Il nostro tempo, è chiaro, è il tempo della finanza e della tecnologia. È il tempo di Internet, dell’intelligenza artificiale, della robotica. Sono questi i settori che nell’immaginario collettivo stanno disegnando il futuro. E chi disegna il futuro, in realtà, plasma il presente. Per questo motivo, il nostro è un mondo immaginato in primo luogo da ingegneri, ed esperti di finanza. Uomini di numeri, efficienza e profitti. Uomini che proiettano il loro immaginario verso dimensioni astratte che non differiscono dalle stesse domande l’essere umano si pone, ma nei confronti delle quali si rapportano in modo tuttavia del tutto differente. La fisica quantistica; l’etica e la cibernetica; lo sviluppo di macchine che siano in grado di comprendere e praticare il linguaggio umano; le valutazioni che tali pratiche apprese possano generare nella macchina; le enormi risorse di denaro investite per rincorrere questi quesiti; la rincorsa della vita nello spazio; l’utopia di una specie che dopo aver colonizzato un pianeta, e aver creato una serie di infrastruttura aliene ad esso, ora auspica alla completa autonomia energetica, così che tale specie possa continuare a vivere e a costruire, e a riprodursi, sfruttando le sole fonti provenienti dal pianeta stesso.
Arte contemporanea e senso del sacro
Temi che non vengono più trattati come interrogativi, ma come ipotesi da sottoporre a controllo: sia che si tratti di ipotesi scientifiche, e qui siamo nel campo della ricerca, o che si tratti di ipotesi di investimento. Eliminando la dimensione contingente, depurando il concetto primigenio del lessico tecnico con il quale queste domande vengono oggi indagate, è tuttavia chiaro che l’essere umano non ha affatto dismesso il proprio senso del sacro, la propria ricerca di quel “qualcosa” che cambia nome e pronome a seconda delle premesse: un Dio? Un vero uomo? Una matrice? L’Altro? Tornano in mente le note di Richter, quando nella metà degli Anni Sessanta del secolo scorso affermava che l’arte non è un sostituto della religione, bensì una religione nel senso più proprio del termine.
Religione, filosofia, arte, politica, e vale a dire i grandi strumenti che, nei fatti, aggregavano micro e macro-comunità, non hanno smesso certo di esistere. La loro diffusione, benché ridotta, non si è arginata. La loro influenza, però, non è più preponderante. I valori e i modelli di vita che ognuna di queste dimensioni proiettava sono divenuti più fluidi.
Il Papa alla Biennale d’Arte di Venezia
La comunicazione che il Papa visiterà la Biennale d’Arte di Venezia è, in questo contesto, una notizia che può rappresentare il consolidamento di una ampia e profonda riflessione su un rinnovato e contemporaneo rapporto tra arte e Chiesa, binomio che senza ombra di dubbio è stato al centro dello sviluppo della nostra cultura e della nostra arte. Un binomio che non è soltanto materiale, come molti potrebbero ritenere: quello tra Chiesa e arte non è un rapporto ascrivibile al mero mecenatismo. Per secoli, nel nostro Paese, le società hanno nutrito una fortissima relazione con la fede. Una relazione che inevitabilmente riguardava anche gli artisti e le opere da questi realizzati. Soprattutto, ma non solo, quando il tema era di tipo religioso. Un binomio, tuttavia, che nemmeno può essere soltanto metafisico, come invece altri potrebbero ritenere: da millenni ormai la Chiesa finanzia il lavoro di architetti e di artisti. I nostri duomi, le nostre cattedrali, sono state costruite nel corso dei secoli, e per secoli, dunque, artisti, architetti, operai, muratori, hanno trovato la propria forma di sostegno nella Chiesa, così come la Chiesa ha trovato in tali persone l’opportunità di affermarsi al centro della vita quotidiana dei cittadini.
Nel corso del tempo, questo binomio si è chiaramente indebolito, fratturato dalla spinta culturalista del Novecento e dalla scarsa capacità della Chiesa e dei suoi rappresentanti di identificare nuove forme di elaborazione, come dimostrato dai tantissimi esempi di pessima architettura ecclesiastica che oggi abitano molte delle nostre città. L’arte, da sempre elitaria ma che mediante la Chiesa veniva resa accessibile a tutti e ad entrare nella vita quotidiana delle persone, ha da allora faticato sempre più ad essere un elemento “normale”, “naturale”. La Chiesa, allo stesso tempo, ha necessità di riaffermarsi come modello di crescita e di sviluppo sociale, non soltanto legato al culto ma alla cultura in senso più ampio. Una strada difficile da percorrere, sia sotto il profilo esegetico sia in una coerenza stilistica che non risulti reazionaria, o, al contrario, che non si celebri avveniristica.
La Chiesa cerca di riconquistare terreno
Eppure, c’è un vuoto che entrambi questi iati hanno generato in moltissime persone e che potrebbe rappresentare il punto di partenza per una nuova riflessione sull’arte da parte della Chiesa, ma anche una nuova riflessione sul rapporto tra Chiesa e la nostra società. Una dimensione che Giorgio Gaber ha probabilmente identificato meglio di chiunque altro: un senso religioso e non di religione. Nel nostro oggi, abitato da cittadini, non dà collettività, c’è più bisogno di una dimensione spirituale e sociale che di un dogma. Chi, per propria natura, cerca perimetri di regole entro i quali sentirsi al sicuro, ha già a propria disposizione la più vasta scelta che sia mai stata possibile. Nuove e vecchie religioni sono oggi disponibili a portata di clic. E tutte, sanno bene quanto sia per loro importante essere più accoglienti e attrattive che mai. Accanto ad essi, ci sono però sempre più cittadini che cercano in altre “offerte” il proprio bisogno di “chiesa”, intesa con il proprio originale significato di assemblea.
Il Vaticano da sempre ha mostrato una grande capacità di osservazione a lungo termine. Quella capacità che ha fatto sì che un elemento tanto intangibile, come il rapporto tra l’uomo e Dio, divenisse incredibilmente concreto: scandendo il tempo, le ore, e gli anni. Conquistando lo spazio, chiesa dopo chiesa, convento dopo convento, fino ad essere forse una delle infrastrutture ancora oggi più capillari all’interno del nostro Paese. Oggi, probabilmente, il Vaticano ha l’opportunità di trovare una propria strada che sia volta a soddisfare, prima tra tutte le religioni monoteiste, quel bisogno di spiritualità che nessun acquisto o nessuna piattaforma riuscirà a colmare. Può farlo soprattutto attraverso l’arte, e, più in generale, attraverso tutte le arti. E non in nome della Fede, ma dell’essere umano. Intervenire come grande motrice della rigenerazione urbana che evidenzia come la Chiesa Cattolica possa intervenire ancora nelle nostre città, nelle nostre vite. Intervenire, in altri termini, nello stesso modo che da sempre la Chiesa adotta: mostrare le conseguenze dei propri valori ancor prima che i valori in sé. Perché forse molti cittadini non sentono la mancanza di Dio, ma la mancanza di quella comunità che, ci si creda o meno, la dimensione cattolica e religiosa contribuiva concretamente a creare.
Stefano Monti
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