Sotto gli ombrelloni giravano le cifre fin dalla mattina presto, più veloci dell’Ansa: “Oggi siamo quasi a quota 500, sopra 530 falliamo…“. In questi mesi ci siamo concentrati su numeri eterei, che purtroppo però nascondono un’insidia reale.
Lo spread è soprattutto estetico e culturale, rispetto ai cugini tedeschi, olandesi, belgi o inglesi. È quindi ancora più pericoloso dell’enorme debito, che coltiviamo con passione. Non abbiamo voluto cambiare culturalmente il Paese e siamo rimasti nei mitici Anni Ottanta del villaggio vacanze Italia, tra Cortina, Vanzina, Cecchetto ed El Charro. Quando Tony Blair lanciava la Cool Britannia, con due parole definiva un programma politico. Oasis e brit artist sono stati i portabandiera di un’Inghilterra contemporanea e pronta a guidare, nuovamente, il mondo. Culturalmente. Che significa farlo anche economicamente e socialmente.
La nostalgia dell’immaginario dei nostri nuovi e vecchi decisori mina qualsiasi possibilità di ripartenza. L’Italian Style vive gli ultimi lasciti della Dolce Vita. Un film ha fatto di più di tutte le campagne adv dei vari ministeri. E noi siamo qui ancora a pensare al quadretto sulla parete del museetto di provincia con conseguenti polemichette. La provincia slitta e si fa sempre più periferia. La riduzione dello spread è in capo a tutti coloro che creano l’immaginario di questo Paese. A tutti gli operatori culturali, ancor più che a quelli politici.
Dobbiamo rompere le scatole, rischiare e non autoreferenziarci nei nostri 8.155 comuni. Il debito è di tutti, anche se ci è stato lasciato in eredità. Dobbiamo portarci nel mondo, costruire – sulle nostre mille identità – una identità contemporanea. L’unico che c’è riuscito? Oscar Farinetti con Eataly. Ha ridotto il folclore enogastronomico a una cosa che funziona. Con i codici di oggi e non dei consorzi di trent’anni fa. Nella cultura ce la faremo?
Cristiano Seganfreddo
direttore del progetto marzotto e di fuoribiennale
docente di estetica in design della moda – politecnico di milano
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #9
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