L’estetica del codice informatico in mostra a Berlino
E se la nostra realtà fosse riconducibile ad una massa di dati da decrittare? La mostra al KW Institute indaga come gli artisti riescano ad “evadere” dalla scatola nera delle nuove tecnologie, tra meme virali e machine learning
Secondo il curatore Nadim Samman, le tecnologie di massa hanno portato all’affermazione di un’estetica basata sulla complessità e sull’esclusione. Ogni giorno, in momenti disparati, facciamo i conti con la limitatezza della nostra comprensione di fronte ai sistemi informatici e computazionali che ormai sono parte integrante della nostra vita quotidiana. Potremmo non rendercene conto, eppure ciò con cui abbiamo a che fare – questo linguaggio criptato, di cui vediamo soltanto i risultati ma non i meccanismi – porta con sé una forma di potere: chi possiede la conoscenza – così come la tecnologia coinvolta nella sua produzione, distribuzione e manipolazione – possiede appunto il potere. In mostra al KW Institute for Contemporary Art di Berlino, la rassegna Poetics of Encryptionapprofondisce questa riflessione, attraverso le opere di oltre 40 artisti di rilevanza internazionale, come Rindon Johnson, Kate Crawford & Vladan Joler, Clusterduck, Oliver Laric, Eva & Franco Mattes, Trevor Paglen, Jon Rafman, UBERMORGEN e Nico Vascellari.
La mostra Poetics of Encryption al KW Institute di Berlino
Suddiviso in tre capitoli, il percorso espositivo, curato da Samman, prende avvio con la sezione Black Sites, che approfondisce come i sistemi tecnici catturano gli utenti (e le pratiche che gli artisti mettono in atto per evadere da questa “immobilità”). È il caso di Calculating Empires (2023), un atlante visuale di ben 24 metri prodotto da Kate Crawford e Vladan Joler – ed esposto recentemente all’Osservatorio Prada a Milano – che traccia una “mappa” dei rapporti tra tecnologia e potere dal XVI secolo ad oggi. “Tutte queste forme di impatto globale”, spiega Crawford, “da quelle di ordine politico a quelle materiali, si sono sviluppate nel corso di alcuni secoli. Sono però nascoste dalla cultura del segreto industriale e delle infrastrutture tecniche, dalle questioni complesse legate al colonialismo, dalle filiere globali di produzione e distribuzione, dalla scarsa trasparenza dei contratti di lavoro, dalla mancanza di regolamentazione e dalla storia stessa”.
Decriptare la Black Box nella mostra a Berlino
Il secondo capitolo, dedicato alle Black Boxes, esplora come gli artisti hanno rappresentato le tensioni tra un’interfaccia “trasparente”, ovvero leggibile dall’utente, e un backend “opaco”, di cui non si comprende il funzionamento. Sotto la lente di ingrandimento troviamo il machine learning dell’intelligenza artificiale e i suoi bias razziali, protagonisti dell’opera di Trevor Paglen Faces of ImageNet (2022), che lascia emergere i pregiudizi trasmessi all’AI attraverso i database per il riconoscimento facciale. Il capitolo finale, Black Hole, offre uno sguardo verso un futuro distopico di “criptazione totale”, in cui tutto viene ridotto ad una massa di dati che rende impossibile distinguere tra finzione e realtà, senso e non-senso. Qui troviamo opere come Panorama Cat (2022) di Eva & Franco Mattes, un meme virale che prende vita nel mondo reale, o The Detective Wall (2023) del collettivo Clusterduck, un atlante di immagini randomiche prese da internet che mappano l’universo di Internet.
Laura Cocciolillo
Poetics of Encryption
Fino al 26 maggio 2024
KW Institute for Contemporary Art, Berlino
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati