chakra. Hildegard von Bingen nel suo trattato di Physica la descrive così: "Il diaspro cresce quando il sole, dopo l’ora nona, volge ormai al tramonto. Viene riscaldato dall’ardore solare, tuttavia è più d’aria che di acqua o di fuoco". La sodalite, pietra vulcanica a base di sodio, infonde armonia e stimola il desiderio di verità e conoscenza, è indicata altresì nei disturbi di gola, e come il lapislazzuli, essendo nata dalla compressione di miriadi di conchiglie, viene associata alla notte stellata e alla profondità del mare. Viene da dire che bellezza, guardare una pietra e sentori già solo per questo parte dell’universo, essere finito. L’onice bianco è ideale per risolvere problemi di udito e può essere utilizzato per curare ferite infette. Questo ci offre la terra che fu sede dei Giganti, e gli antichi ne erano pienamente consapevoli. Ammirando questi lavori abbiamo l’obbligo di fare tesoro di queste conoscenze. Qui coesistono il tempo primordiale di Madre natura, quello mitologico del Caos e della Teogonia, assieme al tempo breve della storia dell’arte, quello dell’abilità manifatturiera dell’uomo e quello dell’immaginazione creativa dell’artista. Ogni opera è costruita grazie a un lento, abile, intervento di mani esperte che sanno tagliare, limare, lucidare le pietre, inserendo, con l’abilità dell’orefice e del cesellatore, marmo su marmo, pietra su pietra, incastonando nella lastra principale piccoli segmenti di altro materiale lapideo, costruendo rapporti formali e simbolici che travalicano dal geometrico, al musicale, dal floreale al cosmologico, dall’astratto all’organico, esaltando luce riflessa e lucentezza propria degli elementi lapidei.

La luce rappresenta per Bianchi l’elemento primario. Il colore è sempre luce. Tanto nei lavori di cera che in questi ‘petrosi’ la lucentezza, o luminosità, assicura alla superficie una straordinaria profondità, una immanenza che risulta complementare al linguaggio astratto del disegno. Lucentezza che è della pietra e del suo colore, così come nelle superfici metalliche brillanti, realizzate con palladio e argento, e in quelle morbide e setose create con la cera. Ma la luce non è solo questa dei colori, dei metalli e della cera. E’ una speciale illuminazione, un riverbero di conoscenza archetipica, che viene istillata in noi dalla contemplazione dei segni e dei globuli inscritti al centro delle sue composizioni. L’immagine nelle opere è definita da un nucleo centrale che rimanda a infinite ipotesi di sviluppo spaziale, variazioni iconografiche astratte che tendono all’infinito, mai uguali e sovrapponibili, ma sempre simili. Queste immagini si autogenerano al centro di uno spazio di rappresentazione ad andamento verticale e orizzontale, strutturato per griglie e celle. Il cerchio, e le sue metamorfosi geometriche, è la forma dominante, un “mezzo” per immaginare l’infinito espandersi del segno a partire dal nucleo originale. Solitamente questo nucleo circolare e sferico non è mai una forma chiusa, prigioniero di un inizio e di una fine, ma tende a procedere, a snodarsi e dipanarsi su dimensioni molteplici, creando l’impressione di movimenti complessi, anche in senso temporale, con velocità differenziate e andamenti centripeti e centrifughi a un tempo.

Fino ad oggi Bianchi aveva utilizzato materiali nobili come l’argento e il palladio, in abbinamento con materie morbide e naturali come la cera, o familiari come il legno. Ha realizzato anche straordinari acquerelli, che per certi versi sembrano precedere le opere di oggi. Con gli acquerelli eseguiti su carta pregiata, era riuscito a fare quello che la natura ha realizzato in milioni di anni, comprimendo enormi quantità di fossili, raffreddando e cristallizzando enormi quantità di magma incandescente. Gli acquerelli creavano paesaggi di fondo marino, giochi di striature e venature come di pietre preziose, costellazioni e galassie di inaudita bellezza e lontananza. Costantemente al centro quella sorta di mandala a ipnotizzare lo sguardo, condurlo in un viaggio tra il piccolo e il grande della realtà fisica e metafisica. In questo caso Bianchi è riuscito a rendere morbido, sensuoso e luminoso il marmo come fosse cera, lavorando su due registri linguistici e formali diversi ma complementari: uno è lo spazialità del quadro che viene normalmente costruita attraverso la griglia geometrica, l’altro è la dimensione simbolica della figura, la sfera generata dall’evoluzione di un geroglifico spiraliforme. Immagini che collegano il piano terrestre, cioè la griglia, lo spazio costruito, quindi la prospettiva modernista, ad un piano più universale e cosmologico, infinito e complesso, quale quello evocato dalla spirale e dalla sfera che nei quadri di Domenico Bianchi sta imperativamente al centro o si propaga in più elementi sferici occupando gran parte dello spazio di rappresentazione.

Il percorso artistico di Bianchi è lineare, nella sua radicalità è perfino ripetitivo, come lo sono stati nel modernismo le imprese di Mondrian e di Rothko, di Fontana e di Burri. Un arte che cresce e si accresce per la somma di ripetizioni e differenze, da una all’altra opera. Nei suoi lavori si riscontra un segno circolare ricorrente, che è soggetto del quadro, un nucleo centrale, procreatore di una forma assoluta che rimanda a infinite ipotesi di vita e di spazio, di tempo e dimensioni. Una forma disegnata e costruita che resta fedele a un modello principale fondativo, generatore di infinite declinazioni e variazioni. A partire da una primigenia iconicità impermutabile, muta costantemente l'immagine generata dalla linea che dal centro si distende e si svolge all’interno di strutture geometriche regolari che formano lo spazio lasciando libero campo a modulazioni di campi curvilinei e fluttuanti.

Il disegno, infine, assume un carattere vagamente simbolico, si manifesta come cifra di una geometria organica, puro elemento decorativo, fantasia cosmologica dallo svolgimento curvilineo. Più precisamente, è indicizzazione di una forza, di un’azione procreatrice che nasce e si propaga nella materia e dall’immagine. La cera, in particolare, è luogo di gestazione, di trasmutazione, di solidificazione e di risonanza; un luogo fatto di fisicità compatta e di luminosità immanente. Materia luminosa e sensuosa da cui nasce il quadro, sia come struttura sia come immagine. Linguaggio e forma, un tutto organico che genera e veicola emozioni e informazioni sempre in termini analogici e simbolici, mai figurativi o narrativi. Nel quadro riconosciamo geometrie e forme, densità e trasparenze che collegano, per quanto è possibile in pittura, il microcosmo col macrocosmo, il finito con l’infinito, la terra con l’universo, l’unità individuale con la matrice archetipica di origine divina. Una solida profondità in espansione la cui immensità è trattenuta al centro con disegni concentrici, contenuta nei limiti fluidi di un universo in espansione. Con piani regolari spesse volte sovrapposti a piani curvi, a campi fluidi. La luce è come incarnata nella materia e al tempo stesso funziona da alimentatore e amplificatore dell’immagine generata attraverso il vitale auto-generarsi della linea, che misura e dirige il tempo e lo spazio.

Il quadro per Bianchi è quindi cosmo nascente in continua espansione. E pure immaginazione prenatale. Agli occhi dello spettatore l’opera appare come se fosse sempre esistita e contemporaneamente è in divenire, come sembra dimostrare il disegno che respira e inspira evolvendosi al suo interno. Inizio e fine coincidono, seppure l’ipotesi di un divenire in atto sia rimarcata dalla luce, dall’organicità della materia, dallo sviluppo della linea in una figura non finita, dallo sviluppo dei piani e della sfera che può continuare ripetendosi differenziandosi all’infinito.