“Leonardo da Vinci è il padre dell’immagine in movimento”. Parola a Martin Kemp
La presentazione di una nuova installazione digitale all'interno del Leonardo3 Museum a Milano è stata l'occasione per assistere ad una prestigiosa lezione di uno dei più apprezzati studiosi di Leonardo da Vinci al mondo: Martin Kemp, professore emerito di Oxford
Sulla figura di Leonardo da Vinci nel corso dei secoli si sono sedimentate ogni sorta di letture improprie, di leggende e di vere e proprie fake news, tanto che è oggi molto difficile discernere il vero studioso e artista dall’immagine esoterica che troppo spesso lo accompagna. Una delle istituzioni più attive in proposito è il Leonardo3 Museum, ospitato nelle Sale del Re all’interno della Galleria Vittorio Emanuele II a Milano, a ridosso della celeberrima statua, dedicata al genio di Vinci, nota ai milanesi DOC come “on liter in quater”: un litro in quattro, riferendosi alle dimensioni diminuite dei quattro epigoni leonardeschi che accompagnano il Sommo come se fossero dei bicchierini a fianco della grande bottiglia che conteneva il vino buono, una scena comune nelle osterie dell’epoca. Piazza Scala e la Galleria, va detto, sono luoghi squisitamente pervasi dalla più genuina atmosfera leonardesca, e avere il monumento di Pietro Magni del 1872 con Leonardo accompagnato dal Salaj, Cesare da Sesto, Boltraffio e Marco da Oggiono a breve distanza dall’ingresso del museo offre senza dubbio un valore aggiunto all’esperienza.
Il Leonardo3 Museum a Milano
All’interno troviamo una quantità strepitosa di macchinari e di progetti ingegneristici che accompagnano il visitatore in un viaggio nella curiosità insaziabile del genio universale. Oltre duecento ricostruzioni in 3D offrono uno spaccato quantomai completo della varietà di interessi di Leonardo: dall’arte al volo, dalla musica all’architettura, passando per la meccanica e l’ineffabile magia che emanano i suoi codici, rigorosamente catalogati e riprodotti in formato digitale. Leonardo3 va inteso nel senso originale del termine “musaeum” così come fu declinato da Paolo Giovio nel suo progetto del 1537: come un “tempio delle muse”, un luogo da cui prendere ispirazione per sperimentare la grandiosa potenza dell’intelletto e della razionalità umana e trascendere le trivialità dell’esperienza quotidiana. E al Leonardo3 Museum la musa ispiratrice è senza dubbio Leonardo: lo scienziato, l’artista, il curioso e irriverente da Vinci.
Torniamo volentieri a visitare Leonardo 3 in occasione della lecture offerta il 15 febbraio scorso da quello che – con buona pace di gran parte del mondo accademico nostrano – viene definito a livello internazionale come il principale referente scientifico per quanto riguarda Leonardo da Vinci: Martin Kemp, professore emerito di Oxford e autore di innumerevoli saggi sul Maestro, tra cui l’imperdibile “50 anni con Leonardo. Lucidità e follie attorno all’opera di un genio”, Mondadori, 2019.
La lecture di Martin Kemp al Leonardo3
Dopo un ripensamento dell’offerta espositiva in occasione dei vent’anni, come è ora Leonardo 3? “Enormously improved!”, ha detto Martin Kemp in occasione della visita al museo. In effetti la rinnovata direzione artistica di Marco Versiero, associata all’entusiasmo contagioso di Massimiliano Lisa e alla perizia scientifica di Edoardo Zanon hanno impresso un marcato cambio di velocità al museo, che ora può essere percepito come un istituto al servizio della corretta comunicazione e divulgazione della mentalità del Genio, in un’epoca in cui la razionalità è assediata dai demoni dell’irrazionalità e dell’impulsività, per parafrasare la celebre espressione di Carl Sagan.
La lezione di Kemp, intitolata Uno sguardo nuovo su dipinti celeberrimi è stato un delizioso omaggio alla visione globale del genio di Vinci. Per l’occasione è stata anche presentata al pubblico una installazione multimediale che permette di avere una visione complessiva della produzione di Leonardo (con tutti i suoi venti dipinti attribuiti riprodotti in alta definizione), ma anche del suo contesto storico, geografico e culturale. L’intento è quello di presentare il polimata di Vinci in maniera corretta, come “figlio della sua epoca”. Un atteggiamento ben diverso rispetto alla mistificazione a cui viene sottoposta la sua figura, letta quasi in chiave semidivina o idealizzata.
Martin Kemp analizza con lucidità il Leonardo protoscienziato, affascinato dalla natura e dalla geologia: dal museo di Oxford prende l’esempio di una sfera di cristallo di rocca per far comprendere come le incrostazioni all’interno della sfera del Salvator Mundi siano accurate, evidenzia il realismo dei rami di ginepro nel verso della Ginevra de Benci, racconta il vorticoso turbinio dei riccioli in termini di fluidodinamica e di idrodinamica. E fa presente quanto ragionamento scientifico sia presente all’interno del dipinto murale dell’Ultima Cena: consapevole quanto la prospettiva del refettorio delle Grazie sia complessa da giustificare in termini prospettici rigorosi, Leonardo tratta la parete come una sorta di equazione di campo, in cui appone una sorta di “tensore metrico” con cui rendere evidente il contesto geometrico di riferimento: è la volta cassettonata che sovrasta la Cena. Quello, per usare un termine improprio mutuato dalla matematica (che forse sarebbe piaciuto a Leonardo), è una sorta di costante all’interno dell’equazione di campo: “questo è lo spazio e quest’altro il tempo”, evidenzia Kemp menzionando la geometria prospettica e gli apostoli, i quali, invece, sono variabili suddivisi in gruppi di tre, quasi si trattasse di un polinomio. Giuda è il termine negativo, ma non si trova isolato dall’altra parte del tavolo come era solito raffigurarlo: si trova insieme agli altri. Il tutto è quasi una recita teatrale: “Leonardo amava le immagini in movimento”, ricorda Kemp, “e Milano è il posto perfetto per conoscere Leonardo”.
E le “variabili” date dagli apostoli sono illustrate in maniera superba, trattando Leonardo come una sorta di padre dell’immagine in movimento, un’idea avvincente molto cara a Martin Kemp.
Leonardo da Vinci e l’immagine in movimento
Leonardo, secondo il professore di Oxford, era ossessionato dall’idea della continuità delle forme nello spazio e nel tempo: come evolvono? Come rappresentare il turbinio vorticoso della vita sensibile? Kemp propone diverse animazioni spettacolari, in cui alcuni fermo-immagine vengono animati e rappresentati come fotogrammi da proiettare in sequenza. L’effetto lascia il pubblico senza parole: “è l’animazione delle ‘foliazioni’ del tempo”, afferma lo studioso. Kemp utilizza un linguaggio da scienziato che sarebbe senz’altro piaciuto al suo collega di Oxford, il grande matematico Roger Penrose, premio Nobel nel 2020: “In Leonardo troviamo un livello incredibile di immersione [in inglese: “embedding”, NdA] temporale. Da Vinci ricerca nelle sue opere la più pura fluidità dei movimenti e la sua indagine verte sulle quantità continue: l’occhio non conosce il limite dei corpi in movimento”. Per un attimo non è chiaro se stiamo parlando di Teoria della Relatività di Einstein o dell’Ultima Cena di Leonardo, e la sensazione è davvero quella di una nuova, inedita e potentissima visione sul Genio. L’effetto cinematografico e teatrale di Leonardo, ossessionato dalla possibilità di trasferire il trascorrere del tempo nelle due dimensioni, è stato più volte sottolineato, tanto all’interno del suo manifesto programmatico, che indubbiamente è l’Ultima Cena del convento delle Grazie a Milano, quanto nei suoi progetti perduti o mai realizzati, come la celeberrima Battaglia di Anghiari. Di quell’episodio pittoricamente sfortunato per Leonardo rimane invece il capolavoro della sua poetica: la descrizione estesa di come affrontare le scene vorticose di una battaglia campale. L’intero brano durante la presentazione è stato magistralmente recitato da Marco Versiero, che ha dato vita ai sincopati versi visionari di Leonardo, il quale pareva quasi descrivere con entusiasmo quello che, grazie alla sua infinita capacità di visualizzazione, aveva davanti agli occhi della sua immaginazione. Non esiste un brano di Leonardo in cui l’autore si lasci portare in maniera ugualmente intensa dall’entusiasmo e dal gusto della descrizione. Per Kemp questo brano è una sorta di “storyboard per un film su una battaglia”, e la “narrazione si presenta come un flusso continuo all’interno del vortice della battaglia”. Particolarmente lusinghiere le parole che Kemp ha dedicato anche alla riproduzione in scala leggermente ridotta dell’Ultima Cena. “It’s incredibly telling!”, afferma schietto: “è veramente espressivo!”.
L’attribuzione del “Salvator Mundi”
C’è stato anche tempo per qualche domanda, come l’inevitabile curiosità sul Salvator Mundi: come si è giunti ad una ragionevole attribuzione (almeno parziale) al Maestro? Secondo Kemp, la chiave è trattare l’opera come un dipinto, considerarlo un mero oggetto di studio nella sua fisicità e nella sua apparenza fenomenologica: che cosa possiamo dire di quell’opera? Secondo alcune rigorose indagini tecniche è possibile avanzare l’ipotesi che l’opera – per lo meno in alcuni brani di particolare importanza come la già citata sfera o la mano, e per l’effetto dello sfumato dato dalla messa a fuoco sulla sfera che lascia dunque dietro la distanza focale perfetta il viso – sia in buona parte frutto genuino di Leonardo, almeno secondo l’interpretazione di Kemp. Nelle sue parole: “that has definitely some Leonardo in it!”: “C’è decisamente un po’ di Leonardo in quell’opera!”. Non vogliamo certamente entrare nello spinoso argomento delle attribuzioni, non è la sede idonea. Quello che è importante qui è sottolineare come un insigne studioso di Oxford come Kemp abbia presentato le sue argomentazioni in maniera lucida, razionale e scientificamente rigorosa ad un pubblico di curiosi e di veri e propri appassionati di Leonardo.
Arte e scienza nell’opera di Leonardo da Vinci
Un’altra domanda verteva su un’eventualità sulla quale molto spesso gli storici e i filosofi della scienza si sono posti: come sarebbe cambiata la scienza, se Leonardo avesse pubblicato i suoi studi? Avremmo guadagnato un centinaio di anni buoni rispetto alla definizione di “metodo scientifico” così come stabilito da Francis Bacon, da Cartesio o da Galileo? In realtà, evidenzia Kemp, Leonardo era già noto agli studiosi dell’epoca, e non è esatto dire che i suoi risultati fossero del tutto sconosciuti. In seguito, Kemp indica nell’approccio multidisciplinare tipico del genio toscano la possibile risposta. La scienza e l’arte hanno seguito nel corso del Sei-Settecento dei sentieri paralleli per poi biforcarsi in maniera sempre più marcata nell’ultimo paio di secoli. Leonardo, invece, vedeva i due saperi come fortemente interconnessi, inscindibili, e questa multidisciplinarietà, questa visione globale nell’identificare i problemi, sarebbe stata invece fondamentale nell’approccio leonardesco al sapere scientifico. La curiosità universale di Leonardo avrebbe forse puntato più su un approccio “qualitativo” rispetto ad uno meramente “quantitativo”, settoriale e segmentato come quello che fino a poco tempo fa dominava.
Un bel messaggio per un’epoca come la nostra in cui pare ancora parecchio impatto all’interno della vulgata popolare la falsa dicotomia tra “scienze umanistiche” e “scienze esatte”. Secondo i principi che hanno ispirato l’opera di Leonardo, invece, le “due culture” (un termine inventato nel 1959 da Charles P. Snow) non sono mai state davvero frapposte, ma solo due approcci diversi che, partendo da premesse complementari, tendono ad approssimarsi da angolature diverse agli stessi problemi. “E questo evento è stato solo l’inizio”, confessa con un sorriso orgoglioso Massimiliano Lisa, direttore di Leonardo 3, lasciando presagire altri interessantissimi incontri nel futuro prossimo. Già oggi, con i suoi oltre 250 mila biglietti staccati lo scorso anno, il museo è uno dei più frequentati della città meneghina.
Thomas Villa
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