La Fondazione Lazzaretto di Milano compie i suoi primi 10 anni. Storia e progetti futuri
Nata e cresciuta negli spazi di quello che fu il lazzaretto della città, tra Stazione Centrale e Porta Venezia, la Fondazione ha scelto di fare della contaminazione un punto di forza della produzione culturale, raccontandosi ogni anno attraverso il Festival della Peste
Era il 2014. Dove un tempo stava il Lazzaretto di manzoniana memoria, operativo come ricovero per i malati di peste già nella Milano del XV Secolo e assurto alla fama grazie ai Promessi Sposi, nasceva l’embrione della Fondazione Lazzaretto, che dall’identità del luogo mutuava il nome, ma soprattutto la volontà di ripensare il concetto di contaminazione in chiave positiva. Nel 2024 il progetto celebra il suo primo decennale, “già dieci anni”, come sottolinea la direttrice artistica Linda Ronzoni nel tratteggiare l’evoluzione di una storia cresciuta oltre ogni più rosea aspettativa, sotto le cure di chi muoveva i primi passi con l’indiscutibile proposito di sperimentare: “Siamo partiti cautamente, per creare uno spazio di libertà, di apertura, di narrazione. Questo è accaduto, e non era scontato, sebbene l’opportunità di disporre di fondi privati ci abbia messo al riparo dalla morsa di dover rispondere con grandi numeri. Ma la libertà è anche una sfida da accogliere, provando e sbagliando, cambiando in corsa e ricambiando ancora, ideando progetti speciali. La nostra investitrice, dal canto suo, ci ha sempre lasciato totale libertà di azione”.
Ecco perché parlare di Fondazione Lazzaretto, oggi, significa individuare un punto di riferimento della scena culturale milanese, fondato sulla partecipazione attiva e lo scambio (il metodo è quello dell’ibridazione generativa), tra progetti espositivi ed editoriali, incontri e laboratori, corsi e performance, valorizzazione di giovani talenti, anche attraverso il Premio Lydia (intitolato alla memoria di Lydia Silvestri, scultrice allieva di Marino Marini, che fu ospite degli spazi dove ha attualmente sede la Fondazione), che dal 2018 si rinnova ogni anno per promuovere l’arte emergente italiana, sotto la curatela di Claudia D’Alonzo e in collaborazione con PAC Padiglione d’Arte Contemporanea (la call per l’edizione 2024 sarà lanciata il prossimo 12 marzo).
La storia della Fondazione Lazzaretto a Milano
La Fondazione nasce – ancora prima come Associazione culturale – dalla visione di Roberta Rocca e Alfred Drago, che da subito hanno affidato la direzione artistica a Linda Ronzoni: “Ci siamo fatti testimoni dell’amore per la storia della città e di un suo quartiere, il Lazzaretto, scegliendo un nome per la Fondazione tanto impegnativo e scomodo quanto efficace e vivo”, racconta Drago “Abbiamo raccolto l’eredità dell’amicizia tra Andreina Bassetti (nonna paterna di Roberta Rocca, ndR), che acquistò i muri, e l’artista Lydia Silvestri, che li utilizzò come atelier. Mi ricordo che si andava da lei a respirare un’aria nuova. Era uno strano connubio, tutto al femminile, che scatenava energie insospettabili. Nasce così il Lazzaretto. Chiamando a raccolta gli amici per guardarsi in faccia e tirare fuori dal cassetto energie sopite. Senza sapere dove saremmo arrivati. Nessun risultato da raggiungere, se non quello di riaprire un sentiero. A noi interessano i percorsi, i processi, le camminate fatte insieme”. Il valore partecipativo, infatti, è sempre rimasto uno snodo centrale delle attività, come pure l’intenzione di sorprendere: “Se il nostro è uno spazio di libertà, la partecipazione in prima persona del pubblico è fondamentale, vogliamo che succeda qualcosa che attivi un piccolo cambiamento, un ribaltamento di prospettiva; vogliamo confondere le idee. Dal Lazzaretto si esce stupiti e confusi. La risposta, negli anni, è cresciuta: la partecipazione si è diversificata molto, è aumentata la presenza di un pubblico più giovane, anche perché molte delle nostre attività sono gratuite” spiega Ronzoni “Ora abbiamo persone più adulte, magari in pensione, che partecipano al laboratorio di bioenergetica, ragazzi che vengono per le proiezioni… Si è realizzato ciò che volevamo all’inizio creando uno spazio che non fosse etichettabile in modo univoco e restrittivo. Oggi chi viene al Lazzaretto lo fa perché si fida della nostra programmazione, a prescindere che si tratti di arte, musica, teatro. È un fatto anomalo a Milano, dove sebbene si parli tanto di multidisciplinarietà, si procede molto per compartimenti stagni”.
Le attività della Fondazione Lazzaretto
Come è stato raggiunto questo risultato? Facendo di un luogo nato per il confinamento, uno spazio aperto per ampliare la propria percezione di sé e del mondo. Con un assetto modulare, che comprende la Grande Officina (luogo del fare), la Camera d’Aria dove si raccolgono le idee, il Salotto, pensato per incontrarsi fisicamente: “Per noi è molto importante la presenza, facciamo molto lavoro corporeo. Durante la pandemia, quando questo non è stato possibile, abbiamo promosso un festival in versione delivery, consegnando a ciascuno una scatola della pizza che conteneva idee, suggestioni, oggetti pensate con artisti e creativi. Un piccolo esperimento per continuare a esserci e a coinvolgere le persone”. L’annuale organizzazione del Festival della Peste rappresenta, infatti, la principale apertura pubblica della Fondazione e sintetizza un anno di lavoro partecipato che si realizza attraverso la programmazione dei cosiddetti “Virus”: laboratori, workshop, performance, incontri con artisti, scienziati, curatori, filosofi. Un’operazione che si concentra ogni anno su un tema dato: nel 2024 tocca al “mostruoso”, elaborato con la collaborazione della curatrice Cristina Pancini. “In generale, scegliamo e affrontiamo le diverse tematiche con l’idea di uscire dal conformismo. Ricordo il primo lavoro, nell’anno dell’Expo sul cibo – secondo noi un’occasione mancata – quando abbiamo scelto di concentrarci sul digiuno”. Ma c’è stato modo di affrontare anche il femminile, la pazzia, il binomio ragione/sentimento, gli opposti ordine e disordine.
I Racconti della Peste e il Club dei Pestiferi
Lo spirito del Lazzaretto, insomma, è sempre quello di forzare il limite con ironia, divertimento e coraggio creativo. Un proposito che si ritrova nel libro d’artista a tiratura limitata realizzato per il decennale: I Racconti della Peste raccoglie 27 racconti che partono dalla domanda “Cos’è la Peste?”, “da Freud a Mike Buongiorno, da Kandinsky allo Stregatto di Alice. Si parla di caos, di cadute, di cani randagi, di maionesi impazzite, di colori fuori dai contorni, con l’intento più di perdersi che di ritrovarsi”. Completano la pubblicazione immagini riprese da volumi di tassonomia, atlanti e cataloghi storici, per creare un oggetto-libro che chiama alla partecipazione anche il lettore, invitato a intervenire sulla copertina con timbri e inchiostri. Il libro è disponibile per l’acquisto online, sul sito della Fondazione.
Ma il decennale porta con sé un’altra novità, battezzando la nascita del Club dei Pestiferi: “Con il club diamo al pubblico che ci ha accompagnato da sempre la possibilità di sottoscrivere una tessera attraverso una donazione che darà diritto a diversi benefit nel corso dell’anno. L’idea è quella di ritrovarsi con chi ci ha frequentato in tutti questi anni”.
Livia Montagnoli
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