Fede Galizia, pittrice a Milano di Giuditte e nature morte
Vide la Canestra del Caravaggio, e ne rimase affascinata. Una pittrice barocca figlia d’arte, che divenne celebre nella Milano del tempo per i ritratti, Giuditte e ancor più nature morte
Tra le figure femminili che lasciarono un segno nella storia dell’arte cinque-seicentesca, Fede Galizia rivestì un ruolo importante, seppur solitamente meno conosciuto di altri. Trentina di origini, ma nata e vissuta nella Milano della Controriforma. Si occupò prima di ritratti di nobildonne e personaggi prestigiosi di fine ‘500, per poi dedicarsi alla pittura biblica alle nature morte di frutta. Delle numerose opere che i documenti raccontano, ne rimangono oggi pochi esemplari, dispersi tra musei italiani e internazionali. Rare e preziose occasioni per conoscere il lavoro di uno degli altrettanto rari nomi femminili noti nel panorama dell’Arte Moderna.
Chi fu la pittrice Fede Galizia
Le origini dei Galizia
Ricostruire la biografia di Fede Galizia non è facile: sono poche le notizie sul suo conto. Molte fonti – quando presenti – sono spurie: scritte da mani successive, che confondono le vicende. Di certo si sa che fu figlia d’arte. Il nonno, cremonese d’origini, si trasferì in Trentino. Lì il figlio (nonché padre di Fede) Nunzio Galizia si formò e sviluppò la sua attività di miniatura e incisione. Erano i tempi del Concilio, e Trento era un fermento di committenti nobili ed ecclesiastici, provenienti da tutta Europa. Tuttavia, vista la competizione delle botteghe preesistenti, la città cominciò a essergli stretta; così decise di spostarsi in Lombardia. A Milano. È in questo contesto che crebbe e lavorò Fede Galizia.
Fede Galizia, pittrice di ritratti, Giuditte e nature morte
Per ricostruire l’anno di nascita della pittrice, gli storici sono ricorsi a una delle sue opere. Il Ritratto di Paolo Morigia. Sulla base di questo, ci si può spingere a ipotizzare un periodo tra il 1574 e il 1578. Il luogo è Milano: città in cui il padre si era trasferito, e dove la pittrice passò probabilmente tutta la vita. Fino a spegnersi, a causa della peste che decimò gli abitanti nel 1630.
Si formò nella bottega di famiglia, apprendendo prima incisione e miniatura, per poi dedicarsi alla pittura. Tra le sue prime opere, si ricordano una serie di ritratti: dei genitori, di intellettuali in vista cittadini (tra cui il citato Paolo Morigia), e di alcune nobildonne. Tutti oggi pressoché perduti.
Una prima novità introdotta da Fede Galizia fu la tematica delle Giuditte con la testa di Oloferne. Le sue (almeno) sei versioni aprirono la strada a un soggetto poi interpretato da altre artiste a lei di poco successive, tra cui la ben nota Artemisia Gentileschi.
Il suo secondo grande contributo proviene dalle nature morte. Ispirate probabilmente a Caravaggio e alla pittura fiamminga, riproducono una realtà sì raffinata, ma con indizi di caducità e bellezza che sfiorisce avvicinabili a quelle della Canestra.
Le opere della pittrice Fede Galizia
Il Ritratto di Paolo Morigia
Uno dei lavori più importanti della pittrice sopravvissuti ai secoli è il ritratto conservato alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano. Si tratta dell’effigie dello storico e gesuita Paolo Morigia: membro di spicco della società milanese dell’epoca. Uomo assai colto – come ben si intende dai libri e dal materiale scrittorio posto sulla sua scrivania – è raffigurato con grande attenzione ai dettagli. Tali minuzie, che arrivano fino a riprodurre la finestra riflessa sulle lenti degli occhiali nella sua mano, testimoniano la conoscenza di Galizia della pittura fiamminga.
L’opera è particolarmente rilevante come documento storico sulla sua vita. È guardando il titolo del volume dipinto (uno scritto di Morigia stesso del 1592) e leggendo sul manoscritto lì accanto che la tela fu eseguita dall’artista diciottenne, che si può ricostruire un’approssimazione sulla sua nascita.
Giuditta con la testa di Oloferne
La seconda sua opera più celebre riprende una tema molto ricorrente tra i committenti del ‘500: Giuditta che taglia la testa al generale Oloferne. Anche Caravaggio qualche anno dopo avrebbe realizzato la sua versione. La tela della pittrice si differenzia nell’attenzione privilegiata non all’espressività drammatica della protagonista – che appare inverosimilmente composta – ma piuttosto alla ricchezza dell’abbigliamento e dei gioielli. La sua Giuditta è prima di tutto una nobildonna, vestita di sete damascate e gemme preziose.
Le nature morte di Fede Galizia
All’epoca di Galizia, la natura morta si stava affermando come genere sempre più richiesto per le collezioni dei nobili, seppur ancora inferiore ad altri temi tradizionali. Anche la pittrice, a un certo punto della sua carriera, cominciò a cimentarvisi, forse ispirata a quei primi tentativi di riprodurre le cose inanimate. Tra i modelli che poteva aver visto circolare nella scena artistica milanese, c’era ad esempio Arcimboldo con le sue composizioni vegetali antropomorfizzate. Oppure i vasi di fiori e oggetti quotidiani dei pittori fiamminghi, tra cui quelli di Bruegel il Vecchio, che già allora erano parte della collezione del Cardinale Borromeo – futura Pinacoteca Ambrosiana. La risorsa più importante fu però la Canestra di frutta del Caravaggio, anch’essa nella raccolta borromea dal 1599.
Rispetto a tutte queste, le nature morte di Fede Galizia si distinguevano per una certa eleganza ed essenzialità nella composizione. Pochi soggetti – in genere frutta, fiori, e un’alzatina da tavola – fondo scuro, e un’aria di bellezza sull’orlo del disfacimento. Quadri che intendevano fare da metafore della caducità della vita.
Emma Sedini
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