I limiti del linguaggio. Intervista all’artista Clarissa Baldassarri
La giovane artista Clarissa Baldassarri esplora le dimensioni del fraintendimento e dell’incongruenza tipiche della trasmissione del linguaggio. L’abbiamo incontrata per parlare del suo lavoro
Per Clarissa Baldassarri (Civitanova Marche, 1994) il linguaggio è strumento per disorientarsi. L’artista ne sfrutta il potenziale visivo, quasi grafico; ma al tempo stesso ne cavalca le contraddizioni, le sfasature, le crepe. La parola scritta non chiarisce, bensì complica: le sue opere, in particolar modo le più recenti, sembrano frutto di un fraintendimento, un “lost in translation” pieno di incongruenze felici. Baldassarri ingaggia con il pubblico un confronto intimo che tocca questioni esistenziali – su tutte la religione – attraverso l’utilizzo disinvolto di media come installazione, video, performance. Ne nascono opere che mettono in luce la frammentarietà della società contemporanea e, insieme, il nostro desiderio – ossessivo e quasi disperato – di accumulare e contenere quante più informazioni possibili.
Intervista a Clarissa Baldassarri
Ho l’impressione che molte delle tue opere nascano da una volontà di mappare, campionare, catalogare, in modo analitico e insieme ossessivo. Da dove deriva questa urgenza?
È un’urgenza che nasce in risposta a un altro tipo d’urgenza. Anche se non emerge in primo piano, molti dei miei lavori hanno una radice performativa, che spesso e volentieri viene sottratta alla visione del pubblico. L’archivio, la parola incisa, le stampe sono spesso le immagini ultime di viaggi, percorsi, azioni effettuate decontestualizzando o decostruendo mezzi a nostra disposizione. L’obiettivo è quello di restituire in una forma visibile testimonianze, tracce di una nuova interpretazione della realtà attivando nel pubblico dei cortocircuiti visivi e concettuali.
Nella recente serie Nome comune di cosa, per esempio, le frasi che troviamo incise sugli oggetti – anche se a primo sguardo sembrano frasi pensate appositamente per quella specifica cosa – sono in realtà il risultato finale della traduzione del nome comune dell’oggetto dopo aver attraversato tutte le lingue disponibili su Google Translate, sfruttando l’errore di generazione del sistema stesso.
In effetti la parola scritta ricorre spesso nel tuo lavoro, ma con una “funzione” spaesante, come a voler mettere in evidenza i limiti del linguaggio e della comunicazione.
Sì, esatto. Gli ultimi progetti a cui sto lavorando evidenziano i limiti del linguaggio e della sua trasmissione in riferimento a un’epoca in cui stiamo facendo dell’intelligenza artificiale e dei mezzi tecnologici le basi per costruire una contemporanea Torre di Babele. L’era dell’iper-comunicazione ci illude di poter eliminare le distanze attraverso l’accelerazione temporale, ma mentre il tempo corre veloce nello spazio digitale, la realtà resta immobile nella sua forma tangibile e con essa, il nostro punto di vista. È proprio in questa sottile quanto invalicabile e permanente distanza che la parola, sia essa restituita tramite la scrittura o attraverso l’audio, è presente nel mio lavoro.
L’utilizzo della parola scritta e la riflessione sul linguaggio hanno una lunga tradizione nell’arte contemporanea. Ci sono artisti – o autori in altri ambiti – che hanno segnato la tua ricerca?
Certamente. Il segno più importante l’ha lasciato lo studio della “Parola”, teologicamente parlando. Molti miei lavori partono dallo studio e dall’analisi di passi biblici, che sono stati fonte d’ispirazione per diversi progetti, e dall’approfondimento di opere letterarie di autori come il teologo e matematico Pavel Florensky. Nella formalizzazione del lavoro non posso non citare come punti di riferimento gli artisti italiani Alighiero Boetti, Piero Manzoni e Giovanni Anselmo, un’altra grande perdita per il mondo dell’arte.
L’inaugurazione di una tua recente mostra coincideva anche con il giorno della sua chiusura. Puoi raccontare quest’esperienza?
A novembre del 2022 occupai per un intero mese lo spazio della Galleria Gian Marco Casini di Livorno per realizzare, a porte chiuse, un affresco di 8 metri per 80 centimetri, mai esposto nella sua interezza. Il giorno dell’inaugurazione, coincidente con il giorno di chiusura, esposi al pubblico solamente un frammento dello stesso e due lavori: il dittico fotografico L’attimo prima dell’inizio e subito dopo la fine e il frottage da cui prende il titolo la mostra, Quanto dura una giornata, come uniche testimonianze dell’avvenuta azione nella galleria nei giorni precedenti.
Le ragioni di questa scelta coincidevano con le motivazioni alla base del progetto: indagare la durata in relazione al quotidiano e la questione della frammentazione temporale attraverso la decostruzione della tecnica classica dell’affresco. Secondo i manuali, il pittore, prima di procedere con la pittura, doveva pianificare la porzione di muro che riusciva a dipingere in un giorno prima che lo strato di intonachino si asciugasse del tutto. Queste porzioni di spazi prendevano tecnicamente il nome di “giornate” e le giunture tra una giornata e l’altra venivano abilmente nascoste nella visione finale dell’opera, come a voler cancellare il tempo. Nel progetto espositivo Quanto dura una giornata, questo processo è stato ribaltato dando valore non più all’opera finale, ma al frammento, alla singolarità, agli unici “spazi di giornate” che, estirpati dal loro insieme, mettono in discussione la linearità del tempo confondendo il vero con il falso, l’inizio con la fine, il prima con il dopo, l’interezza con l’unità.
Se provi a immaginare il tuo percorso, cosa ti auguri in prospettiva? E cosa vorresti evitare?
Mi auguro di continuare a essere sempre fedele e autentica. Di continuare a incontrare lungo il mio percorso persone meravigliose che condividono la mia stessa passione, determinazione e spirito di sacrificio che l’arte richiede. Di saper essere in grado di riconoscere le situazioni e le circostanze da evitare e rifuggire, affinché non tradisca mai me stessa e il mio lavoro inseguendo le richieste o le mode del mercato a discapito della ricerca e dell’espressione artistica che hanno, al contrario, esigenze e tempi ben diversi.
Essere artista (emergente) in Italia, oggi: quali sono le opportunità e le difficoltà che stai incontrando?
Penso che il nodo sia proprio nel fatto che le difficoltà sono spesso nascoste nelle opportunità. “Fare carriera” è un aspetto che non do mai per scontato e sono grata e onorata per ogni invito che ricevo. Ma organizzare il quotidiano in attesa di essere accettata e invitata, a volte è impossibile. E questo è destabilizzante e frustrante. Per sostenere le spese dell’affitto di una stanza, di uno studio, di libri, materiali, e spostamenti ho sempre dovuto fare parallelamente la cameriera, la barista, l’insegnante o addirittura più lavori insieme. Troppe spese fisse e continue nella vita di tutti i giorni che contrastano con un sistema artistico basato principalmente su opportunità occasionali e con amministrazioni poco trasparenti. Sarebbe bello poter avere degli aiuti statali per svolgere serenamente e liberamente il nostro lavoro come in altri Paesi ma, fin quando questo in Italia non sarà possibile, sarò disposta a fare tutti i sacrifici del mondo per continuare a perseguire questa inclinazione a cui è impossibile sottrarsi.
Chi è Clarissa Baldassarri
Clarissa Baldassarri è nata a Civitanova Marche nel 1994. Dopo aver studiato Decorazione all’Accademia di Belle Arti di Macerata, nel 2017 si trasferisce a Napoli per concludere gli studi in Scultura. Nello stesso anno vince il Premio Quarelli con l’opera Limite cieco, entrando a far parte della collezione permanente del Parco Quarelli. Attualmente vive a Livorno e, dal 2018, è rappresentata dalla Gian Marco Casini Gallery.
Tra i progetti personali si segnalano: Alla fine della fiera, Liste Art Fair, Gian Marco Casini Gallery, Basilea (2023); Lo Spazio della durata, Linea project, Lecce (2022); Riflesso silenzioso di una sonora immagine, Una Boccata d’Arte, a cura di Fondazione Elpis e Galleria Continua, Castellaro Lagusello (MN) (2020). Tra le recenti mostre collettive: Visibilia, Museo d’arte Contemporanea Villa Croce, Genova (2023), Pebble in the Sky/Lodi Basél, Casa studio Carlo Orsini, Lodi (2023); Kárusiäll, Jet leg residency program, Lothringer 13, Monaco di Baviera (2022); Ora, Ambasciata Italiana della Santa Sede, Palazzo Borromeo, Roma (2021); Rilevamenti 2, CaMusAC, Cassino (2020). Tra i premi: Ala for Art Prize, finalista (2022); Level 0 Art Verona, selezionata dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (2021); Ducato Prize, vincitrice sezione Accademia (2020).
Saverio Verini
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