Rigenerazione urbana nei piccoli centri: intervista a Ringscape Architecture
Fino al 24 marzo 2024 un piccolo comune marchigiano ospita la seconda edizione del festival di rigenerazione urbana curato dal collettivo Ringscape Architecture. Alla base del progetto si pone un’esperienza di progettazione partecipata promossa per ridefinire lo spazio pubblico locale
Giovani, entusiaste e con grande capacità di ascolto. Sono Ludovica Medori e Giorgia Pierleoni, architette fondatrici del collettivo Ringscape Architecture. Entrambe laureate alla Facoltà di Architettura a Ferrara, hanno trascorso una parte degli studi all’estero grazie al progetto Erasmus+, all’HFT di Stoccarda (Ludovica) e alla Technische Universität di Vienna (Giorgia); le esperienze fuori dal Bel Paese sono proseguite anche dopo la formazione, con tappe a Rotterdam, Londra e Madrid. Il loro lavoro si concentra soprattutto su progetti di rigenerazione urbana e interventi temporanei che coinvolgono spazi pubblici; si occupano anche di architettura pubblica e privata. Si sono aggiudicate il bando Next Generation Schools, promosso dalla Fondazione Compagnia di San Paolo, e nel comune marchigiano di Casette d’Ete (Fermo) curano il festival di rigenerazione urbana Casette ON(la seconda edizione si svolge dal 18 al 24 marzo 2024). La prima edizione dell’iniziativa ha vinto nel 2022 il premio nazionale Idee per un mondo che cambia dell’AIDIA – Associazione italiana donne ingegneri e architetti. Si tratta di un esempio virtuoso di progettazione partecipata e di un processo di riappropriazione dello spazio pubblico da parte dei cittadini, che ci siamo fatti raccontare direttamente dalle progettiste.
Intervista alle architette Ludovica Medori e Giorgia Pierleoni
Come nasce Ringscape Architecture?
Ci siamo conosciute all’università; a Ferrara abbiamo trascorso cinque anni di studio fianco a fianco. Al termine del percorso universitario abbiamo deciso di sviluppare la tesi di laurea insieme, occupandoci della riqualificazione di Schwedenplatz-Morzinplatz, un’area urbana problematica di Vienna situata tra la periferia e il centro città. Un progetto al limite tra rigenerazione urbana e pianificazione urbanistica, che ha messo in luce i nostri interessi comuni e la nostra sinergia lavorativa.
Come avete scelto il nome Ringscape?
Proprio dalla nostra tesi di laurea: l’area sulla quale abbiamo lavorato si trova lungo la Ringstraße di Vienna. Visto che il progetto, con il suo mix di scale di intervento da quella architettonica a quella urbana, ci rappresenta molto, abbiamo mutuato il nome da quel nostro punto di partenza.
Cosa è successo dopo la tesi?
Ci sembrava un peccato che finisse tutto così. Quindi ci siamo mobilitate per cercare un modo di promuovere il progetto. Così facendo, l’Agenzia della Mobilità di Vienna (Mobilitätsagentur Wien) ci ha chiesto di esporre i risultati della nostra ricerca: li abbiamo presentati durante il festival urbano viennese Radsommer am Donaukanal, oltre ad aver organizzare attività di partecipazione con i cittadini.
Sono sorte azioni concrete dopo questo evento?
Il nostro progetto aveva l’obiettivo di offrire una proposta progettuale alternativa a quella approvata dal Comune di Vienna, ad oggi non ancora realizzata (si tratta del concorso di idee Neugestaltung Schwedenplatz, 2016), e di risolvere la complessità di quel luogo lavorando su più livelli. Per noi era importante innescare un cambiamento e sensibilizzare gli enti pubblici e gli utenti riguardo all’area e alle sue problematiche. Durante il festival ci siamo rese conto di come i cittadini stessi fossero inconsapevoli del valore di molti degli edifici e degli spazi preesistenti. Per noi il lavoro relativo alla tesi si è concluso con queste attività, ma dal 2016 sono state realizzate molte delle azioni che avevamo anticipato, seguendo peraltro un trend ormai diffuso nelle città europee in genere, come la pedonalizzazione di strade carrabili e l’inserimento di verde pubblico in spazi urbani altrimenti dedicati alla mobilità su gomma.
Avete ulteriormente lavorato in Austria?
Abbiamo continuato a collaborare con l’Agenzia della Mobilità di Vienna, realizzando un’installazione temporanea l’anno successivo: il Green Pavilion, con cui abbiamo affrontato insieme agli abitanti di Vienna il tema della multiculturalità e delle migrazioni, molto attuale in Austria e non solo. Il progetto è stato anche presentato al MAO – Museo di Architettura e Design di Lubiana, in Slovenia, al festival organizzato dalla Future Architecture Platform, la prima piattaforma europea sull’architettura.
La rigenerazione urbana secondo Ringscape Architecture
Vi definite “laboratorio di architettura”: è una dichiarazione di intenti?
Il nostro approccio è sicuramente molto laboratoriale e meno autoriale e dogmatico: la definizione segue la nostra visione. Va aggiunto però che al momento ci occupiamo entrambe anche di altri progetti e singolarmente abbiamo collaborazioni con altri studi di architettura.
In Italia è ancora complicato trovare un equilibrio economico occupandosi principalmente di spazio pubblico e rigenerazione urbana?
Certamente le collaborazioni esterne che abbiamo seguono un’esigenza soprattutto pratica ed economica, ma non solo. Siamo giovani e pensiamo che sia giusto fare esperienza anche come architetti nel senso più tradizionale, per poi trovarci ancora più preparate alle opportunità e sfide che troveremo in futuro.
Avete vinto il bando Next Generation School. Cosa ha significato per voi?
Si trattava di un progetto molto interessante per l’Italia. Di fatto le scuole avevano noi a disposizione come architetti specializzati nella progettazione partecipata di spazi educativi, con fondi stanziati ad hoc. Purtroppo, però, dpo aver vinto il bando, non c’è stato un seguito: anche se le scuole avevano questo bonus a disposizione, dovevano essere direttamente loro a contattarci, ma non è successo. Non sappiamo se questi fondi siano stati utilizzati, probabilmente le scuole per prime hanno avuto difficoltà a inquadrare questa figura professionale ancora poco radicata nel nostro Paese, molto legato alla figura dell’architetto progettista tradizionale.
Il progetto “Cartoline di architettura” lo avete invece realizzato per Open Studi Aperti, l’iniziativa diffusa del Consiglio Nazionale Architetti PPC.
In quel caso, l’obiettivo era avvicinare il più possibile l’architettura ai non addetti ai lavori. Abbiamo quindi deciso di creare una mostra diffusa, contaminando la città con cartoline contenenti progetti e citazioni di architetti che hanno ispirato noi per prime, esponendo immagini e parole sulle vetrine di negozi e bar. Un dato interessante: sebbene nella provincia di Fermo questa sia stata l’unica iniziativa presente, abbiamo riscontrato grande curiosità e interesse da parte della comunità. È un punto di partenza importante.
Nella Marche il festival di rigenerazione urbana “Casette On”
È alle porte la seconda edizione del Festival di rigenerazione urbana Casette On. Ci raccontate la sua genesi?
Nel 2022 siamo state contattate dal Centro Giovanile di Casette d’Ete (una frazione del Comune di Sant’Elpidio a Mare, in provincia di Fermo) e dalla cooperativa sociale EraFutura: ci hanno incaricato di sviluppare un progetto di riqualificazione della piazza centrale del paese, intitolata a Mazzini. Il Centro affaccia proprio sulla piazza e aveva la necessità (acuita dalla pandemia) di disporre di uno spazio esterno in cui svolgere attività all’aperto. Un tempo frequentata e amata dai cittadini, la piazza si trovava in uno stato di incuria e abbandono totale; si era trasformata negli anni in un parcheggio a cielo aperto. Era completamente colonizzato dalle automobili.
Come avete agito?
Piuttosto che realizzare una proposta progettuale di tipo top-down, abbiamo iniziato con un percorso di ascolto degli abitanti, realizzando un festival urbano partecipato per raccogliere le loro opinioni; è seguita una fase di restituzione ai cittadini, alle associazioni coinvolte e al Comune, nel marzo dell’anno scorso. Abbiamo proceduto in maniera inclusiva, ascoltando le voci di tutti, attraverso sondaggi digitali e cartacei, laboratori creativi e attività di ascolto informale, perché potessero emergere nuovi scenari. Nei nostri progetti cerchiamo sempre di valorizzare il potenziale invisibile dei luoghi: in questo caso abbiamo puntato sulla somiglianza tra Casette d’Ete, una frazione di circa 3.000 abitanti che può essere attraversata a piedi in 11 minuti, e la (oggi tanto agognata) “città dei 15 minuti”.
Cosa succederà nell’edizione 2.0 di “Casette On”?
Si tratta di un importante momento di evoluzione del percorso iniziato due anni fa: utilizzeremo la realtà aumentata e un modellino realizzato in stampa 3D per far esplorare agli abitanti una possibile configurazione della loro piazza del futuro, nata dalle considerazioni e idee emerse durante la prima edizione del festival. Ma soprattutto l’evento sarà accompagnato dalla pedonalizzazione, autorizzata dal Comune, di una porzione di piazza, che verrà quindi chiusa alle auto in maniera permanente: un primo passo verso la totale riappropriazione di piazza Mazzini da parte dei cittadini. Sarà anche una grande festa per celebrare i primi dieci anni del Centro Giovanile, con un ricco programma di attività, tra cui un talk in cui verranno presentati esempi di rivoluzioni urbane per piccoli luoghi.
Cosa augurate all’architettura italiana del futuro?
Speriamo che si avvicini di più alle persone, aprendosi con curiosità ad altri modi di fare architettura, oltre a quello più strettamente tradizionale. Nuove pratiche e metodologie sono ormai prassi in tanti paesi europei e extraeuropei, ma sono ancora poco diffuse in Italia, soprattutto nei piccoli comuni. Grazie a questi strumenti di partecipazione attiva e di interdisciplinarietà è possibile riportare le persone al centro del progetto, che sia pubblico o privato: l’architettura diventa così veicolo di vero cambiamento. Lavorando e confrontandoci spesso con contesti internazionali ci siamo davvero rese conto del grande potenziale che c’è in Italia da mille diversi punti di vista. Basta davvero poco per valorizzarlo: facciamolo!
Silvia Lugari
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