Tra arte, cinema e sperimentazione. Miranda July è in mostra a Milano
La prima mostra retrospettiva mondiale dedicata all’artista, regista e attrice, tra femminismo, estetica del controllo, narcisismo. All’Osservatorio della Fondazione Prada nella Galleria Vittorio Emanuele II di Milano
Il punto di partenza è semplice, il percorso che ne è seguito è complesso e l’attuale punto di approdo apre prospettive tra le più effimere. Miranda July (Vermont, 1974) è cresciuta a Berkeley vive e lavora a Los Angeles. Regista, attrice, scrittrice, performer, creatrice di contenuti web viene identificata dalla critica come artista femminista e a volte tacciata di insopportabile narcisismo. Ma, come detto, una identificazione precisa è assai difficile. July ha scritto, diretto e recitato in Me and You and Everyone We Know (2005) Caméra d’Or al Festival del Cinema di Cannes e premio speciale della giuria al Sundance festival, poi è arrivato in The future è del 2011, mentre Il suo film più recente è Kajillionaire del 2020.
Con questa prima retrospettiva mondiale, accompagnata da una retrospettiva integrale della filmografia dell’artista al Cinema Godard della Fondazione, l’Osservatorio di Fondazione Prada risulta fedele alla sua missione di spazio dedicato alla sperimentazione di linguaggi visivi e alla loro intersezione con la tecnologia. Miranda July: New Society curata da Mia Locks allinea a partire da Prime performance (1997), cortometraggi, performance e installazioni dislocate su due piani. A fianco di ogni schermo che trasmette i lavori video in modo crudo sono esposti oggetti di scena, costumi e documenti d’archivio.
La mostra dedicata a Miranda July
Ma è nel piano superiore che compare F.A.M.I.L.Y. (Falling Apart Meanwhile I Love You): si tratta di un’installazione video multicanale distesa su nove schermi. F.A.M.I.L.Y. è il punto partenza ideale per avvicinare i temi presenti in molti altri progetti di July. In questo lavoro costruito tra il 2020 e 2024 è documentata la collaborazione tra July e sette performer reclutati su Instagram; a loro July ha fornito una serie di istruzioni del tipo “sfidami a livello fisico e intimo”oppure” crea “forme confuse e meno umane con il tuo corpo”. I partecipanti hanno poi inviato i loro video in risposta e July li ha riunti virtualmente nel suo studio: lo ha fatto con un editing ottenuto grazie una app gratuita di solito utilizzata dal figlio adolescente per comunicare attraverso TikTok. A posteriori si è aggiunto il lavoro del sound designer con cui l’artista collabora per i suoi film. Il risultato è un susseguirsi di performance surreali dove corpi diversi si fondono con risultati intimi e inediti.
Quella del controllo attraverso richieste rivolte ai partecipanti è una modalità che l’artista aveva già utilizzato in Learning to love You More (2002-2009) un sito web realizzato con Harrell Fletcher (Usa, 1967) attraverso settanta incarichi creativi. Ma la stessa cosa seppure in modalità differenti accadeva in Eleven Heavy Things, un gruppo di sculture da esterno presentate alla Biennale di Venezia nel 2009: in questo caso il fruitore per poter interagire con l’opera “doveva” infilare arti o viso in appositi fori o compiere altre azioni suggerite.
La partecipazione di July alla Biennale di Venezia
Come allora anche F.A.M.I.Y.L.Y. prende in esame le logiche di relazione fra individui. Logiche che nella maggior parte delle opere di July sono sbeffeggiate. Tutto il corpus del suo lavoro affronta le dinamiche di potere: tra dilettati e professionisti (The Amateurist, 1997), tra artista, pubblico e opera (The crowd, 2004). Il femminismo che la curatrice nei suoi testi di accompagnamento sottolinea più volte è inteso da July come impegno per la condivisione del potere tra individui, un modo di riferirsi alla realtà decisamente più ampio che lo scontro o la semplice rivendicazione. Già nel 2015 con New Society July ha dato vita a un esperimento sociale dal vivo durante il quale il pubblico veniva invitato “ a restare in teatro per il resto della propria vita e formare una nuova società”. In mostra all’Osservatorio di fianco al video compaiono bandiere fatte confezionare in quelle occasioni e otto camicie verdi ritagliate durante le otto repliche tenute alla Brooklyn Accademy of Music a New York. E i pantaloni neri sporcati e strappati durante la performance.
Tra Miranda July e Cindy Sherman
Come detto Miranda July è stata tacciata di narcisismo: la presenza fisica dell’artista è difatti una costante delle sue opere. Esattamente come accade a un’altra artista femminista interessata alle dinamiche di potere come Cindy Sherman. In occasione della mostra, Fondazione Prada presenta una pubblicazione che include una lunga conversazione proprio tra July e Sherman: è intitolata Andare in pezzi. Anche in questo caso siamo di fronte a un progetto collaborativo in questo caso espresso in forma cartacea. Le due artiste si sovrappongono in considerazioni sul modo in cui la loro arte coinvolge il proprio corpo, sull’aging, sull’utilizzo dell’AI, sul rischio e la paura. Si tratta di una quindicina di pagine imperdibili e agghiaccianti che si concludono così: Miranda July: “Rischiare è un gesto quasi sacro. Rischiare e lasciare che le cose facciano il loro corso”. Cindy Sherman: “Lasciare che tutto vada a pezzi”.
Aldo Premoli
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