L’Italia è un Paese piccolo. Quasi minuscolo. Eppure capita, per bizzarrie geografiche e orografiche, o banalmente per incomprensibili scelte logistiche e infrastrutturali, che potenziali cuori pulsanti implodano in autentici buchi neri. Vicini eppure lontani. A un passo, ma irraggiungibili. O meglio: non raggiunti. Cremona non fa eccezione. Anzi, può essere assunta a cartolina per la tanta parte di Italia sommersa e invisibile, zavorrata dalla difficoltà di mettere in valore un patrimonio altrove ritenuto giustamente straordinario; che finisce invece svalutato dall’inflazione di bellezze storiche, artistiche e paesaggistiche che condanna il Belpaese al proprio passato.
Cremona sta a un’ottantina di chilometri da Milano. Ma sembrano almeno dieci volte tanto: un’utopia raggiungerla in treno, in auto il viaggio non è dei più agevoli. Cremona è circondata da altre piccole sentinelle di eccellenza: Piacenza, Lodi; un po’ più in là Mantova. Isole nella sempre più irrespirabile Pianura Padana; presidi di qualità che non è facile mettere a sistema, garbato eufemismo che nasconde una tendenza diffusa a quell’autarchia ai più nota come campanilismo.
Cremona soffre il suono ingombrante dei suoi violini: eredità imprescindibile, che riscuote le comprensibili e doverose attenzioni dell’ente pubblico e dei non tantissimi, ma generosi, sponsor della cultura. E che rischia però di zittire altre possibili voci di qualità. In principio un sussurro, poi un canto, infine un coro ben strutturato: il contemporaneo a Cremona batte al ritmo di CRAC, acronimo fortunato per Centro Ricerca Arte Contemporanea, che festeggia, nel 2013, dieci anni di attività. Un caso da studiare, capire e interpretare: CRAC nasce all’interno del Liceo Artistico Statale “Munari”, realtà capace di 800 studenti divisi tra la sede cittadina e quella della vicina Crema. Un numero di iscritti imponente, che non penseresti possibile in una città che a stento supera i 70mila abitanti. Ma che sono reali, e rappresentano un patrimonio di energie potenzialmente inesauribile, se incanalato nella giusta misura e nei giusti spazi. Quelli della scuola certo; ma soprattutto quelli del Teatro Monteverdi e del piacevole cascinale in Borgo Loreto, nella periferia della città: punti dove elaborare e sperimentare senza freni.
E così, seguendo il filo dell’arte, Cremona scopre di non essere poi così lontana dal resto del mondo. Stringe una partnership fruttuosa con quella piattaforma della cultura che è il DOCVA; è presenza attiva nell’orbita ArtHub, con cui collabora all’implementazione di un archivio di video-arte, e che ha portato nelle scorse settimane a una collettiva esposta, in contemporanea, in più punti della città. Ha partecipato ad ArtissimaLido e presentato la propria attività nella sezione Independents dell’ultima Art Verona; accoglie i workshop e le performance di artisti italiani e stranieri: Christian Frosi e Tim Rollins, solo tra i più recenti.
E i soldi? Pochi, pochissimi: il binomio scuola – cultura è in cima alle attenzioni, pare, di pochi. Qualcosa però si muove: cambia il vento in Municipio e si arriva, lo scorso anno, alla firma di un accordo di collaborazione tra CRAC e l’Assessorato alle Politiche Giovanili, che riesce a garantire un pur minimo sostegno ai progetti del centro. Ma come? Per quasi dieci anni l’attività condotta con successo da una scuola pubblica non ha beneficiato di un rapporto di dialogo con il Comune in cui si trova. Già, proprio così. Capita anche questo in Italia, Paese dove un patrocinio può valere oro.
Francesco Sala
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