Libertà e rivoluzione. C’è una grande mostra di Carla Accardi a Roma
Circa cento opere al Palazzo delle Esposizioni di Roma celebrano la grande astrattista Carla Accardi nel centenario della sua nascita. Ripercorrendone carriera, innovazioni e rivoluzioni
Colore, sperimentazione, luce, libertà, impegno sociale. Questi sono solo alcuni degli elementi che compongono la più grande mostra antologica mai dedicata a Carla Accardi (Trapani, 1924 – Roma, 2014), l’artista che ha consacrato l’astrattismo italiano nel dopoguerra. A cento anni dalla sua nascita, il Palazzo delle Esposizioni di Roma celebra la pittrice siciliana attraverso una grande retrospettiva visitabile dal 6 marzo al 9 giugno 2024. La rassegna ripercorre l’intensa produzione artistica continuamente ridefinita da Carla Accardi attraverso una ricerca incessante, scandita da scelte radicali e sperimentali che hanno contribuito in maniera significativa alla nascita e allo sviluppo di nuovi modi di intendere l’opera d’arte in Italia. Nata a Trapani, scelse Roma per mettere alla prova il suo talento avvicinandosi al gruppo Forma 1 (formato da artisti come Attardi, Turcato e Sanfilippo che sposerà nel 1949), un collettivo che sfidò le convenzioni ponendo le basi per un’arte nuova fondata sul linguaggio astratto.
La mostra di Carla Accardi a Roma
All’interno delle sette sale del piano nobile circa cento opere (datate dal 1946 al 2014) dialogano e si articolano in un percorso cronologico che racchiude porzioni di allestimenti concepiti dalla stessa Carla Accardi. La riscrittura espositiva, ideata dalle curatrici Daniela Lancioni e Paola Bonani, segue la stessa libertà che animò le scelte espressive dell’artista nell’innovativo rapporto tra le opere d’arte e lo spazio che le accoglieva, una sorta di pittura-ambiente che ha scardinato vecchie convenzioni a favore di nuove pratiche e innesti progettuali.
L’esposizione capitolina accompagna il visitatore in un viaggio che dalle fasi germinali dei primi lavori dell’artista, nei quali la rappresentazione mantiene ancora dei riferimenti realistici e figurativi, approda ad una scomposizione della materia in cui ogni rimando all’oggetto reale lascia il posto ad una originale ridefinizione del segno.
Due Autoritratti e le opere d’esordio di una giovanissima Accardi aprono il percorso, mentre la Natura morta definita da intrecci di colore e vividi contorni rimanda a Guttuso, Severini e ai virtuosismi grafici del Futurismo. Vista su campo da tennis, il piccolo dipinto del 1947 pubblicato in bianco e nero nella rivista Forma (mai esposto prima d’ora, né mai pubblicato a colori) evidenzia il contrasto tra i colori complementari del campo, degli alberi e delle superfici. Le Scomposizioni del 1947 testimoniano il veloce evolversi della sua pittura, una metamorfosi che si rincorre lungo le pareti della sala toccando ritmi vorticosi di colore e forme che diventano sempre più nitide e scariche di pigmenti fino ad un groviglio di segni definiti solo da forti contrasti di bianco e nero.
I capolavori di Carla Accardi a Palazzo delle Esposizioni
La mostra prosegue con le opere più conosciute della pittrice, realizzate tra il 1955 e il 1961. Questi lavori dominati dal bianco e nero definiscono alcuni dei simboli ricorrenti nella cifra stilistica dell’artista, segni che si rincorrono, si aggregano e si sovrappongono con vitale esuberanza, creando un linguaggio di codici che rappresentano “l’Impulso vitale che è nel mondo” come la stessa Accardi raccontò a Vanni Bramanti nel 1982. In Rossoverde e Verderosso del 1936, dominati da segni verdi su fondo rosso e viceversa, l’alternanza raddoppia i contrasti e l’esplosione del colore corrisponde ad una semplificazione del segno: ora più sottile e calligrafico. La rotonda di Palazzo delle Esposizioni ospita invece la Triplice tenda, un’opera suggestiva del 1969-1971 oggi conservata al Centre Pompidou di Parigi, un ambiente intimo che concilia l’integrazione tra la pittura e lo spazio e si apre ad una dimensione non più evocata ma abitabile.
L’incursione ambientale prosegue attraverso opere che sembrano sondare lo spazio, come Tre triangoli del 1972 o Moltiplicazione verdeargento un grande dipinto che racchiude la metamorfosi del linguaggio visivo dell’artista: in quest’opera, il segno reciso e frammentato si ripete in sequenze che ricordano la resa del movimento nei dipinti di Giacomo Balla.
Carla Accardi, dagli Anni Settanta al nuovo millennio
L’ingresso della sala cinque è stato riconfigurato in modo da ricreare un ambiente fedele a quello comparso nella fotografia scattata nella sede della cooperativa di via Beato Angelico per immortalare Origine, il lavoro che diede il titolo alla personale di Carla Accardi del 1976. Presentata oggi come è stata ideata dall’artista, l’opera rimanda a un attraversamento accostabile all’autocoscienza sperimentata dall’artista con Rivolta Femminile, il gruppo femminista del quale è stata co-fondatrice.
La sala successiva continua a ricalcare la scrittura espositiva fedele a quella dell’artista. L’ambiente, infatti, riproduce la sala personale allestita da Accardi alla Biennale di Venezia del 1988 e rappresenta una summa dei suoi lavori più significativi degli Anni Ottanta, tra i quali Grande dittico del 1986, Animale immaginario del 1987 e Grande capriccio viola del 1988. Il percorso si conclude con le opere risalenti agli Anni Novanta e Duemila, tutti lavori in cui i fondi e lo spazio si rivoluzionano: Grande bianconero, Grande nerobianco, Movenze notturne, Segni e forme sono opere animate da un dinamismo che raddoppia i piani, mentre il colore traccia appena un frammento; Carla Accardi sembra citare se stessa, in sintesi, definendosi all’interno di una dinamica del segno che rappresenta un linguaggio, tra i più innovativi, attuali e ancora oggi rivoluzionari.
Nadia Gardini
[artirubne_eventi]
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati