Il tema del Padiglione Italia a Venezia è l’ascolto (tranne che per il Ministro Sangiuliano)
Nessuna domanda per i giornalisti e un Ministro Sangiuliano fiume in piena alla conferenza stampa del progetto biennalesco di Massimo Bartolini e Luca Cerizza. Tra genio italico, futurismo e autocitazione
Il titolo ammettiamolo è un po’criptico Due qui-To Hear che giocando con la traduzione italiano-inglese diventa Two Here – Sentire. Un gioco di parole, un calembour sul filo del traduttore automatico, una giravolta linguistica. Forse si poteva trovare di meglio per non far faticare troppo un ministro. E infatti il messaggio ecumenico e universale, che il Padiglione Italia della 60ma Esposizione Internazionale d’Arte lancia con il suo invito all’ascolto, non sembra essere giunto alle orecchie di Gennaro Sangiuliano. Eppure, durante la conferenza stampa di presentazione era lì: seduto tra il commissario/direttore generale Angelo Piero Cappello, l’artista Massimo Bartolini, il curatore Luca Cerizza, il main sponsor Diego della Valle.
Il Padiglione Italia sonoro
Era lì quando Cerizza parlava di un padiglione immerso in un suono che diventa spazio e citando John Cage (“la musica è ovunque se solo prestassimo ascolto”) allargava il concetto ad un ascolto polidimensionale che abbraccia i suoni della natura, i rumori della città, il fluire del nostro respiro, i battiti del nostro cuore, il fruscio dei nostri pensieri. Un suono che investe non solo le due immense Tese ma si estende anche nel Giardino delle Vergini superando con una soluzione estetica, concettuale e molto contemporanea quell’impasse di eccesso di spazio del padiglione nazionale che in passato ha penalizzato progetti e sconfitto curatori. Ma allora era il corpo a corpo muscolare a non funzionare, mentre ora non si intende occupare lo spazio con costruzioni e oggetti ma abitarlo con la più immateriale delle emozioni fatta di suono e pensiero. Ed era sempre lì, il ministro, quando Roberto Cicutto, Presidente uscente, sottolineava il legame fra questo Padiglione e il titolo della Biennale intera “Stranieri ovunque” dove il direttore Adriano Pedrosa invita a incontrare il diverso e il lontano nel segno di tematiche queer, indigene, outsider.
Il progetto di Massimo Bartolini a Venezia
E poi è stata la volta dell’artista, Massimo Bartolini, che mostra un disegno sfumato dalla matita grassa dove appare come in una nebbia il profilo di un Bodhisattva Pensieroso, spirito guida dell’intero progetto, divinità che punta l’attenzione al suo interno, che rinuncia all’illuminazione per l’incontro con gli altri e risolve la sua essenza nel pensare e non nell’agire, nell’ascolto e non nel fare. Quel disegno è volontariamente l’unica traccia visiva di questa conferenza stampa, sia perché non si vuole svelare la sorpresa delle soluzioni installative (che di sicuro ci saranno) sia perché questa volta siamo di fronte a un monumentale e articolato sound project. E poi ci dice Bartolini, il visivo non si confronta con il tutto ma solo con ciò che ha di fronte. Il visivo è dialettico mentre ora è giunto il momento di emanciparsi dalla dialettica e affrontare una dimensione plurale, interna ed esterna che tutto comprenda.
E così, mentre seduti nella sala con penna in mano, consolati dalla presenza di un artista tanto intelligente e sempre sorprendente come Bartolini, la mente vaga nel cercar di visualizzare la risonanza in quei 1200 metri quadri delle Tese più i 900 del Giardino; mentre l’Oriente si avvicina in forme sempre più avvolgenti; mentre già immaginiamo i suoni minimalisti dei compositori sperimentali al lavoro su tanto progetto (Gavin e Yuri Bryars, Caterina Barbieri, Kali Malone) e degli scrittori (Nicoletta Costa, Tiziano Scarpa) che avrebbero regalato testi recitati o sussurrati nel “public program” e probabilmente lungo il percorso durante l’inaugurazione. E mentre l’artista si augurava che saremmo riusciti a tacere per qualche minuto e a visitare in silenzio questa sua fatica che lui spera essere “una goccia di meraviglia”, ebbene in questo clima sofisticato, filosofico e rarefatto ha preso la parola il ministro Gennaro Sangiuliano.
Il Padiglione Italia secondo Sangiuliano
Esordisce con voce forte, ri-raccontando (non è la prima volta) l’aneddoto del 1911 che riguarda l’impresa dell’ardito gruppo di futuristi fiorentini (Papini, Soffici, Prezzolini) che portarono a Firenze quadri impressionisti sfidando il gusto piccolo borghese dell’epoca. Subito dopo cita Dostoievskij dicendo che da grande scrittore quale fu, invitava a tendere l’orecchio verso il basso, ovvero verso il popolo e lancia così un j’accuse (non si capisce bene a che proposito) contro la cultura elitaria e le manie del politicamente corretto. Prosegue col ringraziare Diego Della Valle per il sostegno e lo indica come “italiano a pieno tondo basti pensare all’attenzione che che ha avuto per il Colosseo”. Poi si autocita con una frase di un suo libro che recita: “dobbiamo costruire il passato del futuro” e invita Bartolini a prendere questo invito come un viatico augurandogli che fra 200 anni le opere del suo padiglione siano valutate sul mercato come oggi i quadri impressionisti. È un fiume in piena l’italianità che sottende a tutto il discorso di Sangiuliano fino a sfociare in un elogio del Genio Italico e della stirpe mediterranea di cui lui e (ci dice) Pietrangelo Buttafuoco il nuovo presidente della Biennale che siede in prima fila, sono un esempio, insieme alle culture che dalla Grecia arrivano a noi. Le cita più o meno tutte: romani, bizantini e persino angioini e aragonesi. Ma dell’esempio del Bodhisattva e del pensiero di John Cage nessuna traccia. Nell’enfasi il ministro conclude tornando a Prezzolini e all’incitamento a tutti i presenti perché siano “italiani all’altezza del loro passato“.
Una conferenza stampa senza domande
Sembra incredibile, ma ottiene l’applauso. Il commissario ne approfitta per riuscire a dire tutto d’un fiato e in una frazione di secondo: “Ci sono domande? No? Grazie a tutti, chiudiamo qui”. Fine dei giochi. Niente domande, dopo i risultati in Sardegna non si sa mai che possono chiedere ‘sti giornalisti…. E pensare che il tema di questo padiglione era l’ascolto e peccato che il ministro non lo abbia capito perché questa volta grazie a Bartolini e a Cerizza il nostro così difficile padiglione, troppo grande, troppo alto, troppo lontano dai Giardini avrà forse finalmente un senso in quanto ospite di un messaggio universale, contemporaneo, libero da confini e da inutile retorica.
Alessandra Mammì
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