L’8 marzo a teatro a Parma con Svelarsi, lo spettacolo fatto da donne per sole donne
Svelarsi è il programmatico titolo di una “serata evento per sole donne e chi si sente tale”, frutto di un’intuizione dell’attrice e regista Silvia Gallerano, sviluppata insieme ad altre sette interpreti/complici al Teatro al Parco di Parma
L’8 marzo, al Teatro al Parco di Parma va in scena Svelarsi, una sorta di happening spensieratamente e orgogliosamente post-femminista, una serata teatrale ideata da artiste donne per un pubblico di sole donne. Nato da un’intuizione di Silvia Gallerani, sviluppata insieme a Giulia Aleandri, Elvira Berarducci, Smeralda Capizzi, Benedetta Cassio, Livia De Luca, Chantal Gori e Giulia Pietrozzini – attrici di età, formazione e vocazione molto diverse – e prodotto da una realtà tutta femminile come Teatro di Dioniso, il progetto teatrale-antropologico-sociologico programmaticamente intitolato Svelarsi – un’azione compiuta non soltanto in maniera metaforica – è un tentativo di radunare un gruppo di donne e obbligarle – pur con affabile complicità – a guardarsi reciprocamente negli occhi per acquistare così il coraggio di osservare senza autoinganni sé stesse.
Svelarsi secondo la regista Silvia Gallerano
Gallerano parla di una “chiamata” e spiega: “Non è per tutti. È per chi ha voglia di incontrarci. Non ci mostriamo come animali di uno zoo. Accogliamo chi è interessata a rispecchiarsi. Ci sono parole. Tante. Che coprono, che proteggono i corpi. E poi ci sono i corpi. Così come li guardiamo allo specchio quando ci svegliamo. Prima di camuffarli per camminare in mezzo agli altri. Sai quando si dice: immagina una persona che ti fa paura mentre è nuda. Per smontarla. Per vedere che è composta dagli stessi pezzi che compongono te. Ecco, noi ci spogliamo proprio. I nostri pezzi li mostriamo tutti.” È chiaro, dunque, come Svelarsi non sia semplicemente uno spettacolo, ma, per chi accetti di viverla appieno, una vera e propria occasione di riflessione e, magari, di consapevolezza.
Cosa succede in Svelarsi
Abbiamo partecipato a questa vera e propria “esperienza” in occasione della data torinese, al Teatro Astra il 13 febbraio scorso. Già l’ingresso in un foyer popolato da sole donne fa un certo effetto – anche per chi è abituato a frequentare ambienti lavorativi prettamente femminili – e questa sensazione di straniante rispecchiamento ci accompagna in sala, allorché le chiacchiere con le vicine di posto ostentano una complicità ora di maniera, ora di forzata disinvoltura. È evidente come la tanto sbandierata “sorellanza” non sia – o forse non sia più – qualcosa di naturale, neppure per le donne emancipate del XXI secolo. Certo alcune delle attrici – le altre sono già sul palco, tutte in vestaglia di raso bianco – si aggirano in platea, parlano con le spettatrici e magari si provano le loro giacche e i cappelli. Ma la tensione permane e inizia a sciogliersi soltanto nel momento in cui le attrici ricompaiono in scena completamente e disinvoltamente nude, esibendosi in una coreografia tanto “imperfetta” quanto liberatoria: un’esplicita dichiarazione programmatica, un proclamare con il proprio corpo contenuti e obiettivi di quanto sta per avvenire sul palcoscenico.
Appollaiata su un lato del palco, accanto a un leggio su cui successivi cartelli suggeriscono i temi che verranno trattati nelle varie parti della serata, Silvia Gallerano “dirige” le proprie compagne, dà loro un “la” cui lei stessa si accorda simbioticamente. Quelle parti di me che proprio non mi piacciono e il rapporto con mia madre, la maternità e il lavoro, i sensi di colpa e la violenza – psicologica prima ancora che fisica – subita. Tematiche condivise in più frangenti con le spettatrici, cui è implicitamente richiesta una partecipazione ognora più attiva e, soprattutto, consapevole. Si ride e ci si commuove, si gioisce e ci si indigna, in quasi due ore di qualcosa che nasce come “spettacolo” per poi divenire “condivisione”, atto comunitario di cura di sé – non a caso, dopo gli applausi finali, le spettatrici sono inviate a scendere sul palcoscenico, per un ballo liberatorio e, poi, per un momento di dibattito, di scambio informale di impressioni e pensieri (confronto che continua anche dopo, grazie al blog dedicato).
Il femminismo nello spettacolo Svelarsi
Svelarsi non è, né vuole essere, una versione 2.0 dei gruppi di autocoscienza ma ciò non significa sminuirne intenzionalità e profondità. Alla base del progetto elaborato da Silvia Gallerano e dalle sue attrici-compagne c’è la presa d’atto di una mancanza – nel dibattitto pubblico – di uno spazio autenticamente dedicato alle donne, aldilà dei frangenti mediaticamente più noti, in primo luogo i tanti femminicidi. Ecco, Svelarsi mira proprio a riempire quel vuoto, da cui sovente si generano disagi esistenziali e violenze: un luogo “protetto” in cui riconoscersi quale essere umano di genere femminile – biologicamente o meno – e confrontarsi senza rivalità né preconcetti con altre “simili”, abbattendo tanto quella competitività che troppo spesso inficia le relazioni – lavorative e non – fra donne, quanto quella “educata” riservatezza che impedisce di mostrarsi davvero per quelle che si è. Non si tratta più di “sputare su Hegel”– o, forse, al contrario, è necessario (ri)tornare alla basi del femminismo – ma certo di ridefinire e riaffermare un’identità femminile – o anche non binaria, e forse la mancanza di un accenno a questa realtà è un piccolo limite di Svelarsi, in particolare se si vuole coinvolgere un pubblico più giovane, adolescenziale. Identità che, come sosteneva proprio Carla Lonzi, “non va definita in rapporto all’uomo”: e, allora, una serata per e fra sole donne può essere un ottimo punto di partenza.
Laura Bevione
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