Nell’atelier di Asger Jorn ad Albissola Marina. L’unica architettura situazionista realizzata
Per la prima puntata della rubrica “Nelle stanze della creazione" andiamo in Liguria, più precisamente ad Albissola Marina. Qui, il pittore danese Asger Jorn creò la sua casa-atelier
“Ignoro a quanti chilometri si trovi Albissola da Milano. Ma credo sia proprio quello che ci serve, purché non ci siano troppi turisti, che non si tratti di un contesto mondano, e infine se sia possibile trovare una dimora a buon mercato”. (Estratto di una lettera di Asger Jorn a Enrico Baj, 1954)
Marzo 1954, Milano. Debilitato dalla tubercolosi, Asger Jorn (Vejrum, 1914 – Aarhus, 1973) accettò l’invito dell’amico artista Enrico Baj di trasferirsi ad Albisola, in quella che Marinetti definì come “la capitale ceramica d’Italia”. Così, con l’imminente arrivo della primavera, si caricò lo zaino sulle spalle e, senza dimenticare il suo amato violino, giunse nel piccolo borgo sulla costa ligure. Senza un tetto dove dormire e con le tasche vuote, Jorn poteva contare unicamente sull’amore della sua numerosa famiglia e sul calore degli albissolesi, pronti ad aiutarlo con quanto avevano a disposizione. Prima accampato in una grande tenda in località Grana, Jorn fu poi ospite di Lucio Fontana nel suo piccolo studio – un “fondo” nella borgata di Pozzo Garitta, dove l’artista fondatore dello Spazialismo lavorava ai celebri tagli e sperimentava nuove forme con l’aiuto dell’argilla, messa poi ad asciugare su dei particolari muri detti muêë. Ma grazie alla vendita di alcuni quadri, nel 1957 “il Vichingo” (soprannome con cui Enrico Baj ed Ezio Gribaudo chiamavano Jorn) riuscì ad acquistare due piccoli ruderi sulle prime colline di Albissola Marina per un milione di lire, da pagare poco alla volta.
La casa di Asger Jorn ad Albissola Marina
Oggi, come allora, gli anziani del paese si riuniscono in quello che era lo storico Bar Testa – una sorta di Closeries des Lilas in versione albissolese – e i loro discorsi si intrecciano con i ricordi dell’epoca. Scherzano ancora ripensando a Jorn, che tentò più volte di scambiare le proprie opere con bottiglie di vino o in cambio di piccoli favori. Forse, è proprio attraverso i loro racconti che ritroviamo il vero motivo per cui il danese scelse Albisola. Non solo per il clima mite, dolce e temperato anche durante la stagione invernale, ma soprattutto per quell’ambiente culturale autentico e lontano dai riflettori, ma al tempo stesso degno di una capitale europea, che attirò centinaia di artisti a lavorare con la ceramica.
Come suggeriscono le bifore antiche e gli altri elementi architettonici superstiti, la storia della casa di Jorn affonda le sue radici nel Rinascimento. Immersi ancora oggi nella vegetazione, nonostante siano circondati da un quartiere ormai diventato opulento, i due edifici sono noti come le “murazze dei papi”. Probabilmente, le due case coloniche erano in origine di proprietà della famiglia Della Rovere, antica dinastia di patrizi savonesi che diede i natali ai papi Sisto IV e Giulio II, promotori delle arti tra il XIV e il XV secolo.
A raccontarci la storia di questo luogo è Daniele Panucci, curatore di Casa Museo Jorn dal 2018 e del Museo della Ceramica di Savona dal 2022.
Intervista a Daniele Panucci, curatore di Casa Museo Jorn
Partiamo dall’inizio. Come ha fatto un improbabile paese sulla costa ligure a diventare uno degli epicentri dell’arte contemporanea del XX secolo?
Improbabile? In una qualche misura sì: può sorprendere ritrovare il nome di questo piccolo borgo della periferia della già periferica Savona nelle mostre scientifiche internazionali e nelle pubblicazioni sull’arte del secolo scorso. Ma in realtà, pensandoci bene, era forse il posto perfetto, uno dei più probabili, paradossalmente: Albisola, collocata nel crocevia tra Milano, Torino, Genova e la Costa Azzurra, era nota già nella prima metà del XVI secolo per le sue fornaci e per la produzione della ceramica. A partire dagli Anni Trenta del secolo scorso, con l’approdo del movimento futurista, la presenza di artisti, intellettuali, galleristi, letterati tra i più rilevanti dell’epoca trasformò l’antico borgo figulino in un luogo d’incontro privilegiato, dove si produceva arte e artigianato, ci si ritrovava, anche per godere del clima mite e delle spiagge, e ci si confrontava. La presenza di personaggi come Lucio Fontana, Aligi Sassu, Milena Milani, Wifredo Lam, Agenore Fabbri – per ricordarne solo alcuni – tracciano un momento storico indimenticabile ed irripetibile della storia locale, le cui tracce sono ben presenti e riconoscibili sul territorio.
Cosa cambia con l’arrivo di Asger Jorn?
Con l’arrivo di Jorn ai Bruciati nel 1957, si aprì una nuova fase nella storia di questo luogo. Già tre anni prima, il danese si oppose al concetto funzionalista di abitazione e fondò il Movimento internazionale per una Bauhaus immaginista, in netto contrasto con la Bauhaus di Ulm fondata da Max Bill. In una lettera indirizzata a Baj, Jorn parlava di un’idea di casa come “una macchina per scioccare, impressionare, una macchina d’espressione umana e universale“. Ora il Vichingo ha l’opportunità di mettere in pratica questo nuovo concetto di abitazione. Attraverso il labirintico giardino a terrazzamenti entriamo nell’edificio di levante, il vero nucleo della casa dove viveva Jorn con la sua famiglia. Qui troviamo la veranda con i suoi coloratissimi mosaici composti da centinaia di piastrelle di scarto, la cucina e la cantina per i vini, una grande figura totemica sulla parete del salotto e immensi dipinti murali nelle camere da letto. Isolato dal resto dell’abitazione, il bagno è stato costruito sulle rovine di un arco e sorprendentemente contiene quattro pannelli ceramici firmati dal maestro danese.
Quali sono i principi su cui si fonda questa complessa macchina abitativa?
Jorn intervenne sul feudo abbandonato secondo i principi della libera e spontanea immaginazione, trasformando senza soluzione di continuità la proprietà in un ambiente unitario e unificato, se pur stratificato ed eterogeneo. Qui trovano spazio – senza fatica – le opere dell’artista, marmi di reimpiego e piastrelle di scarto, accanto a frammenti inorganici provenienti da grotte e fiumi, residui industriali, come gli isolatori elettrici distribuiti nel giardino e utilizzati come basi per sculture, e gli scarti delle manifatture locali. Questi frammenti si inseriscono spontaneamente nell’architettura selvaggia di Jorn, che si concretizza in risposta al funzionalismo e al modernismo architettonico dilaganti, contro il controllo della vita da parte di una società classista e repressiva. All’approccio funzionalista proposto da Le Corbusier, Jorn contrappose una sintesi ispirata agli scritti dello svedese Erik Lundberg, proponendo una visione dello spazio basata sull’esperienza percettiva ed emozionale del fruitore. Il modello architettonico di Lundberg incise profondamente sull’idea del danese di un’architettura irrazionale, caotica e anti-utilitaristica, attraverso la quale giungere alla sintesi delle arti e alla fusione tra arte e vita.
E costruì questa casa tutto da solo?
In realtà no: per dar vita a ciò che Alberico Sala definì “un brandello di Eden”, l’artista si fece aiutare dall’operaio albissolese Berto Gambetta, factotum di Jorn, non solo per ciò che riguardava la costruzione e la manutenzione della casa e del giardino. Infatti, in sua assenza, è Berto a custodire la villa e a mantenere i contatti con artisti e galleristi in visita ad Albisola.
Oggi, i guru del mercato dell’arte lo chiamerebbero “artist liaison”, ma Berto non era soltanto un suo aiutante, era soprattutto un amico intimo dell’artista. L’autenticità di questo sodalizio è così evidente che all’esterno dell’edificio di ponente – dove al piano terra era allestito uno spazio per far vivere Gambetta con sua moglie Teresa Saettone – è posta simbolicamente su un camino la firma di Berto sopra quella di Jorn, realizzate mediante la tecnica ligure del risseu, in cui si alternano ciottoli di mare o di fiume di colore bianco e nero.
Ma è al piano superiore dello stesso edificio che si trova l’atelier di Jorn, la sua stanza della creazione. Due ambienti separati: il primo, più grande e soppalcato, era utilizzato come vero e proprio studio dell’artista; il secondo, più ridotto, era il pensatoio che si affacciava direttamente sul mare attraverso delle finestrelle.
Ancora oggi, questi spazi sembrano inebriati dello spirito creativo dell’artista. Cosa succedeva precisamente all’interno di queste mura?
Jorn predispose questo ampio e luminoso ambiente affinché fosse il suo personale atelier, nel quale dipingeva utilizzando un cavalletto oppure stendendo le tele direttamente a terra. Su alcuni mobiletti e tavolini in legno appoggiava tubetti e barattoli di colore, mentre su una lunga tavola di legno, oggi ancora visibile, appoggiava i dipinti ad asciugare. La tavola conserva i residui degli impasti di colore utilizzati da Jorn.
Come ricorda l’amico Giovanni Poggi – torniante delle Ceramiche San Giorgio, recentemente scomparso – l’atelier era anche il luogo dove si svolgeva la famosa “festa della capra”: ogni volta che Jorn terminava un importante lavoro in ceramica, invitava gli amici e insieme si cucinava e mangiava un capretto, accompagnato da numerose bottiglie di vino e canti di gioia. Per l’occasione, così come a Santa Lucia, Jorn suonava il suo violino, o meglio “strimpellava”, per usare l’espressione riportata dall’amico Giovanni. Sono molti i testimoni dell’epoca a riferire che nelle sue mani lo strumento “parlasse”, “ridesse” e “urlasse”, a seconda dell’umore dell’artista e della situazione.
La piccola stanza adiacente allo studio aveva la funzione primaria di stanza da letto. L’artista trascorreva anche diversi giorni dipingendo senza uscire dalle quattro mura dell’atelier se non per nutrirsi. Sappiamo che, all’occorrenza, dormiva sul soppalco o si riposava nella stanza adiacente affacciata sul Golfo di Savona, utilizzata anche come pensatoio, come dimostrano alcune fotografie che ritraggono il danese intento a scrivere a macchina in questo ambiente.
Dopo la scomparsa di Jorn nel 1973, la proprietà fu donata al Comune di Albissola Marina come segno di riconoscenza per l’accoglienza calorosa e la generosità ricevuta dagli albissolesi.
Ma una postilla nel testamento dell’artista destinò l’usufrutto della casa a Berto e Teresa “per vita naturale durante” come ringraziamento per il loro prezioso aiuto. È quindi partire dal 1999, con la dipartita di Teresa, che si è aperto l’ultimo capitolo della storia di questo luogo, inaugurato con una lunga stagione di restauri conclusi nel 2014.
In cosa si è trasformata oggi la casa di Jorn?
Oggi la casa con giardino e studio di Jorn ad Albissola fa parte di un museo diffuso che si appresta a compiere i primi dieci anni di attività. Le algide pareti dell’atelier e ogni singolo centimetro di questo complesso e programmaticamente imperfetto microcosmo sono stati oggetto degli interventi dei molti artisti che, da ogni parte del mondo, hanno sentito un richiamo e hanno sposato lo spirito ribelle del genio danese.
Tra i tanti artisti e ceramisti che hanno apportato la propria personalissima glossa al manifesto di Jorn sul costruire e sull’abitare ricordiamo Arianna Carossa, Cesare Viel, Loredana Longo, Alessandro Roma, Anders Herwald Ruhwald, Salvatore Arancio, Gianluca Quaglia, Karin Andersen, Giacomo Porfiri, David Adamo, Wolfgang Staehle, Louis Fratino, Andrea Salvatori e più recentemente Tommaso Corvi Mora e Francesca Anfossi.
Casa Jorn è gestita da un’associazione composta da giovani storici dell’arte che, insieme alla direzione scientifica del Museo e ai curatori, hanno lavorato per posizionare la villa come centro di ricerca internazionale e al contempo come museo di comunità, un hub culturale che sempre più si pone come infrastruttura culturale per il territorio, in comunione con gli altri musei e realtà della Baia della Ceramica.
Gabriele Cordì
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