La storia di Palazzo Nardini a Roma. Edificio mitico dal Rinascimento al futuro che verrà
Edificato negli Anni Settanta del XV Secolo per volere del cardinale Stefano Nardini, il palazzo che oggi si incontra su via del Governo Vecchio, non distante da piazza Navona, ha attraversato secoli di storia di Roma, tra fortune e miserie. Agli ultimi decenni di degrado seguirà presto un’ambiziosa rinascita
Alla fine dell’Ottocento, il pittore Ettore Roesler Franz completava la serie di acquerelli che volle intitolare alla Roma sparita: oltre cento quadretti dipinti con gusto per il pittoresco e il vedutismo; scene di genere che documentano scorci urbani destinati a scomparire, agli albori della città moderna. Ma la Roma sparita – locuzione che avrebbe avuto enorme successo, nel corso del Novecento, in riferimento alle memorie perdute della Capitale – non è solo quella del folclore popolare. Basti pensare al patrimonio immobiliare di valore storico e artistico oggi inaccessibile ai più, abbandonato a se stesso o, nel migliore dei casi, “segregato” dietro cancelli e portoni che sembrano insormontabili. La storia di Roma, una delle città che meglio conserva la stratificazione urbanistica e architettonica di secoli di conquiste, intrighi di potere, rivolte di popolo, sfarzosa mondanità, si è fatta a lungo nei palazzi di alti prelati e nobiltà.
La storia di Palazzo Nardini
Come quel Palazzo Nardini di cui oggi possiamo ben leggere glorie e miserie, che porta il nome di chi lo fece edificare, tra il 1473 e il 1479, alle spalle di piazza Navona, sul rettifilo della strategica Via Papalis che congiungeva il Vaticano al Laterano. Il cardinale Stefano Nardini (1420-1484), arcivescovo di Milano, era stato nominato Governatore di Roma nel 1471, da papa Paolo II Barbo: fu probabilmente l’esigenza di avvalorare il suo status a suggerirgli di dotarsi di una residenza all’altezza del ruolo, in quella che all’epoca si chiamava via di Parione (come la perpendicolare che conserva ancora il toponimo del rione). Oggi, il grande portale contornato da bugne a punta di diamante, con fregio di palmette dentro festoni, dentelli e cornice a mensole, coronato dallo stemma dei Nardini (forse opera di Baccio Pontelli), si incontra al civico 39 di via del Governo Vecchio.
Palazzo Nardini all’origine di via del Governo Vecchio
La strada fu così rinominata nel XVIII secolo, proprio per le vicissitudini del palazzo, che già nel 1480 fu donato dal cardinale all’Arciconfraternita Ospedaliera del Salvatore al Laterano, come ricorda una targa incastonata nella facciata. Il palazzo, che conserva solo in parte la struttura rinascimentale – nato dalla fusione di edifici preesistenti del tessuto medievale, è sviluppato intorno a un grande cortile porticato con loggia, dopo l’ampio rimaneggiamento del 1567 voluto dal cardinale Giovanni Serbelloni – divenne dunque sede del Collegio Nardini, con funzioni assistenziali (qui, nel 1482, morì di malaria anche Roberto Malatesta, dopo aver riconsegnato Roma, minacciata dal Duca di Calabria Alfonso schierato con i Colonna, a papa Sisto IV con la battaglia di Campomorto). Ma nel 1624 la Compagnia dell’Ospedale del Salvatore cedette il palazzo alla Camera Apostolica su insistenza di papa Urbano VIII, che decise di stabilirvi la sede del Governatorato di Roma. Nel 1755 papa Benedetto XIV avrebbe trasferito gli uffici a Palazzo Madama: Palazzo Nardini divenne il palazzo del “Governo Vecchio”, e l’appellativo fu poi trasferito anche alla via.
Palazzo Nardini nella Roma moderna. Dalla Pretura alla Casa delle Donne
Fu l’inizio del declino dell’edificio, però scelto nel 1870 per ospitare la Pretura penale del Regno d’Italia, e della Repubblica poi, restaurato per l’occasione dall’architetto Francesco Vespignani.
Nel corso del Novecento, il palazzo sarà sede dell’Educatorio femminile Vittoria Colonna, e poi rifugio antiaereo durante la Seconda Guerra Mondiale. Ma nel 1957, quando Roma si dota di un nuovo complesso giudiziario a piazzale Clodio, Palazzo Nardini perde tutte le sue funzioni e viene definitivamente abbandonato, salvo prestarsi saltuariamente come set cinematografico negli anni della Dolce Vita (nel 1973 il cortile diventa la scuola di Titta nel film Amarcord di Federico Fellini; nel ’75 è la questura di Roma violenta). Un decennio più tardi, dal 1976 al 1984, si apre per il Palazzo l’ennesima gloriosa stagione: occupato dal Movimento per la Liberazione della Donna, sarà sede della Casa Internazionale delle Donne e primo centro antiviolenza d’Italia, fulcro del più importante esperimento femminista italiano, avanguardistico anche sull’orizzonte internazionale. All’interno dell’edificio, slogan, graffiti e quel che resta dei manifesti di allora, conservano memoria di quella coraggiosa esperienza, ma nel segreto di un complesso – come detto a più riprese protagonista della storia di Roma, in oltre 500 anni di alterne vicende – di cui dopo la fine dell’avventura femminista si è persa a lungo traccia, nelle cronache cittadine.
Palazzo Nardini dall’abbandono alla rinascita
Immortalato da pittori di ogni epoca (Jan Miel, intorno alla metà del Seicento, ne riproduce il cortile alla maniera dei Bamboccianti) e celebrato da letterati e intellettuali – nel suo Edifici della Roma moderna, pubblicato nel 1840, Paul Letarouilly lo descrive come “uno dei palazzi rinascimentali più belli e ricchi della città, che si distingue per il buon gusto e per la finezza degli apparati decorativi” – Palazzo Nardini ha scontato negli ultimi decenni l’epilogo più triste, subendo dal 1986 un inesorabile declino. Non molti romani, passando oggi davanti al maestoso portale su via del Governo Vecchio, saprebbero raccontarne la storia. Nonostante numerose ipotesi di rifunzionalizzazione da parte delle istituzioni pubbliche, tutte evidentemente naufragate per mancanza di visione o inconsistenza, nei primi anni Duemila si rese necessario un intervento in somma urgenza per salvarne la struttura ormai pericolante: acquistato nel 2003 dalla Regione Lazio e sottoposto a vincolo di tutela dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma, il Palazzo fu allora sottoposto a parziali interventi conservativi, mai però concretizzatisi in una visione d’insieme che potesse restituire l’edificio ai suoi fasti e, soprattutto, permetterne la riapertura alla città. Fino alla decisione pubblica di “valorizzare” l’immobile cedendolo all’iniziativa privata, che, contrariamente alle fantasiose ipotesi di speculazione edilizia circolate finora, ha determinato l’avvio di un ambizioso progetto di restauro conservativo, con l’idea di dare a Palazzo Nardini un futuro all’altezza del suo passato, nel rispetto del Genius loci.
I lavori in corso, affidati a un team scientifico di alto profilo e con la collaborazione della Soprintendenza speciale di Roma, dovrebbero concludersi nel 2025, e già hanno restituito scoperte importanti, come l’affresco monocromo in terra verde raffigurante un raro Banchetto di Baldassarre, scoperto dal professor Antonio Forcellino nel nucleo rinascimentale del complesso, nella sala ribattezzata delle Colonne, per la presenza di due antiche colonne in granito di Assuan (avremo modo di riparlarne presto). Una conferma dello spessore umanistico del cardinal Nardini – che poco prima di morire, nel 1484, sfiorò l’elezione al soglio pontificio – anche raffinato committente d’arte.
A lui, come a tutti i protagonisti che si sono avvicendati nella storia del Palazzo, questo processo di restituzione dell’edificio alla sua originale bellezza e di valorizzazione di ciò che ha rappresentato per la città si propone di rendere omaggio.
Livia Montagnoli
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