Mirko Andreoli – Il marabut e l’uovo d’oro
La nuova mostra di Mirko Andreoli da DR Fake Cabinet presenta una selezione di lavori recenti dell’artista.
Comunicato stampa
La nuova mostra di Mirko Andreoli da DR Fake Cabinet presenta una selezione di lavori recenti dell’artista. Si tratta di acquerelli di piccole e grandi dimensioni nei quali viene messa in scena una narrazione leggendaria ispirata a un poemetto dal titolo “I marabut”. Questa mostra è un passaggio importante nella ricerca di Andreoli: dopo una sperimentazione molto articolata, caratterizzata da disegni a matita dal segno iperrealista, in cui i riferimenti al passato attingevano a un immaginario liberty, ora l’artista torna a misurarsi con l’acquerello proponendo una doppia narrazione che finisce per muoversi sulla stesso piano. Da una lato la storia del marabut, il misterioso uccello africano, intrecciata alla leggenda dell’uovo d’oro, ispirata a un antico volume e al testo poetico contenuto al suo interno; dall’altro l’indagine sul paesaggio nel quale viene sempre inserito un elemento straniante proveniente dal mondo alieno.
Nei suoi lavori Andreoli riesce a fondere una straordinaria perizia tecnica con un immaginario sempre originale, capace di attingere dal passato per raccontare all’osservatore una realtà nella quale si cela l’inconoscibile, l’imprevedibile e dalla quale si finisce per essere attratti e sedotti, senza averla però compresa fino in fondo.
I MARABUT
Cantami, o Diva Rostrata, l’Irkalla
Del nostro nome, di come per tutto
Pianse il vapore del suolo e del mare.
Apriti, chiesero, ma la fatica
Era la troppa sommessa, l’illuce
Di quanti dì non mancassero a valle,
Ché si giacesse per tre giri ancóra.
Erano sfere, con dita d’un uomo
Le si poteva comprendere e i segni
Usi all’aperta rubedo consistono
Sempre e da sempre, da gli ultimi morti
In petto all’ultimo turbine: quasi
Sapesse il volto dell’Uno concentrico,
Grande stupore livella la rabbia.
Ma poi gli arresi, tentato quell’alito
Postremo all’arte di vincere il buio,
Parvero pieghi alla lacrima e, dopo,
Tesi al collasso. Dal grande stupore
Si sagomava la grana, da rabbia
La visione di avere consegnato
Un altare addicevole per nido.
Le vergini si strinsero ai saprofaghi
Movendo il collo scrostato di piume
(così li avevano fatti, che in agio
Masticassero) e l’uovo ivi rimase:
Oro liquido a vincere legioni
Di terrore, ch’è meglio essere amati
‒ il marabutto lo sa e si muoveva
Perché ogni cosa tornasse nell’ordine
Proprio, perché le Chimere trovassero
La loro pace, non scogli al processo,
Non crepe nell’arteria d’ariballo.
Tutte le rossovestite, le ancelle
Del fato, Muse pari a te, avanzarono
Ad abbracciare i menti glabri, ognuna
Un marabù concupito, da ognuna
Atti d’amore dovuti, che tana
Sempre è un talamo, il tempio è sempre fatto
Per quello che si spinge elettamente
Nell’orifizio del nulla, e lo sconosci -
come sovrana già fece, regnante
sui Tirii, li stornava dal tremore
circonferente: che vasto proluso
non le servì lo stesso contro l’ale
del sortilegio.