L’avanguardia ucraina del primo Novecento in mostra a Vienna 

La grande mostra al Museo Belvedere di Vienna è l’occasione per scoprire un’avanguardia pittorica dimenticata, che si sviluppò nell’Ucraina del primo Novecento fondandosi su ideali di libertà e indipendenza

Fra il primo e il terzo decennio del Novecento, l’Ucraina visse una stagione di grande vivacità artistica, in grado di “rivaleggiare” con realtà europee come Italia e Francia. Le radici cubo-futuriste e il movimento Fauve divennero il punto di partenza per un’arte capace di raccontare un popolo e la sua cultura. In the eye of storm. Modernism in Ukraine, ampia mostra antologica in 130 opere ospitata dal Belvedere Museum, riscopre quella vivace stagione culturale. 

Le radici dell’avanguardia ucraina 

La pittura ucraina d’avanguardia ha poco note radici femminili; merito della mostra viennese è infatti quello di presentare opere di Alexandra Aleksandrovna Exter (Białystok, 1882 – Fontenay-aux-Roses, 1949), formatasi alla Scuola d’Arte di Kyiv e che soggiornò più volte a Parigi a partire dal 1906, dove conobbe i pionieri del Cubismo e del Futurismo, fra cui Soffici, Boccioni e Severini; ispirata anche dall’arte popolare ucraina che aveva conosciuto dalla collezione di Natalia Davydova, fu lei a creare i presupposti per un’avanguardia che si rifacesse nei soggetti alla tradizione locale, anche se non disdegnò, ad esempio, le vedute urbane. Pur assai dinamici nel rapporto spazio/forma, i suoi dipinti mantennero sempre una certa distanza dai concetti di energia e velocità tanto cari ai futuristi, per rimanere quasi sempre ancorati alle atmosfere dell’Ucraina popolare; ad esempio, era attratta dalla luminosità e dal dinamismo dei motivi degli abiti contadini e delle decorazioni delle uova di Pasqua. 

A lei si ispirarono diversi giovani artisti ucraini, fra cui Volodymyr e Davyd Burliuk, Vadym Meller, Oleksandr Bohomazov, attorno ai quali nacquero i primi Salons ucraini, così come le serate futuriste accompagnate da scandali e mormorazioni. In ogni caso era nata una nuova arte, in cui elementi visivi fondamentali quali linea, colore, forma e piano pittorico acquisivano la dimensione di categorie universali. Una “rivoluzione” che fu anche lo specchio del clima sociale del Paese, quando negli ultimi anni dell’impero zarista si pensava alla futura indipendenza dell’Ucraina. 

La pittura ucraina degli Anni Venti 

Con la vittoria dell’Armata Rossa sulla resistenza ucraina nel 1921, si concluse la lunga guerra civile che dal 1917 vedeva opposti bolscevichi e nazionalisti. Incorporata suo malgrado nella nuova Unione Sovietica, l’Ucraina degli anni Venti fu comunque un paese vivace, dove la cultura fioriva anche con il calcolato supporto di Mosca, ben decisa a far dimenticare le vittime della guerra e l’occupazione. Si assisté così a un decennio di audace sperimentazione nel campo del cinema, della letteratura, del teatro e dell’arte. Non era infatti tramontato, negli ambienti intellettuali, il sogno di una nazione indipendente, per ottenere la quale era prima necessario radicare l’identità culturale. I modernisti ucraini hanno partecipato attivamente alla costruzione della nazione, cercando di creare uno stile nazionale riconoscibile.  

Si formarono nuovi pittori quali Ivan Padalka e Mykola Rokytskyi, Antonina Ivanova e Oksana Pavlenko (perché la presenza femminile fu una costante, segno di discreta emancipazione sociale), nei dipinti dei quali il mondo contadino si mostrava nel suo sfolgorio di colori, di uomini e donne di buona volontà, di corali scene domestiche che si offrono allo sguardo altrui come tanti rifugi di pace, nelle forme appena squadrate e quei colori “magri” che ricordano anche i Primitivi senesi. Nelle tele di Viktor Palmov, sulla scorta di Chagall, al Cubismo si affianca il naïf, e un’aura di levità si unisce al colore. Una stagione artistica (e culturale in genere) che raccontò un popolo e il suo anelito di libertà, pur sotto il mal tollerato giogo sovietico. Persino importanti esponenti della scena artistica russa dell’epoca, come Kazymyr Malevych e Volodymyr Tatlin, il cui stile era ritenuto da Mosca troppo “borghese”, trovarono comunque rifugio a Kiev, dove potevano esporre e pubblicare liberamente.  

La fine del sogno modernista ucraino 

L’introduzione in Ucraina della Nuova Politica Economia (NEP), ebbe anche risvolti culturali, perché fu notevolmente migliorata la possibilità per la classe operaia e contadina di accedere agli studi superiori. Di conseguenza, poté formarsi un’opinione pubblica forte, che aderiva con interesse al nazionalismo che emergeva dal dibattito culturale. Erano attive varie associazioni, fra cui l’Associazione degli Artisti Contemporanei d’Ucraina e l’Associazione dell’Arte Rivoluzionaria d’Ucraina; i membri di quest’ultima, ispirati dal Rinascimento italiano e dall’arte popolare ucraina, erano interessati alla pittura monumentale e utile a creare un’iconografia nazionale aggiornata però alle avanguardie europee. Purtroppo, le epurazioni volute da Stalin e la morte di milioni di ucraini attraverso una carestia artificiale (una tragedia ricordata nella storia come Holodomor) spensero nel Paese qualsiasi tentativo di resistenza politica e civile alla dittatura sovietica. Anche gli artisti non sfuggirono alle epurazioni, e l’Ucraina della metà degli Anni Trenta, che lentamente si riaffacciava alla vita dopo gli anni della carestia, era un ben triste Paese. L’arte ucraina modernista sopravvisse comunque, negli anni a venire, attraverso le opere di Sonia Delaunay (moglie del pittore Robert), trasferitasi in Francia sin dal 1906 e che continuò a dipingere fino agli Anni Sessanta e Settanta, quando per sopraggiunti limiti d’età lasciò l’esistenza terrena. La mostra viennese racconta questo “poscritto” attraverso alcune sue opere che spaziano dall’orfismo all’astrattismo, sottolineando viepiù le molte sfaccettature di una stagione pittorica che nacque e si sviluppò in un periodo storico assai travagliato, ma che ebbe comunque la forza di lasciare una testimonianza. 

Niccolò Lucarelli 

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Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

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